Chiuse le urne, cominciano le trattative per disegnare il nuovo assetto degli equilibri europei. La partita si gioca su più tavoli: dalla formazione dei gruppi parlamentari alla costruzione di una nuova maggioranza, fino alla nomina dei vertici dell’Unione. La nomina, cioè, dei presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento, insieme all’Alto rappresentante per gli affari esteri. Il tutto con una certezza: i popolari hanno ottenuto un grande successo, confermandosi di gran lunga la prima forza politica dell’Unione e guadagnando – secondo le ultime proiezioni – ben 7 seggi rispetto alle europee del 2019. Un successo che inciderà sui negoziati e che, inevitabilmente, spinge la ricandidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Ricandidatura che dovrà passare dal voto del Parlamento e il cui esito dipenderà dalla nuova configurazione dell’Eurocamera.
La composizione della futura maggioranza
Malgrado i buoni risultati delle forze euroscettiche in alcuni Paesi dell’Unione, anzitutto Francia e Germania, gli equilibri parlamentari non dovrebbero differire da quelli della scorsa legislatura. Con i 186 seggi del Partito popolare europeo (Ppe), i 135 dei Socialisti&Democratici (S&D) e i 79 di Renew Europe, le prime tre forze politiche hanno ancora i numeri per confermare la maggioranza uscita dalle europee del 2019. Soprattutto vista l’indisponibilità di socialisti e liberali ad allearsi con l’Ecr, i Conservatori e riformisti guidati dalla premier italiana Giorgia Meloni. I quali, a loro volta, non hanno abbastanza seggi per formare una maggioranza da soli con i popolari.
I gruppi, però, non sono ancora formati, e qualcosa potrebbe cambiare nella loro configurazione. A cominciare dai liberali, che rischiano di perdere alcuni seggi: tutto dipenderà dalla scelta di votare o meno l’espulsione dell’olandese Vvd, il Partito popolare per la libertà e la democrazia del premier uscente Mark Rutte, reo di essere andato al governo con la destra radicale di Geert Wilders. Nel frattempo, però, la presidente Valérie Hayer promette nuovi ingressi nel gruppo.
Accordi e tensioni nella destra
Nelle prossime settimane si potrà poi osservare una crescita dei conservatori, che già contano 73 seggi a fronte dei 67 delle ultime europee. L’Ecr potrebbe pescare dai non iscritti (45 europarlamentari) e dai partiti entrati per la prima volta in Parlamento (55). Nel primo raggruppamento siede Fidesz, la formazione del premier ungherese Viktor Orbán che conta 10 deputati. Il leader magiaro ha a lungo flirtato con l’Ecr e con la stessa Identità e democrazia, il gruppo dei sovranisti guidato dalla francese Marine Le Pen, ma Fratelli d’Italia già cinque anni fa aveva scansato il progetto di un’unione tra sovranisti e conservatori. La proposta del leader ungherese di entrare in Ecr, avanzata a febbraio, aveva invece incontrato l’opposizione della delegazione ceca, che minacciò il passaggio ai popolari. Quella di Orbán è infatti una figura scomoda, che rischia di compromettere il tentativo di presentarsi come interlocutori credibili del Ppe.
Un discorso simile vale per Alternative für Deutschland (AfD), che malgrado gli scandali legati a finanziamenti e influenze straniere – cioè russe e cinesi – è arrivato secondo alle europee in Germania, ottenendo 16 seggi in Parlamento. Espulso a fine maggio da Id per le frasi a sostegno delle SS del capolista Maximilian Krah, il partito neonazista tedesco ha silurato il suo scomodo leader e ha già chiesto di rientrare nel gruppo dei sovranisti. Le Pen, Salvini e gli altri capi di Id si incontreranno il 12 giugno a Bruxelles per valutare la richiesta. AfD potrebbe comunque presiedere alla formazione di un suo gruppo parlamentare, ma per farlo ha bisogno di almeno 23 deputati provenienti da non meno di sette Stati membri.
La candidatura di von der Leyen
Quanto alla Commissione, l’esito del voto ha rafforzato la candidatura di Ursula von der Leyen. La presidente uscente è la Spitzenkandidat del Partito popolare, ossia la figura che questo gruppo europeo propone per la posizione più importante all’interno dell’Unione. Per essere riconfermata, l’ex ministra della Difesa tedesca ha però bisogno di un accordo nel Consiglio europeo, a maggioranza, e poi del voto di fiducia del Parlamento.
