Cosa succede se una mamma ha l’ingrato compito di scegliere a quale figlio far seguire le lezioni? È quanto accade nell’Italia della pandemia e nella scuola della didattica a distanza, in cui non tutti i ragazzi possono accedere alle lezioni, sia per l’assenza di una connessione internet sia per la scarsa disponibilità di dispositivi elettronici adeguati.
I dati Istat
Secondo un’indagine Istat, infatti, nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie italiane non ha computer o tablet in casa. Solo per il 22,2% delle famiglie, ogni componente ha a disposizione un pc o tablet. Nel Mezzogiorno, è invece il 41,6% delle famiglie ad essere sprovvisto di computer in casa -rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese- e solo il 14,1% ha a disposizione almeno un computer per ciascun componente.
Il 12,3% dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni non ha un computer o un tablet a casa, la quota raggiunge quasi un quinto nel Mezzogiorno, per un totale di 470mila ragazzi. Solo il 6,1% vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per ogni componente.
Il problema della didattica a distanza riguarda anche gli spazi. Spesso un nucleo familiare è costretto a far coesistere in pochi metri quadrati ambienti lavorativi per gli adulti e spazi dedicati all’istruzione dei più piccoli. L’Istat ha rilevato che oltre un quarto delle persone vive in condizioni di sovraffollamento abitativo. La quota sale al 41,9% tra i minori.
Essere insegnanti durante la dad
«Nella mia classe ci sono due bambini che purtroppo sono “latitanti”, e non certo per colpa loro o delle loro famiglie. In casa hanno solo un computer e la connessione per di più è pessima. I due figli più grandi sono alle superiori e uno dei due quest’anno ha la maturità. Ogni giorno mettono in campo la stessa dura scelta: a chi facciamo seguire le lezioni? Nessuna famiglia dovrebbe essere costretta a scegliere quale figlio istruire».
A parlare è Flora, una maestra con esperienza trentennale e studi di pedagogia alle spalle. Insegna in un paese della BAT (Barletta – Andria – Trani), in Puglia, dove il Tar di Bari ha stabilito che, dopo le proteste dei genitori contrari alla dad, ciascuna famiglia ha facoltà decisionale riguardo al far seguire in presenza o meno le lezioni ai figli.
La situazione in Puglia
Sono 367mila gli studenti dell’infanzia, della primaria e delle medie per i quali sono state riaperte le scuole in Puglia.
«Il risultato – continua Flora – è che la dad è stata sostituita dalla ddi, cioè didattica digitale integrata. La differenza è sostanziale, perché adesso le maestre devono occuparsi contemporaneamente sia dell’insegnamento in presenza sia di quello a distanza. Una situazione che ha dell’assurdo», denuncia la maestra pugliese.
Nonostante i docenti abbiano seguito dei corsi di formazione per utilizzare i dispositivi e i programmi utili per la didattica a distanza, il vero problema resta la scarsità dei mezzi disponibili: «A scuola non abbiamo la lavagna digitale, quindi gli insegnati sono costretti ad utilizzare i propri computer. Ma così i bambini che sono in classe si perdono gran parte del lavoro».
A gravare è anche la condizione della rete internet: «Nelle aule la connessione è pessima, quindi spesso siamo costretti a seguire gli alunni che sono a casa posizionando il computer nel corridoio, mentre fisicamente dovremmo essere in classe con gli altri». Ma la situazione pare essere grave non solo nei paesi di provincia: «Sono in contatto con colleghe che lavorano a Bari e anche lì hanno forti difficoltà».
Il ruolo dei genitori
Grazie alla dad, però, i genitori si sono finalmente resi conto delle difficoltà dell’insegnamento: «Hanno compreso che dietro un semplice calcolo, c’è tanta professionalità, ci sono molti sforzi da parte del corpo docente per farlo apprendere al meglio all’alunno».
Dall’altra parte, la costante sorveglianza dei genitori può creare grossi danni all’apprendimento del bambino. Flora ha raccontato di come, nonostante lei sia estremamente attenta a far sì che nessuno dei suoi alunni si senta “inferiore”, i genitori «sono in ansia, perché non vogliono che il loro bambino risponda in ritardo e risulti meno bravo agli occhi dei compagni e dei loro genitori. Questo li porta a suggerire le risposte, impedendomi di capire se la spiegazione sia stata recepita e creando, di conseguenza, insicurezza e carenza di autonomia».
Le conseguenze sull’apprendimento
In determinate fasce d’età il rapporto tra insegnante e alunno e il distacco dai genitori risulta fondamentale: «Come affermato dal pedagogista svizzero, Jean Piaget, i bambini fino ai 12/13 anni, necessitano di operazioni concrete, per cui, per loro, la didattica a distanza risulta contronatura. Hanno bisogno di toccare e di guardare e le lezioni da remoto risultano un limite. Si crea un sovraccarico di tempi e di voci che non è facile gestire».
Parola d’ordine: adattarsi
Lo scorso anno scolastico, dopo la chiusura degli istituti a causa dell’emergenza sanitaria, Flora e i suoi colleghi si sono attrezzati per fare lezione con l’applicazione di messaggistica Whatsapp: «Con quella piattaforma dovevo fare sei volte la stessa lezione. Sono stata costretta a dividere i bambini in gruppi, perché l’applicazione non permetteva videochiamate con più di quattro persone. In una delle classi poi c’è anche un bambino con disabilità, col quale preferivamo fare una lezione individuale, per dedicargli maggiore attenzione».
Le lezioni poi sono state trasferite su un’altra piattaforma, ma, racconta Flora, hanno continuato «a dividere la classe in tre gruppi per permettere ai bambini di seguire meglio le lezioni». E aggiunge: «Per i bambini di prima elementare è ancor più difficile. Hanno bisogno dello sguardo presente e di più attenzione. Se si continua così, la perdita dell’anno, in termini di apprendimento, è inevitabile».