Appuntamento rimandato al 28 maggio: per sapere chi sarà il nuovo Presidente della Turchia bisognerà attendere il ballottaggio tra Erdogan e Kilicdaroglu. Il Presidente uscente ha superato il suo sfidante, candidato unitario di sei partiti d’opposizione. Tuttavia, non ha raggiunto la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. Alle parlamentari, invece, il partito del “Sultano” ha oltrepassato il 50% delle preferenze, ottenendo la maggioranza in assemblea. Nonostante l’elezione si sia conclusa con un nulla di fatto, fin dal pomeriggio l’opposizione ha rivolto accuse contro l’agenzia statale turca Anadolu sul conteggio ufficiale delle schede.
Sono dunque attese due settimane di fuoco. La posta in gioco è altissima: il 28 maggio si deciderà il destino di un Paese chiave degli equilibri regionali e internazionali. E si deciderà della vita dei turchi, alle prese con una democrazia svuotata, con una crisi economico-finanziaria e con le conseguenze del terremoto di febbraio.
L’esito del voto
L’appuntamento elettorale più importante del 2023 si è concluso senza un chiaro vincitore. Alle elezioni presidenziali, il Presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, si è attestato al 49.5% delle preferenze. Ha superato il candidato dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, fermo al 44.9%, ma non ha raggiunto il 50% dei voti, soglia minima per essere eletti al primo turno. Per la prima volta in vent’anni, da quanto Erdogan è al potere, il nuovo leader della Turchia uscirà dal ballottaggio, previsto per il 28 maggio.
Il terzo candidato, Sinan Ogan, rappresentante di una piccola coalizione di partiti di estrema destra, ha ottenuto il 5.2% dei voti. Il quarto candidato, Muharrem Ince, si è fermato allo 0.4%: a pochi giorni dalle elezioni si era ritirato dalla corsa, per non portare via parte dei voti contro Erdogan, ma il suo nome è rimasto sulla scheda elettorale.
Insieme alle presidenziali si sono tenute le elezioni parlamentari, con un sistema proporzionale e soglia di sbarramento al 7%. Secondo le cifre diffuse dall’agenzia di stampa statale Anadolu, la coalizione di Erdogan otterrà la maggioranza: 322 seggi su 600, di cui 266 al Partito giustizia e sviluppo (Akp) e 50 agli alleati del Partito del movimento nazionalista (Mhp). Alla principale forza dell’opposizione, il Partito popolare repubblicano (Chp), andranno 169 deputati, al Buon partito (Iyi) 44. Il filocurdo Partito della sinistra verde (Ysp) ne otterrà 62.
Secondo i dati della tv di Stato turca Trt, dei 64.1 milioni di aventi diritto, inclusi i residenti all’estero, hanno votato l’88.4% alle presidenziali e l’85.1% alle parlamentari. Nonostante le lunghissime file ai seggi, le operazioni elettorali si sono svolte senza irregolarità, come afferma il Consiglio elettorale supremo di Ankara.
Un’elezione contestata
Fin dalle prime ore dello spoglio e per l’intera nottata, l’opposizione ha contestato il conteggio ufficiale dei voti, parlando di «farsa» e continuando a ripetere di essere in testa. «Non dormiremo stanotte, popolo mio» ha twittato Kilicdaroglu. Durante lo spoglio, infatti, il Chp ha eseguito un conteggio parallelo. Ha posizionato i propri osservatori in ogni urna, fotografando ogni scheda al momento del conteggio: secondo i loro dati, Kilicdaroglu era in vantaggio.
Demokrasi kahramanlarımıza seslenmek istiyorum. İmzalı son sandık tutanağı teslim edilene kadar, ne olursa olsun asla sandıkların başından ayrılmayın. Millet iradesinin tam ve doğru biçimde tecelli etmesi sizin kararlılığınıza bağlı. Göreceksiniz, yorgunluğunuza değecek. 🫶🏼
— Kemal Kılıçdaroğlu (@kilicdarogluk) May 14, 2023
In un altro tweet il leader del Chp ha scritto: «Vorrei lanciare un appello ai nostri eroi della democrazia: non lasciate per nessun motivo i seggi elettorali fino alla consegna dell’ultima scheda firmata. La piena e corretta manifestazione della volontà del popolo dipende dalla vostra determinazione».
I candidati alla Vicepresidenza dell’opposizione, Mansur Yavas ed Ekrem Imamoglu, hanno attaccato l’agenzia di stampa statale Anadolu perché, a loro dire, avrebbe diffuso per primi i voti dalle roccaforti tradizionali di Erdogan. Già in passato l’agenzia è stata al centro di polemiche per aver rivelato solo i dati favorevoli al “Sultano”. In effetti, le prime stime indicavano Erdogan oltre il 58%, poi col passare delle ore il distacco tra i due candidati è andato riducendosi finché, in serata, il Presidente uscente è sceso sotto il 50%. «La farsa, iniziata con il 60%, ora è scesa sotto il 50», ha twittato Kilicdaroglu, che si dice sicuro di vincere al secondo turno.
