Art.415 bis – Il nuovo reato di “non-violenza” nelle carceri

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Con l’articolo 18 del disegno di legge in materia di sicurezza nelle carceri, si introduce nel codice penale un nuovo reato tipizzato all’art. 415 bis. La nuova norma punisce «chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, organizza una rivolta di tre o più persone, attraverso violenza o minaccia, resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti o con tentativi di evasione».

La norma presenta numerose criticità che vanno analizzate con più attenzione.

Cosa c’è di nuovo?

La novità innanzitutto non risiede nel condannare le condotte violente del detenuto che erano già ampiamente perseguibili. Tanto meno nel titolo: «Rivolta in istituto penitenziario». Il nuovo elemento è dettato invece dalla scelta di equiparare la violenza alla resistenza passiva e alla tentata evasione.

Dunque se tre detenuti dovessero rifiutarsi di eseguire l’ordine di un agente di polizia penitenziaria, ci sarebbero i presupposti per configurare un reato di rivolta.
L’esperto di diritto carcerario Alberto de Sanctis commenta: «Punire la semplice disobbedienza ad ordini impartiti può significare tante cose. Ad esempio incriminare i detenuti che, per protestare contro il sovraffollamento, si rifiutano di pulire o di adempiere agli obblighi lavorativi». Sono tutte condotte che ad oggi configurano solo un illecito disciplinare e che, con la riforma, costituirebbero invece un reato.

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Se tre detenuti dovessero rifiutarsi di eseguire l’ordine di un agente di polizia penitenziaria, ci sarebbero i presupposti per configurare un reato di rivolta.

Si tratta di un intervento normativo che, secondo il giurista Paolo Borgna, «non ha precedenti negli Stati democratici». Si rischia infatti di compromettere ulteriormente la funzione rieducativa del carcere, secondo cui le pene non dovrebbero consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

Le problematiche della nuova legge

Questo aspetto però risulta essere in crisi già da tempo. E reprimere ulteriormente la libertà del detenuto, cui è tolta anche la possibilità di dissentire pacificamente, conferma questa teoria. La ‘resistenza passiva’ rappresenta proprio una rinuncia volontaria alla violenza. È una tappa fondamentale nella presa di coscienza di un detenuto, che dovrebbe poi reintegrarsi in un sistema di relazioni sociali non criminali.

L’aver inserito il tentativo di evasione tra le condotte punite nell’organizzare la rivolta viola inoltre il principio ne bis in idem. Non si può infatti essere puniti due volte e per due delitti diversi a causa della medesima condotta. Così facendo invece, un detenuto verrebbe incriminato per il reato di evasione sia ai sensi dell’art. 385, sia sulla base della nuova norma. Secondo il giurista Borgna, la norma «si tradurrà dunque in un’arma di ricatto». Usata per limitare ulteriormente atti di ribellione, in un contesto che versa spesso in condizioni disumane.

Appaiono lontane le battaglie di Marco Pannella, per il miglioramento delle condizioni – giudicate «illegali» e «criminali» dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – delle carceri italiane. Una situazione a cui di certo non ha posto rimedio neppure la ‘Svuota carceri’. Il decreto legge dovrebbe infatti garantire la tutela dei diritti dei detenuti. Spesso però questo non accade. Riecheggiano allora le parole dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Con quale senso di umanità e civiltà ci si può sottrarre a un minimo sforzo per alleggerire la vergognosa realtà carceraria che macchia l’Italia?».

 

A cura di Cosimo Mazzotta

Cosimo Mazzotta

LAUREATO IN GIURISPRUDENZA ALL'UNIVERSITA' DEL SALENTO CON UN ANNO DI STUDI IN SPAGNA PER APPROFONDIRE LE TEMATICHE DI DIRITTO INTERNAZIONALE. MI INTERESSO DI CRONACA, POLITICA INTERNA E SPETTACOLO. MI PIACE IL DIALOGO IN OGNI SUA FORMA. SFOGO IL MIO SPIRITO CRITICO ATTRAVERSO LA PAROLA E IL DISEGNO.

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