Quanto vale il 2% del Pil? Per capire meglio, facciamo un passo indietro.
Il 25 maggio 2023 il The Telegraph ha stimato che l’esercito russo avrà bisogno di 10 anni per riprendersi dalla guerra in Ucraina. La corsa agli armamenti è ripresa per tutti i Paesi, a seguito dell’invasione della Crimea nel 2014, e non accenna a rallentare. Di seguito il video.
Anche l’Italia nei prossimi anni è destinata ad aumentare la spesa militare. Roma si è impegnata a raggiungere il 2% del Pil – il prodotto interno lordo – in spese militari entro il 2028. Lo standard è stato imposto dalla NATO a tutti i suoi membri. Siamo a maggio 2023: mancano 5 anni.
Quali sono le conseguenze di questa scelta? Di quanti soldi parliamo? Quali alternative di spesa ci sono? Scopriamolo.
Quanto vale il 2%
Il traguardo del 2% è un impegno preso dall’Italia nel 2014, durante il governo Renzi, in un vertice della NATO a Newport, in Galles. L’accordo prevedeva anche di assicurare il 20% delle spese per la difesa agli investimenti in equipaggiamenti militari e di contribuire alle missioni, alle operazioni e alle altre attività dell’Alleanza atlantica.
La NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) è un’organizzazione politico-militare che riunisce 30 Paesi dell’Europa e del Nord America. Solo otto Paesi su 30 della NATO hanno raggiunto finora l’obiettivo del 2%: Grecia, Stati Uniti, Polonia, Regno Unito, Croazia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Per l’Italia si tratta di un aumento di spesa di quasi mezzo punto percentuale rispetto al suo PIL, che nel 2022 si è attestato all’1,51%. Nel 2014, prima della presa della Crimea da parte della Russia, la spesa militare italiana ammontava all’1,14% del Pil.
Secondo i dati Istat (Istituto nazionale di statistica), il Pil italiano al 2022 ammonta a circa 1.900 miliardi di euro. Affidare il 2% di questa somma alle spese militari, significa passare dai circa 28 miliardi di euro l’anno attuali (76 milioni al giorno) a 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Una cifra di 28 milioni al giorno e 10 miliardi l’anno in più per le casse dello Stato.
Le motivazioni della NATO
Ma perché la NATO richiede ai suoi membri di spendere così tanto per la difesa? La motivazione ufficiale è quella di garantire la sicurezza collettiva e la solidarietà tra gli alleati di fronte alle minacce globali, come il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i conflitti regionali e le crisi umanitarie.
La NATO svolge anche un ruolo di deterrenza nei confronti della Russia, considerata un potenziale avversario militare, soprattutto dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e le tensioni in Ucraina.
Senza contare il pericolo crescente rappresentato da Cina e Corea del Nord. La prima, dotata dell’esercito regolare più grande al mondo, con una spesa militare annua di 293 miliardi e il secondo Pil a livello mondiale (circa 18mila miliardi di dollari). La seconda, con più di un milione di effettivi e in perenne stato di allerta, pronta a conquistare la Corea del Sud e a minacciare il Giappone.
Nuovi armamenti
Il 9 maggio 2023 il Parlamento italiano ha dato il via libera per l’acquisto del terzo sottomarino U-212 NFS. Costerà 674 milioni di euro e verrà costruito da Fincantieri. La spesa complessiva per questi nuovi sommergibili, quattro in totale, ammonterà a oltre 2,68 miliardi di euro.
L’acquisizione di nuovi sistemi d’arma, da tempo richiesta da tutte le Forze Armate, è una parte importante dell’accresciuta capacità di spesa. Nel 2022 il Ministero della Difesa ha destinato a questo scopo circa 5,5 miliardi di euro, cui si aggiungono i contributi del MISE, pari a 2,4 miliardi.
