Wikileaks, la Corte di Londra concede l’appello ad Assange

**Aggiornamento**

Si chiama Julian Assange, ma l’opinione pubblica lo conosce con il nome della sua organizzazione: Wikileaks. Giornalista e attivista australiano, rivelò al mondo più di 700mila documenti segreti sulle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti.
E oggi, 26 marzo, la Corte Suprema del Regno Unito ha deciso di concedergli la possibilità di presentare ricorso contro la sua rimozione dal paese. In quella che con un anglicismo si potrebbe chiamare the last chance.

Proteste a Londra per Julian Assange
Il verdetto

Julian Assange ha avuto la possibilità di appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti. Dopo più di un mese di attesa, i giudici hanno preso in considerazione le argomentazioni della difesa basata sulla persecuzione contro «la legittima attività giornalistica». Al fondatore di Wikileaks, quindi, è stato concesso un nuovo appello, e il caso è stato aggiornato al 20 maggio.

Nel frattempo, gli Stati Uniti dovranno fornire ulteriori garanzie su cosa accadrà al giornalista australiano nel caso in cui fosse estradato nel loro paese. E la moglie di Assange continua la sua battaglia in difesa del marito, e poco prima della  sentenza aveva twittato su X: «sto andando alla Corte Reale di Giustizia. Se Julian perdesse questa tornata, sarebbe la fine del percorso dei tribunali britannici».

La whistleblower e l’inizio della fine
Chelsea Manning, ex militare e whistleblower di Julian Assange

La sua battaglia legale inizia nel 2010, quando nel sito Wikileaks.org, Assange pubblica una serie di file secretati relativi alla guerra in Iraq e in Afghanistan, appartenenti alla CIA e ad altre organizzazioni di intelligence statunitensi. Torture, spionaggio, abusi sui prigionieri di guerra e uccisione di civili.
Queste sono solo alcune delle rivelazioni provenienti dai documenti pubblicati da Assange, alcune volte correlati anche da prove visive. Come nel caso del video “collateral murder” che mostra le forze armate statunitensi sparare contro obbiettivi civili a Baghdad, uccidendo anche due giornalisti dell’agenzia Reuters. È chiaro, però, che senza una fonte interna Assange non avrebbe mai avuto accesso a queste informazioni. Ed è qui che si fa avanti Chelsea Manning, nata Bradley. Ex militare della U.S Army, analista ed esperta in tecnologia che nel 2009 ha servito in Iraq. Nel 2010, l’hacker Adrian Lamo la denunciò alle autorità militari dopo la confessione della stessa Manning, di essere stata la fonte di Assange. Lamo venne poi trovato senza vita nel 2018 in circostanze non chiare, dopo essere stato accusato di tradimento dalla comunità hacker e dal fondatore di Wikileaks.

In seguito alla denuncia, nel 2013 Chelsea Manning è stata condannata a 35 anni di carcere per spionaggio. Nel 2017 il presidente Obama le ha concesso la grazia e, dal 12 marzo 2020, è ufficialmente una donna libera.

L’incarcerazione e l’ultimo giudizio

Dopo essersi rifugiato per 7 anni nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, Assange è dal 2019 detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, in base agli accordi sulla giustizia in vigore tra Gran Bretagna e Stati Uniti.
E ora la Corte Suprema del Regno Unito si deve pronunciare definitivamente. L’ultimo livello di giudizio che dispone il sistema giuridico inglese ha, infatti, visionato il ricorso degli avvocati di Assange contro l’accordo di estradizione negli Stati Uniti preso nel 2022 dalla ministra dell’Interno del governo Johnson, Priti Patel.

Se il ricorso dovesse fallire, il padre di Wikileaks verrà trasferito negli Stati Uniti dove potrebbe scontare 175 anni di carcere secondo quanto legiferato dall’Espionage Act del 1917. Tuttavia, la rappresentante del dipartimento di Giustizia statunitense, Clair Dobbin, ha dichiarato che questa opzione paventata dalla difesa non sarebbe realistica.

Stella Assange, moglie del fondatore di Wikileaks

Nel frattempo, la moglie, Stella Assange, non si dà per vinta. Ai tabloid inglesi ha dichiarato che se l’appello non avrà successo verrà presentato ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Rifacendosi all’articolo 39, il cui scopo è fronteggiare un’imminente lesione dei diritti umani garantiti dalla Corte.

Il caso Wikileaks

Il caso Wikileaks è diventato negli ultimi anni una questione molto più ampia ed è chiaro che la politica ha un ruolo importante in questa storia. Nonostante gli Stati Uniti siano stati colpiti nell’orgoglio, Barack Obama aveva deciso di non perseguire Assange. Ma poi, con l’amministrazione Trump, l’atteggiamento è cambiato, sotto una ventata di nazionalismo crescente. Similmente, nel paese natio dell’imputato, il governo guidato dal conservatore Morrison non aveva fornito protezione al suo cittadino. Tuttavia, il partito laburista di Albanese ha chiesto di porre fine alle azioni legali a carico del divulgatore, facendo pressioni sull’amministrazione Biden.

Il 5 marzo, quindi, si decreterà se Assange “vivrà o morirà”, queste le parole della moglie. Ma, anche nello scenario peggiore, il caso Wikileaks ha insegnato che la stampa, libera e indipendente, ha la forza di scuotere le fondamenta del più autorevole dei poteri.

Vittoria Giulia Fassola

Classe 2001. Ligure e anche un po' francese. Laureata in International Relations and Global Affairs, all'Università Cattolica di Milano. Mi interesso di politica estera e di tutto ciò che penso valga la pena di raccontare. Il mio obiettivo? Diventare giornalista televisiva.

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