Lo stesso Erdogan ha riconosciuto l’eventualità di un ballottaggio: «Non sappiamo ancora se le elezioni siano finite con questo primo turno, ma se la gente ci porterà al secondo turno lo rispetteremo». Il “Sultano” ha comunque accusato i suoi oppositori di aver tentato di ingannare il Paese: «Anche se i risultati non sono ancora stati pubblicati, siamo chiaramente in testa».
Il contesto del voto
Le elezioni in Turchia rappresentano un momento decisivo per il Paese e per gli equilibri regionali e internazionali. Erdogan, al potere da vent’anni, è il leader più potente della Turchia dai tempi di Ataturk, ma la sua posizione non è mai stata così a rischio.
In un contesto di crisi economico-finanziaria e repressione del dissenso, aggravato dalle conseguenze del terremoto di febbraio, negli ultimi anni Erdogan e il suo partito hanno visto evaporare parte del consenso. E quest’anno, per la prima volta in un’elezione parlamentare e presidenziale, i partiti di opposizione sono riusciti a mettersi d’accordo su un candidato unitario, superando le differenze pur di sconfiggere il “Sultano”. In questo quadro, l’appuntamento del 28 maggio con tutta probabilità si configurerà come voto pro o contro il Presidente uscente.
La posta in gioco è alta. Il risultato avrà implicazioni sul ruolo che la Turchia intende svolgere a livello regionale e globale: i rapporti con la Nato e l’Unione europea, con gli Stati Uniti e la Russia, la posizione sulla guerra in Ucraina. A ciò si aggiungono altre questioni: l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica, le tensioni con la Grecia nel Mediterraneo orientale, il processo di riappacificazione con la Siria, l’Egitto e gli altri Paesi del Medio Oriente. Oltre al suo ruolo sullo scacchiere internazionale, le elezioni determineranno il futuro della democrazia in Turchia e potrebbero avere effetti sullo stato della sua economia.
Il “Sultano” contro l’opposizione
Recep Tayyip Erdogan, 69 anni, si è presentato alle urne con la coalizione Alleanza del popolo. Oltre alla sua formazione politica, il Partito giustizia e sviluppo (Akp), l’asse include il Partito del movimento nazionalista (Mhp) e, da poco, alcune formazioni più piccole, tra cui il nuovo Partito del benessere (Rp), formazione islamista guidata da Fatih Erbakar.
A sfidare Erdogan il candidato unitario di sei partiti d’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, 74 anni. Soprannominato il “Gandhi turco” per la sua somiglianza con il Mahatma e i suoi modi calmi, è da quasi 15 anni il leader della formazione laica e di centrosinistra fondata da Ataturk, il Partito popolare repubblicano (Chp). Nella campagna elettorale ha rimarcato di essere un alevita, una minoranza perseguitata a lungo dalla maggioranza sunnita. Pur non essendo dotato di particolare carisma, Kilicdaroglu è noto per la sua onestà e frugalità.
La coalizione d’opposizione, l’Alleanza della Nazione o Tavolo dei sei, richiama l’asse che nel 2019 riuscì a conquistare Ankara e Istanbul. Oltre al Chp, la coalizione comprende il Buon partito (Iyi), la formazione nazionalista di Meral Aksener, e quattro formazioni più piccole. C’è il Partito democratico (Dp), l’islamista Partito della felicità (Sp) e due formazioni fondate da ex politici dell’Akp: l’islamo-conservatore Partito del futuro (Gp) dell’ex Primo ministro Ahmet Davutoglu, e il Partito della democrazia e del progresso (Deva) dell’ex Ministro dell’Economia Ali Babacan. La coalizione è piuttosto eterogenea e va da destra a sinistra. La stessa designazione di Kilicdaroglu era stata inizialmente contestata dalla leader del Buon partito.
Si è schierato a favore di Kilicdaroglu anche il Partito democratico dei popoli (Hdp). In cambio del sostegno della formazione filocurda, iscritta nelle liste del Partito della sinistra verde (Ysp), il leader dell’opposizione ha promesso di rilasciare Selahattin Demirtas, l’ex Presidente dell’Hdp in carcere dal 2016 con accuse legate al terrorismo. Kilicdaroglu, inoltre, ha promesso di risolvere la “questione curda” in Parlamento.
La democrazia in gioco
Uno dei terreni su cui si è giocato il confronto elettorale è la democrazia, al centro del programma elettorale del Tavolo dei sei. La Turchia, infatti, è da anni alle prese con una svolta autoritaria. Soprattutto dopo il tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016, il governo ha incarcerato oppositori, giornalisti, generali, magistrati, soffocando il dissenso e occupando con i suoi uomini i gangli del potere. Nel 2017 ha introdotto mediante referendum il sistema presidenziale, accentrando ulteriormente il potere nelle sue mani.
«A tutti noi è mancata la democrazia», ha detto Kilicdaroglu al momento del voto. «Ci è mancato stare insieme, ci è mancato abbracciarci. Vedrete, la primavera tornerà in questo Paese se Dio vorrà e durerà per sempre».