Se l’Italia raggiungesse il 2% del Pil in spese militari, lo stanziamento annuale per lo sviluppo e l’ammodernamento arriverebbe a circa 10 miliardi, due in più rispetto a ora. Significa poter realizzare ogni anno una nuova portaerei “Cavour” (1,5 miliardi), acquistare una ventina di caccia F-35 o quasi 300 autoblindo “Centauro II”.
Nelle audizioni parlamentari dei capi di Stato Maggiore, all’inizio di quest’anno, la domanda di sistemi più moderni per sostituire quelli attualmente in servizio, in alcuni casi antiquati, è stata unanime. I fondi aggiuntivi, quindi, non saranno spesi solo per aumentare le forniture, ma anche per sviluppare nuovi armamenti.
Le necessità delle Forze Armate
L’Esercito è, da anni, il comparto più in crisi. Il generale Pietro Serino ha messo sul tavolo le richieste delle forze di terra: accelerare l’acquisizione dei nuovi blindati cacciacarri “Centauro II”, selezionare il sostituto del veicolo da combattimento “Dardo”, iniziare a pensare seriamente al futuro della componente corazzata, ancora basata sui vecchi tank C1 “Ariete”. Pressante è anche la richiesta di nuovi sistemi di artiglieria, dai missili anti-aerei SAMP/T alle munizioni guidate VULCANO, dai sistemi di difesa portatili VSHORAD (Very Short Range Air Defence) a nuovi droni di piccole dimensioni.
La Marina, dopo aver rinnovato in maniera sostanziale la propria flotta di prima linea negli ultimi 10 anni, getta ora lo sguardo a tutte quelle componenti e unità navali di supporto (dai rifornitori ai pattugliatori, dalle navi oceanografiche a quelle di supporto alle operazioni subacquee). La guerra in Ucraina, i flussi migratori e la crescente instabilità nell’area mediterranea hanno spinto l’ammiraglio Enrico Credendino, capo di Stato Maggiore della Marina, a chiedere nuovi battelli da combattimento, gettando lo sguardo al futuro con l’inizio del programma DDX per i nuovi cacciatorpediniere, quello per le nuove unità da sbarco LXD e, forse, per una nuova portaerei per sostituire il vecchio “Garibaldi”, prossimo al pensionamento.
L’Aeronautica, dal canto suo, sembra abbastanza soddisfatta. I nuovi velivoli entrati in linea nell’ultimo decennio soddisfano le esigenze, anche se il generale Luca Goretti preme per una più rapida sostituzione della componente più anziana. In accordo con la Marina, la richiesta è di aumentare il numero di cacciabombardieri F-35 in consegna, così da poter pensionare gli aerei più anziani. Riguardo al futuro gli occhi restano puntati sul GCAP (Global Combat Air Programme), il nuovo caccia di sesta generazione che l’Italia sta sviluppando con Gran Bretagna e Giappone.
Non solo armi
Non va mai dimenticato che dietro (e dentro) a macchine avanzate ed efficienti stanno uomini e donne. Il capitolo sul personale è delicato e deve essere trattato con una certa cura.
Nel 2022 sono stati stanziati 10,6 miliardi di euro per stipendi, misure previdenziali, vitto e alloggio dei nostri militari. Un trend lievemente in crescita negli ultimi anni, che si accompagna alla richiesta di più persone da parte di tutte le Forze Armate. Con il raggiungimento del 2% del Pil, la spesa per il personale potrebbe toccare quota 13,2 miliardi. In tal modo potrebbero essere soddisfatte sia la domanda dei vertici per un maggior numero di uomini e donne, sia quella di soldati, marinai e avieri per paghe più alte.
Emergenza edifici militari: un nodo da sciogliere
Più delicata la questione infrastrutturale, in crisi nera sin dagli anni ’90. Premesso che l’accesso agli atti del demanio militare non è semplice da ottenere, e considerando che i capi di Stato Maggiore sono sempre piuttosto vaghi sul tema, la situazione delle strutture della Difesa non è delle migliori. Soprattutto Esercito e Marina chiedono da almeno un decennio una maggiore cura agli immobili, spesso fermi a standard abitativi e operativi della guerra fredda, non più adatti ad accogliere personale e mezzi attuali.