Chiari vincitori delle elezioni, i popolari hanno già rilanciato la sua candidatura. A spoglio non ancora ultimato, il presidente del Ppe Manfred Weber ha invitato socialisti e liberali a sostenere von der Leyen per creare «un’alleanza pro-europea». In risposta, ha ottenuto un’apertura da entrambi gli interlocutori, che invece hanno visto un ridimensionamento del loro consenso e che quindi difficilmente potranno imporre scelte al partito che ha vinto le europee. I tre gruppi contano insieme 400 seggi, 39 sopra la maggioranza, ma il margine potrebbe rivelarsi troppo esiguo. Lo scrutinio, infatti, è segreto, e la rielezione di von der Leyen potrebbe essere minata da una compagine di franchi tiratori, che gli analisti stima intorno al 10%. Per andare al voto con una certa tranquillità, la presidente uscente dovrà dunque trovare almeno una cinquantina di voti in più.
La fitta trama per la riconferma di von der Leyen
A destra, la politica tedesca potrebbe cercare un’alleanza con la premier italiana Giorgia Meloni e con quello ceco Petr Fiala, entrambi appartenenti al gruppo dei conservatori. Meloni, in particolare, si è a lungo spesa per tessere buoni rapporti con von der Leyen. Con lo scopo di uscire da un isolamento politico che non permette a Ecr di incidere sulle decisioni europee.
Per ottenere il sostegno della premier, la Spitzenkandidat dei popolari ovviamente dovrà dare qualcosa in cambio. Una possibilità consiste nella nomina a vicepresidente esecutivo di un commissario indicato da Palazzo Chigi. Un privilegio che l’Italia ottiene a legislature alterne, e che stando a questo schema dovrebbe spettare a Roma in questo quinquennio.
L’altro fronte su cui von der Leyen può lavorare è quello a sinistra, ossia quello dei Verdi. Il gruppo può contare su 53 seggi, 18 in meno rispetto alla scorse europee. Per conquistarli, la presidente uscente dovrà per forza concedere qualcosa sul Green Deal. Un’intesa con Meloni potrebbe però allontanare gli alleati di sinistra che già nel 2019 non votarono per lei.
Perché questa fitta trama di negoziati vada in porto, von der Leyen dovrà ovviamente superare il primo scoglio. Dovrà cioè essere nominata dalla maggioranza del Consiglio europeo, dove siedono i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri. Per il momento, il presidente francese Emmanuel Macron, grande sconfitto delle elezioni, non sembra avere il peso sufficiente per imporsi, come fece cinque anni fa quando bloccò la nomina di Weber, allora Spitzenkandidat dei popolari.
Le tempistiche
I nuovi assetti politici dell’Unione dovrebbero delinearsi nelle prossime settimane. La prima fase del dopo-elezioni vedrà la nascita dei gruppi parlamentari e la prima plenaria a Strasburgo, in programma dal 16 al 19 luglio. In quell’occasione gli eurodeputati dovrebbero votare il presidente del Parlamento, che rimarrà in carica per due anni e mezzo rinnovabili.
Un passo fondamentale sarà la prossima riunione del Consiglio europeo, fissata per il 27 e il 28 giugno. A due giorni dal voto in Francia, i capi di Stato o di governo dei Paesi membri saranno chiamati a indicare il candidato alla massima carica della Commissione. Un’indicazione in tal senso potrebbe arrivare già durante la cena informale dei leader europei, in programma per il 17 giugno.
Quale che sia il nome, questo dovrà poi ottenere la fiducia del Parlamento, che potrebbe arrivare già durante la seduta inaugurale di metà luglio. Se il candidato non dovesse ottenere la maggioranza dei voti, il Consiglio avrebbe un mese di tempo per proporre un altro nome. In tal caso se ne riparlerebbe dopo l’estate, il 16 settembre.
Una volta eletto, il presidente della Commissione nominerà i commissari, sulla base delle indicazioni di ciascuno Stato membro, che di fatto ha il diritto a esprimere un esponente della Commissione. Questi nomi, insieme a quello del presidente, dovranno poi essere sottoposti a un nuovo voto di fiducia dell’Eurocamera. Una volta ottenuta, il Consiglio europeo procederà a maggioranza qualificata a nominare l’esecutivo. Si vedrà se se sarà ancora von der Leyen a presiederlo.