Una vita, la sua, all’insegna della giustizia. Armando Spataro è stato un magistrato e giurista italiano. Nel corso della sua carriera si è occupato di terrorismo interno, internazionale e di mafia a partire dal 1977, pochi mesi dopo essere stato destinato alla Procura di Milano. Ha operato negli anni più duri, i più sanguinari della storia della Repubblica. Gli anni in cui gli attentati, le bombe, i sequestri di persona erano all’ordine del giorno. Non si è mai occupato direttamente di terrorismo di matrice anarchica ma, data la sua esperienza, delinea e aiuta a comprendere meglio l’ideologia che muove gli anarchici.
Quale idea si è fatto del momento storico che stiamo vivendo?
Io non credo vi sarà un’escalation di violenza. È chiaro che la vicenda Cospito ha eccitato gli animi degli osservatori e ancora di più quelli dei gruppi anarchici. Però, non direi che questo sia un momento caratterizzato da rischi di violenza simile a quella conosciuta in anni lontani. Recentemente abbiamo vissuto anche altri momenti di violenza, come in occasione delle manifestazioni di piazza dei cosiddetti “movimenti No Vax”, ma resto dell’idea che sia sempre meglio esaminare ogni situazione critica con grande freddezza. Sono sì atti di violenza da contrastare con determinazione, ma – ripeto – non paragonabili a quelli che abbiamo conosciuto tra gli anni ’60 e ’80, gli “anni di piombo”.
Oltre alla liberazione di Cospito, quali sono storicamente le accuse lanciate da questi gruppi sovversivi allo Stato che ritroviamo anche nelle proteste di oggi?
Gli anarchici da sempre non hanno un progetto politico. Il loro obiettivo non è quello di abbattere la classe politica dominante. Per definizione, infatti, l’anarchismo non è solo un’area non organizzata e priva di un coordinamento, ma anche una realtà che opera con finalità e in situazioni variabili. Gli anarchici
criminali vogliono colpire con violenza ciò che di volta in volta non è loro socialmente e politicamente gradito e che, a loro dire, in contrasto. Per esempio, negli ultimi anni si sono impegnati contro la Tav, hanno attaccato i centri di permanenza degli immigrati, si sono battuti per le tematiche ambientali e contro un sistema carcerario troppo duro. Le loro motivazioni di fondo possono essere giuste: chi non penserebbe che non lo sia l’impegno per la tutela dell’ambiente? È il modo di agire, però, a essere sbagliato: violenza diffusa e uso delle bombe non sono di certo lo strumento per richiamare attenzione sociale su certi temi.
Quella degli anarchici è un’ideologia distruttiva. Perché compiono questi atti violenti?
Perché sono violenti per scelta a prescindere. Io non ho mai individuato un fine unitario se non quello di fare violenza, spaventare il potere, colpire emotivamente il popolo. È questo l’anarchismo: è responsabile di reati dalle più svariate finalità che, di volta in volta, vengono fuori. Anche questa è la ragione per cui esiste la “galassia anarchica sovranazionale”, gruppi di varie nazioni e orientamenti politici differenti che si uniscono attorno a specifici temi.
Cospito è uno dei pochi anarchici detenuto al 41 bis. Giuridicamente parlando, lei ritiene corretto questo regime nei suoi confronti?
La questione è delicata, ma ritengo giustificata la decisione che fu assunta dall’allora Ministra Cartabia: il 41 bis è l’unico regime che può impedire suoi contatti pericolosi con l’esterno. E che Cospito abbia comunicato con l’esterno l’ha confermato lui stesso, incitando i suoi sostenitori a continuare la loro attività nonostante le conseguenze possibili. Per me basta questo per dire che il 41 bis è stato giustamente applicato. I pareri, poi, possono essere discordanti. Il procuratore della Cassazione sembra non pensarla in questo modo, dato che ha chiesto un nuovo esame della sussistenza dei requisiti giuridici per l’applicazione del 41 bis, mentre il procuratore generale di Torino, invece, ha chiesto che sia confermato. A proporre una via di mezzo è stato il procuratore nazionale antimafia che ha suggerito un regime di alta sicurezza. Altro discorso ovviamente è quello del rispetto e della dignità del detenuto. Anche il peggiore criminale deve essere trattato in modo dignitoso. Il carcere deve essere vivibile, appositamente attrezzato e rispettoso dei diritti dell’uomo.
Ci sono elementi per sostenere la presenza di rapporti tra gruppi anarchici e quelli mafiosi?
Secondo me no. Non si può affermare un legame solo per alcuni contatti avvenuti in carcere tra Cospito e alcuni criminali mafiosi pure sottoposti al 41 bis. Queste relazioni tra detenuti sono comuni e non rimandano affatto, a mio avviso, a una continuità esterna tra anarchici e criminalità organizzata, comune o mafiosa.
A Cospito è stata sempre garantita assistenza sanitaria. Ora che è stato trasferito a Milano, è ancora più seguito. Ma se lui rifiuta di essere curato, lo Stato che responsabilità ha?
Il problema è innanzitutto quello dell’alimentazione. Le cure finché si possono fare e lui le accetta vanno somministrate. Cospito, però, ha messo ufficialmente per iscritto che non accetterebbe un’alimentazione forzata o un trattamento sanitario obbligatorio, anche se poi perdesse la capacità di intendere e volere. E questo, a norma di Costituzione, va rispettato ed è anche nella competenza dei medici, in sinergia con i magistrati, valutare se la sua volontà è stata espressa in modo consapevole o meno. Adesso sembrerebbe di sì, anche perché lo ha richiesto fin dai primi “passi” del suo sciopero della fame. Lui, seguendo il diritto, può lasciarsi morire.
La situazione di Cospito può creare ancora più seguito ed emulazione. Che cosa può fare lo Stato per evitare di rinforzare questi gruppi?
Credo che la decisione su Cospito debba essere presa indipendentemente da quello che avviene fuori o che chiede lui stesso: ossia la revoca del 41 bis per tutti. Altrimenti lo Stato si lascerebbe condizionare. Poi per quanto riguarda le manifestazioni, sono un diritto dei cittadini, ma è chiaro che se si verificano atti di violenza questi devono essere repressi in modo proporzionato, punto e basta. Ovvio che anche in questo caso serve attenzione e prudenza perché non è compito dello Stato scatenare o diffondere violenze di piazza. Al corteo dell’11 febbraio a Milano c’erano circa 400 persone che sì, sono tante, ma non migliaia. Poi è evidente che se si individuano i responsabili di reato, come nel caso degli undici indagati di quella manifestazione, vanno puniti.
Come sta reagendo lo Stato di fronte a questa situazione?
Se si riferisce alle mie valutazioni sull’azione in generale del Governo, in nome della sicurezza, preferisco evitare di rispondere.
Chi sta perdendo nel dibattito che si è creato sulla vicenda di Cospito?
Io spero che a livello istituzionale non perda nessuno, sia ben chiaro. Spero che le istituzioni sappiano trovare la strada dritta. Sarebbe inaccettabile che chi ha responsabilità politiche, qualunque sia il suo colore, non si faccia carico di rispettare i principi generali che caratterizzano la nostra Costituzione. È
vero che vi è prevista la tutela dei diritti dei detenuti, ma anche quella della società e dei cittadini. Quindi, va respinta ogni forma di populismo, che può far guadagnare consensi politici ma che non deve per questo essere vincente sul rispetto dei diritti.