Un brutto colpo è arrivato proprio quest’anno, con un bilancio sceso a 324,6 milioni dai 612,6 del 2021. È facile prevedere, quindi, che una buona parte della liquidità aggiuntiva legata al raggiungimento del 2% del Pil sarà impiegata per sanare le lacune infrastrutturali nel primo periodo.
Le altre possibilità di spesa
La spesa militare non è l’unico indicatore della capacità e dell’impegno di un Paese nella difesa comune. Ci sono anche altri fattori da considerare, come la qualità e l’efficienza delle forze armate, la partecipazione alle operazioni internazionali, la cooperazione con gli altri alleati e i contributi allo sviluppo e alla stabilità delle aree in crisi.
La spesa militare non è necessariamente proporzionale alla sicurezza di un Paese. Come ha sottolineato Europa Verde, che si è opposta all’aumento della spesa militare italiana. «La sicurezza non si ottiene con le armi ma con la diplomazia, la cooperazione internazionale e lo sviluppo sostenibile», hanno dichiarato.
Come si potrebbe usare lo 0,5% del Pil
Destinare più risorse alla difesa significa sottrarle ad altri settori vitali. Con i 10 miliardi di euro in più che l’Italia dovrebbe spendere ogni anno per raggiungere il 2% del PIL in spese militari, si potrebbero fare molte altre cose utili.
- Tornare a finanziare il controverso reddito di cittadinanza;
- Coprire l’equivalente del costo del piano vaccinale anti-Covid per circa 10 anni;
- Al costo medio di 200 milioni di euro, si potrebbero finanziare i lavori di 90 nuove strutture ospedaliere ogni anno;
- Aumentare del 50% gli investimenti in ricerca e innovazione, oltre che nella ricerca e nelle università. Ma c’è da dire che buona parte della spesa militare va proprio ad incoraggiare molti settori della ricerca;
- Aumentare del 120% circa gli attuali investimenti dell’Italia per quanto riguarda l’istruzione e la cultura;
- Sostenere la transizione ecologica e la riduzione delle emissioni di gas serra;
- Realizzare un’infrastruttura delle dimensioni della TAV Torino-Lione ogni anno. Si tratta di una linea ferroviaria ad alta velocità che collegherebbe l’Italia con la Francia e il resto dell’Europa, riducendo i tempi di viaggio e le emissioni di CO2. Il costo stimato dell’opera è di circa 8,6 miliardi di euro.
- Completare la costruzione di un Ponte sullo Stretto di Messina ogni due anni. È un progetto che prevede la costruzione di un ponte sospeso lungo 3,3 km che unirebbe la Sicilia alla Calabria, facilitando i collegamenti tra le due regioni e con il resto del Paese. Il costo stimato dell’opera, fortemente voluta dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, è di circa 13 miliardi di euro.
- Risanare in una legislatura la rete idrica nazionale, riducendo l’elevatissima dispersione idrica dell’infrastruttura italiana, che in alcune regioni supera il 50%. Un intervento necessario a garantire la qualità del servizio e a prevenire le situazioni di siccità e alluvione che colpiscono diverse aree del Paese. Il costo stimato è di circa 40 miliardi di euro.
- Si potrebbero costruire quasi 1000 km di autostrade ogni anno, a uno costo medio di circa 18 milioni per ogni km, con punte di 25km per i viadotti;
- Costruire decine di migliaia di campi sportivi polivalenti;
- Mettere in sicurezza tutte le zone a rischio idrogeologico nel giro di meno di due anni. Una tematica molto attuale, considerato quanto avvenuto di recente in Emilia.
Questi sono solo alcuni esempi delle possibili alternative all’aumento della spesa militare italiana. Si tratta di scelte politiche, che riguardano le priorità e i valori di una società.