Israele-Hamas: i cani dell’unità speciale Oketz e il veto USA

Continua l’offensiva israeliana a Gaza. Le forze di Tsahal hanno accerchiato Khan Younis, con l’obiettivo di stanare Yahya Sinwar, nome in codice «Il Puro», considerato il capo di Hamas nella Striscia e la mente dietro l’operazione Diluvio Al Aqsa dello scorso 7 ottobre. Tra tunnel, macerie ed esplosivi nascosti, l’IDF sta utilizzando ogni arma per scovare il bunker del leader. Oltre a droni e sistemi robotici, Israele ha impiegato anche l’unità cinofila speciale Oketz, cani addestrati per setacciare i labirinti sotterranei. E mentre la guerra prosegue, al tavolo dell’ONU si discute il veto USA sull’immediato cessate al fuoco. 

Oketz, l’unità cinofila dell’IDF

Si chiama Oketz, “pungiglione” in Ebraico, l’unità cinofila speciale delle Israel Defense Forces. Opera con cani accuratamente addestrati per missioni di antiterrorismo sul campo: ricerca e soccorso, individuazione di armi ed esplosivi, immobilizzazione dei bersagli ed esplorazione dei tunnel.

L’unità fa parte delle cosiddette squadre militari K9, per l’assonanza della sigla con la parola inglese canine, e venne fondata nel 1974 in seguito all’ondata di attacchi terroristici che colpì lo Stato Ebraico. Composta inizialmente da solo 11 membri, la sua esistenza rimase segreta fino al 1988; il mondo li conobbe in occasione di un’operazione militare in Libano.

I soldati a quattro zampe di Oketz sono tutti Malinois, un particolare tipo di pastori belgi, più minuti di quelli tedeschi, ma adatti allo scontro corpo a corpo. Selezionati e comprati all’età di due anni dagli allevamenti delle forze dell’ordine tedesche, belga e olandesi, il loro prezzo è di circa 10 mila euro.

Un pastore belga dell’unità cinofila Oketz insieme ad un soldato israeliano

Subito dopo inizia un intenso addestramento, dove ogni cane instaura un rapporto di fiducia e lealtà con il proprio compagno umano. Nulla è lasciato al caso. Per esempio, come dichiarato da Yaviv Stern, uno degli addestratori di Oketz, i cani «troppo apatici o troppo sensibili al cibo e a rincorrere i gatti» vengono scartati.

Una volta pronti per entrare in azione, li equipaggiano con maschere protettive, coprizampe e radio collegate ai propri operatori. 

I K9 al centro delle operazioni a Gaza

Oggi, l’unità Oketz è tornata nuovamente alla ribalta. Nell’esplorazione dei bunker sotterranei di Gaza, le forze speciali israeliane preferiscono l’istinto e l’addestramento dei cani dell’IDF alle rilevazioni di strumenti avanzati come droni e sistemi robotici. I soldati a quattro zampe riescono a vedere meglio al buio, il loro fiuto individua esplosivi nascosti e, nel caso di incontri spiacevoli, attaccano.

Insomma, istinto batte intelligenza artificiale. E a dimostrarlo sono i dati. L’impiego delle unità cinofile è aumentato negli ultimi anni. Sono state usate nelle ricognizioni che hanno portato ai raid contro Osama Bin Laden e Al Baghdadi e oggi hanno ottenuto la loro definitiva consacrazione.

Oketz è tra le prime unità dispiegate nei kibbutz assediati la mattina del 7 novembre da Israele. Nella comunità di Be’eri, i Malinois di Tsahal hanno contribuito al salvataggio di circa 200 civili israeliani e alla neutralizzazione di dieci terroristi. La loro presenza è poi diventata fissa durante la marcia su Gaza, in cui i K9 hanno accompagnato tutti i reparti nella confusa guerriglia urbana nella Striscia. Soprattutto identificando le trappole esplosive.

Come ogni unità che si rispetti, anche la Oketz ha i suoi martiri. Come Nauru, il pastore belga che a Kfar Aza è stato ucciso mentre attaccava alcuni fondamentalisti nascosti nelle case del kibbutz, celebrato come un vero e proprio eroe di guerra.

Il veto statunitense

Nel frattempo, è polemica sul veto degli Stati Uniti a proposito della risoluzione ONU presentata dagli Emirati Arabi Uniti. La risoluzione, sostenuta da 97 paesi, incluso la maggioranza del Consiglio di Sicurezza con l’astensione del Regno Unito, proponeva un immediato cessate il fuoco a Gaza e il rilascio immediato degli ostaggi. Per l’approvazione, nessun membro permanente del Consiglio di Sicurezza deve votare contro. Gli Stati Uniti si sono però opposti. Il vice rappresentante Usa all’Onu, Robert Wood, ha difeso la posizione del suo paese sostenendo che il documento non rifletteva la “realtà” e non evidenziava adeguatamente le responsabilità di Hamas. Eli Cohen, il ministero degli Esteri israeliano, ringraziando Washington, ha affermato: «Il cessate al fuoco potrebbe impedire il crollo dell’organizzazione terroristica Hamas e le permetterebbe di continuare a governare la Striscia di Gaza».

 

A cura di Ettore Saladini e Vittoria Fassola

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Tondelli, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson. In futuro mi vedo come giornalista televisivo.

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