Oltre 40mila persone sono scese in piazza a Wellington nella più grande protesta maori della storia. La marcia pacifica Hikoi mo te Tiriti è durata 9 giorni ed è partita dall’estremo nord del paese per poi raggiungere il parlamento il 19 novembre, dopo più di 1.000 chilometri percorsi. I manifestanti chiedono di respingere il controverso disegno di legge che ha l’obiettivo di reinterpretare il trattato di 184 anni fa, firmato dai colonizzatori britannici e dalle tribù maori.
Il trattato fondatore: il Waitangi Treaty
A far discutere è il Treaty Principles Bill, visto dai Maori come un attacco diretto ai diritti della popolazione indigena. Proposto da David Seymour, del Act New Zeland, partito minore della coalizione al governo, il disegno di legge mira a rivedere il trattato fondatore della Nuova Zelanda, il Waitangi Treaty.
Nel 1840 in un’Europa in preda alla febbre coloniale, il capitano e esploratore irlandese William Hobson sbarca nell’arcipelago e lo annette all’Impero Britannico. Il Waitangi Treaty nasce, quindi, con lo scopo di regolare i rapporti tra i coloni e la popolazione indigena. Alcuni leader maori vedono infatti con favore l’arrivo dei britannici, dai quali cercano protezione contro le forze francesi. Il trattato, firmato da 40 capi tribù e all’incirca 530 maori, riconosce alla popolazione indigena il diritto di conservare le proprie terre, le foreste e gli altri beni, e di godere delle stesse tutele dei sudditi britannici.
In passato il testo è stato origine di molte controversie. Il Waitangi Traety è stato infatti redatto in due diverse versioni, in te reo māori e in lingua inglese. Due versioni che, però, non sono una l’esatta traduzione dell’altra, anzi. Le discrepanze tra i due testi sono la causa delle Guerre maori, una serie di scontri tra i nativi neozelandesi e i coloni, che si protraggono fino al 1870.
Nel 1915 viene istituita una corte permanente, il Waitangi Tribunal, proprio con lo scopo di risolvere le divergenze tra le versioni del documento. Negli anni sono stati elargiti miliardi di dollari di compensazioni per le violazioni del trattato, come ad esempio la diffusa confisca di terre maori perpetrata per decenni.
Il Treaty Principles Bill
Secondo il partito ACT, il trattato sarebbe stato mal interpretato e ciò avrebbe portato alla formazione di un sistema sbilanciato in favore dei maori. I bianchi neozelandesi avrebbero, quindi, diritti politici e legali diversi, nonché minori tutele. Il disegno di legge chiede quindi di porre fine alla “divisione per razza”. Seymour ha definito l’interpretazione convenzionale dei principi del trattato come antidemocratica e come un tentativo di una minoranza elitaria di sancire diritti diversi per razze diverse: «Ora c’è un mix cosmopolita di diverse nazionalità. Siamo tutti neozelandesi. Penso che dovremmo avere gli stessi diritti».
If you believe you have special rights because of your ethnicity, you’re going to be disappointed with the Treaty Principles Bill. When you’re used to special rights, equality feels like oppression.
— David Seymour (@dbseymour) November 20, 2024
Il disegno di legge dell’ATC mira a stabilire definizioni precise dei principi del Waitangi Treaty, attualmente flessibili e aperti all’interpretazione, da applicare a tutti i neozelandesi allo stesso modo. Secondo il Waitangi Tribunal questo disegno di legge, dovesse essere approvato, porterebbe all’erosione dei diritti dei maori.
Tuttavia, è altamente improbabile che il Treaty Principles Bill riceva il sostegno di altri partiti oltre all’ACT. È, quindi, di conseguenza quasi impossibile che la revisione del Waitangi Treaty possa diventare legge. In Nuova Zelanda un disegno di legge deve passare attraverso tre turni in Parlamento e ottenere almeno 62 voti su 123 deputati. Il Treaty Principles Bill è riuscito a superare la prima votazione grazie ai voti della coalizione di governo. Coalizione che, però, ha già dichiarato che non sosterrà il disegno di legge oltre la fase della commissione.
La contestazione
La protesta aveva già ottenuto visibilità sui siti di informazione e sui social grazie alla diffusione di un video del 15 novembre che mostra la deputata Hana- Rawhiti Maipi-Clarke, di etnia maori, mentre canta ed esegue la tradizionale danza rituale haka in aula per esprimere il suo dissenso nei confronti del provvedimento. La Haka, spesso associata esclusivamente a eventi sportivi o culturali, è in realtà un’espressione profondamente radicata nella cultura maori, simbolo di forza e unità. Nella danza si sono uniti anche gli altri colleghi di Maipi Clarke, senza che il presidente della camera Gerry Brownlee riuscisse a placare l’aula.
New Zealand MP Hana-Rawhiti Maipi-Clarke led a haka in parliament protesting legislation that would reinterpret the 184-year-old Waitangi treaty between Maori and British people.
Read more: https://t.co/BY9cB2a9BC pic.twitter.com/uaHtqajbDl
— SBS News (@SBSNews) November 15, 2024
La deputata ha poi parlato alla folla riunitasi davanti al parlamento neozelandese: «Questa marcia non ha mai riguardato la legge. L’ho strappata a metà e l’ho buttata via. Questa marcia riguardava il nostro camminare, marciare fianco a fianco, generazione dopo generazione. Questa legge ci divide come paese. Il Trattato ci unisce di tutte le età e di tutte le razze».
In generale, la protesta dei maori ha suscitato diverse reazioni. La Associated Press ha definito la manifestazione come «la più grande protesta del paese a sostegno dei diritti maori». L’agenzia di stampa australiana AAP, invece, ha sottolineato quanto la folla fosse numerosa, tanto che «molti non sono riusciti a vedere o sentire gli oratori» all’evento. Anche l’opinione pubblica ha giudicato positivamente la protesta, dando inizio ad una petizione online per fermare la revisione del trattato. La campagna in pochi giorni ha già raggiunto 200mila firme.
Protestors dressed in traditional Māori attire performed hakas while marching alongside thousands of people through Wellington, New Zealand, in protest of a bill that would reinterpret the Treaty of Waitangi, which underpins Māori people’s unique rights. https://t.co/24AHMQGItg pic.twitter.com/Sblei8XFHR
— The New York Times (@nytimes) November 19, 2024
In collaborazione con Manuela Perrone