«Dopo aver fatto tanto per conquistare una nostra indipendenza, adesso ci sembra di tornare indietro. La persona non vedente, in questi mesi, si è sentita spogliata del diritto a muoversi in autonomia». È questa la sensazione che prova Arjola Dedaj, atleta paralimpica della Nazionale Italiana, dopo l’esperienza vissuta negli ultimi mesi. Le sue parole trovano eco in quelle di un altro appassionato di sport non vendente, Michele Pavan, fondatore della onlus “Disabilincorsa”: «Oggi, il problema più grosso è la mobilità autonoma: ho ancora paura a prendere il treno e i mezzi pubblici da solo. Le indicazioni utili al distanziamento sociale sono esclusivamente visive. Un non vedente non può capire da solo dove è possibile sedersi».
Ad aggravare la situazione, si sono aggiunte le norme introdotte dalla Rete Ferroviaria Italiana per i servizi di assistenza alle persone a mobilità ridotta: «siamo stati avvisati da una mail che, per garantire maggior distanziamento tra accompagnatore e viaggiatore, quest’ultimo si dovrà accomodare su una sedia a rotelle e sarà fatto salire a bordo con un carrello elevatore», spiega Pavan. La procedura però può essere messa in pratica solo nelle stazioni in cui è presente questo strumento: «a Milano Centrale c’è il carrello elevatore, ma non alla stazione di Treviglio». Senza la presenza dell’accompagnatore, muoversi senza l’aiuto di amici o parenti diventa quasi impossibile.
Nei mesi scorsi le difficoltà affrontate dai non vendenti sono state ancora più importanti, soprattutto per chi ha contratto il virus, come Michele e sua moglie Daniela: «Siamo stati costretti a letto per diverso tempo. Ci è rimasta tanta amarezza per il modo in cui non siamo stati seguiti: abbiamo chiamato tutti i numeri di emergenza, dal numero verde della provincia di Bergamo al medico di base, ma siamo stati rimbalzati e non ascoltati. La risposta quasi sempre è stata “Respirate ancora? Allora chiamateci quando non respirate più”. Possiamo dire di essere fortunati a essere qui a parlarne».
Oltre alla malattia, si sono presentati una serie di problemi logistici, dalla spesa alla gestione del cane guida.
«Durante la Fase 1, non era possibile essere accompagnati a fare la spesa a causa delle misure di distanziamento sociale e non si riusciva neanche a ordinarla online dai supermercati. Ci siamo quindi affidati a un gruppo di volontari di Romano di Lombardia». La situazione non si è risolta con l’inizio della Fase 2: «Le persone con disabilità potevano essere accompagnate ma solo se l’altra persona manteneva la distanza di un metro, per gli spostamenti ordinari, e di due metri per svolgere attività sportiva». Evidentemente questo rendeva impossibile uscire di casa in sicurezza sia a un non vedente che a persone con altre disabilità.
«Con la nostra associazione “Disabilincorsa” abbiamo provato a far presente questa difficoltà ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Per fortuna ora le cose sono cambiate», continua Michele.
Un altro aspetto che in questi mesi non è stato preso in considerazione è lo stato di salute dei cani guida. Questi animali non sono solo una compagnia per i non vedenti, ma sono indispensabili per la loro vita quotidiana. «Mentre eravamo malati, -spiega Michele – io e mia moglie siamo riusciti a far uscire il nostro cane solo grazie ad alcuni amici. Quando siamo guariti, non avendo un giardino né un parco nelle vicinanze, abbiamo potuto portarlo a camminare solo per brevi tratti, quando invece avrebbe bisogno di muoversi molto di più per mantenersi in allenamento e svolgere il suo compito di guida». Durante il lockdown l’ordine dei veterinari ha chiesto ai dottori di cancellare tutti gli appuntamenti e di ricevere solo le urgenze: «Il nostro cane però ha bisogno di fare un vaccino tutti i mesi, senza il quale sta male. Siamo riusciti a somministrarglielo solo grazie a una nostra amica infermiera».
Negli ultimi mesi la possibilità di fare sport e attività fisica è stata molto dibattuta. Arjola Dedaj, che gareggia nelle specialità dei 100 e 200 metri di corsa e nel santo il lungo, ha trascorso la quarantena a Salerno con il marito, Emanuele Di Marino, a sua volta atleta parlimpico. I due hanno dato vita al progetto “La Coppia Dei Sogni”, attraverso il quale parlano di uguaglianza, disabilità e pari opportunità. «Abbiamo potuto iniziare ad allenarci solo a partire da giugno – spiega Arjola – mentre abbiamo saputo che a Milano i campi hanno aperto già a maggio. Sono fortunata perché la mia disciplina si svolge all’aperto e quindi è più facile rispettare le distanze».
Il rinvio delle Olimpiadi di Tokyo 2020 non è stata una bella notizia, «ma ci rendiamo conto che la gravità della pandemia non lasciava alternative. Non ci resta che stringere i denti e prepararci per un altro anno, anche se non sarà facile da tanti punti di vista, a partire da quello economico. In questo periodo è infatti molto difficile trovare delle nuove sponsorizzazioni».
La speranza è che non tutte le competizioni del 2020 siano annullate, «sarebbe bello riuscire a fare qualche gara quest’anno, altrimenti senza obiettivi si fa fatica a mantenere un livello di adrenalina e stimolo alto».
Il desiderio più grande, dopo questa esperienza, è quello di tornare alla normalità: «abbiamo imparato a non dare niente per scontato e ci auguriamo di ricominciare presto a gioire delle emozioni che lo sport ci regala».