Nel Memorandum of Understanding of Common Policies, pubblicato nel 2023, i partiti d’opposizione si pongono proprio l’obiettivo di stabilire «una democrazia libertaria, partecipatoria e pluralista». La coalizione ha delineato un piano di transizione verso un «sistema parlamentare rafforzato», considerando quello presidenziale una forma di governo «arbitraria e senza regole vincolanti».
Altri obiettivi dell’opposizione sono l’indipendenza del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione, il rispetto dei diritti umani e dei trattati internazionali firmati dalla Turchia. A ciò si aggiunge la fine delle ingiustizie e delle incarcerazioni illegali previste dai decreti d’emergenza che hanno seguito il tentato golpe del 2016.
Il futuro dell’economia
L’altro punto chiave del confronto elettorale è l’economia. La Turchia sta affrontando una crisi economico-finanziaria, aggravata dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina e dal devastante terremoto. L’inflazione è al 55.2%, secondo il dato di febbraio, comunque in calo rispetto al picco dell’85.5% registrato lo scorso ottobre. Secondo gli economisti indipendenti dell’ENAgrup si attesta al 126.9%. Inoltre, in cinque anni la lira turca ha perso l’80% del suo valore rispetto al dollaro. E i cittadini hanno visto evaporare il loro potere d’acquisto.
Numerosi economisti ritengono Erdogan responsabile di queste difficoltà. Perché ha minato l’indipendenza della Banca centrale, cambiando per tre volte il governatore. E perché ha imposto una linea economica non ortodossa – la cosiddetta “Erdonomics” – che prevede di combattere l’inflazione abbassando i tassi di interesse. Il resto dell’Occidente tende invece ad alzarli: Stati Uniti ed Unione europea lo stanno facendo dall’inizio dell’“operazione militare speciale” in Ucraina.
Per fronteggiare le difficoltà economiche e racimolare maggiori consensi, il governo aveva messo in campo diverse misure di sostegno fiscale, tra cui l’aumento del salario minimo, degli stipendi nel settore pubblico e delle pensioni, abbassando al contempo l’età pensionabile.
In questo quadro, le opposizioni hanno giocato la loro campagna elettorale sulla questione economica, puntando a «sradicare la povertà estrema» e a «non lasciare nessun cittadino indietro». Obiettivi da raggiungere attraverso politiche monetarie ortodosse, indipendenza della Banca centrale, sistema di pesi e contrappesi. Nel programma del Chp per i “Primi 100 giorni”, Kilicdaroglu ha promesso pasti gratis nelle scuole pubbliche e una migliore assistenza sociale ai cittadini con redditi bassi.
Le conseguenze del terremoto
Centrali nella campagna elettorale anche le conseguenze del sisma del 6 febbraio, che ha provocato oltre 51 mila vittime e 3.3 milioni di sfollati. Secondo una stima contenuta in un rapporto del governo turco confermato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), i costi economici oltrepasserebbero i 103 miliardi di dollari, un valore pari a circa il 9% del Pil turco per il 2023.
Erdogan si era impegnato a riedificare entro un anno oltre 300 mila case. La ricostruzione, però, sembra richiedere più tempo, anche per la necessità di adeguare le nuove abitazioni alle norme antisismiche.
In ogni caso, le opposizioni hanno puntato il dito contro la cattiva gestione del terremoto, accusando Erdogan e i vertici dell’Akp di ritardi nelle operazioni di salvataggio e di mancato rispetto della normativa edilizia, in vigore dal sisma del 1999. Nel 2018, anno delle precedenti elezioni, il governo aveva approvato un condono edilizio, sanando costruzioni prive degli standard antisismici.
Se vincesse Kilicdaroglu?
Non è detto che Erdogan accetterebbe una sconfitta. Il “Sultano” è al governo da vent’anni e ha progressivamente accentrato il potere nelle sue mani. Anche se nella notte ha dichiarato che avrebbe rispettato l’esito del voto, è difficile immaginare Erdogan lasciare pacificamente il governo nelle mani del suo successore.
Peraltro, ha recentemente dichiarato che la coalizione d’opposizione è associata con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che viene considerato quale organizzazione terroristica non solo dalla Turchia, ma anche da Stati Uniti e Unione europea. Il Ministro dell’Interno, Suleyman Soylu, aveva parlato del 14 maggio come di un «tentato golpe».
In caso di vittoria, Kilicdaroglu dovrebbe comunque affrontare altre sfide. Anzitutto, non è facile garantire stabilità politica tenendo assieme una coalizione così eterogenea, anche se il leader del Chp viene considerato una figura moderata capace di gestire i conflitti attraverso il dialogo. Inoltre, dovrebbe smantellare un sistema che è stato costruito negli ultimi vent’anni e che vede uomini dell’Akp in tutti i gangli del potere.
Anche in caso di vittoria di Kilicdaroglu la traiettoria non è certa. Fatto sta che il ballottaggio potrebbe rappresentare uno spartiacque per determinare i destini di un Paese chiave, crocevia tra Europa, Asia e Africa. Bisogna dunque attendere il 28 maggio per sapere che ne sarà della Turchia, del suo sistema di governo e del suo profilo internazionale.