Ecuador, chi sono i narcos dietro le rivolte

È il 7 gennaio quando, durante un trasferimento verso un carcere di massima sicurezza Adolfo Macías, detto Fito e leader dei narcotrafficanti Choneros, scompare. Il 9 gennaio alcuni narcos attaccano le forze dell’ordine per strada e infiammano molte carceri statali in una enorme rivolta.

Il presidente dell’Ecuador Daniel Noboa annuncia lo ‘stato di conflitto armato interno’. Molto più di un semplice stato di emergenza, come tanti negli ultimi anni se ne sono visti in un Paese sull’orlo del collasso. Dichiara 22 gruppi criminali ‘organizzazioni terroristiche’ e ordina una mobilitazione generale dell’esercito per neutralizzare la minaccia.

In bilico sul precipizio

Secondo un sondaggio datato 2022, il 75% della popolazione ecuadoriana non si fida degli agenti statali. Un numero elevatissimo che dà solo in parte il polso della drammatica situazione in cui lo stato sudamericano è precipitato da qualche anno a questa parte. Violenza e corruzione raggiungono ogni angolo del Paese. E tutto riporta ai narcos, che hanno ormai allungato i loro tentacoli anche sulla polizia. Molti ufficiali sono stati riconosciuti e dichiarati ‘narco-generali’. Addirittura in alcune città – come Duran – gli istituti scolastici sono stati chiusi perché all’interno di distretti ormai presi dalla spirale di assassinii.

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Una perquisizione per le strade della città portuale di Guayaquil

Il problema – anzi uno dei problemi – è che lo stesso presidente Noboa non sembra essere un elemento di rassicurazione per i cittadini. Durante la recente campagna elettorale ha sventolato le promesse di nuovi posti di lavoro e di un ampliamento dei ranghi della polizia. Un modo – così sosteneva – per contrastare l’intenso reclutamento di giovani che le gang compiono strada per strada. Una volta diventato presidente nell’ottobre 2023, Noboa ha assunto una posizione più dura, impegnandosi a usare l’esercito per pattugliare i porti, gli aeroporti e le autostrade.

Strategia che per ora non ha avuto successo. Anzi sembra aver alimentato il desiderio di vendetta da parte delle organizzazioni criminali. Lo stesso governo di Quito ha riconosciuto che l’ultima ondata di violenze è arrivata in risposta al progetto di costruire nuove prigioni di massima sicurezza. E soprattutto Noboa non sembra ancora tenere conto del primo cancro del Paese: l’inondazione di cocaina.

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Il presidente dell’Ecuador Daniel Noboa, eletto in ottobre 2023

Un’autostrada di polvere bianca

Tutta colpa del dollaro?

Ecuador e droga hanno iniziato a diventare sinonimi poco tempo fa. Merito della nomea della Colombia, che con Quito confina da nord. E merito delle organizzazioni criminali, che hanno nascosto più a lungo possibile il suo ruolo cruciale. L’Ecuador – ormai è noto – si può classificare come stato di transito. In poche parole, non compare tra i grandi produttori di stupefacenti, bensì è uno snodo strategico per la loro commercializzazione.

Una posizione ricoperto involontariamente già dagli anni Ottanta del secolo scorso. Quando le strade e i mari ecuadoriani erano trafficati dalla cocaina grezza peruviana, che doveva essere trasportata nei laboratori colombiani per poter poi essere lavorata. Negli anni Duemila, il governo di Quito si trova ad affrontare una grave crisi economica e politica. Da qui la dollarizzazione dell’Ecuador, primo Paese al mondo a sottoporsi a un così radicale cambiamento in campo monetario. Questa decisione ha però dei lati negativi non trascurabili. Il territorio diventa un paradiso per tutte quelle organizzazioni criminali che hanno bisogno di riciclare il denaro guadagnato illegalmente. Uno stato confinante con il più grande produttore di cocaina al mondo che utilizza la valuta del più grande mercato di droga al mondo, gli Stati Uniti.

Presto sia il gruppo paramilitare delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) sia il Cartello di Sinaloa costruiscono avamposti e formano stretti legami con l’Ecuador. E lì mettono le mani sul principale centro di smistamento del Sud America. Nel 2006 viene eletto presidente Rafael Correa. Si venne a scoprire solo dopo – e le ipotesi sono ancora da confermare fino in fondo – che tutta la sua campagna fu finanziata dalle tasche delle FARC.

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L’ex presidente ecuadoriano Rafael Correa

Per comprendere il perché basta guardare la prima mossa di Correa: chiudere la base navale statunitense di Manta. Lasciando così campo libero ai narcotrafficanti. Le cose peggiorano col deteriorarsi progressivo dei rapporti tra Quito, Washington e Bogotà. Sono ridotte al minimo indispensabile tutte le operazioni anti-narcos che vedevano cooperare tra loro più attori internazionali. E la battaglia autoritaria di Correa contro i suoi avversari politici distoglie le forze di sicurezza e di intelligence dalla criminalità organizzata.

Gasolio e sangue

Nel 2016 il tasso di omicidi in Ecuador era di 6 ogni 100mila abitanti. Nel 2022 lo stesso indicatore recita 25 ogni 100mila abitanti. Un aumento dell’86,3% rispetto al 2021. Il trend, però, non sembra voler rallentare. Già solo nella prima metà del 2023 è stato registrato un’ulteriore crescita del 74% rispetto ai dodici mesi precedenti.

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Un grafico che illustra il tasso di omicidi in Ecuador, regione per regione (Fonte: insightcrime.org)

La tendenza è ancor più evidente lungo i cosiddetti cocaine corridors (lett. corridoi di cocaina), le tratte sfruttate dai narcos per il trasferimento della merce. Nella provincia di Los Rìos, che si trova proprio sulla strada verso il porto di Guayaquil, gli assassinii sono aumentati del 153% tra 2021 e 2022.

I percorsi sfruttati per trasportare la cocaina attraverso l’Ecuador sono principalmente due: la rotta Pacifica e la rotta Amazzonica. La prima è per lo più usata per lo smercio di stupefacenti prodotti nella adiacente Nariño, la regione colombiana più ricca di materie prime. Per trasferirla sfruttano i corsi d’acqua nella giungla oppure, via automobile, il ponte Rumichaca. La rotta Amazzonica, invece, prende le sue forniture dalla regione colombiana di Putumayo e attraversa il ponte di San Miguel per farla entrare in territorio ecuadoriano.

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Le principali rotte di narcotraffico attraverso il territorio ecuadoriano (Fonte: insightcrime.org)

Gli episodi di violenza tra gang e su civili tendono a concentrarsi proprio lungo queste arterie del narcotraffico. Il tasso più elevato di omicidi è stato registrato nella provincia di Esmeraldas, al confine con Nariño e ospite del primo tratto della rotta Pacifica. Nella città di Guayaquil, che ospita il porto più trafficato della nazione, le uccisioni sono decuplicate da 293 nel 2016 a 2.033 sei anni dopo. Di pari passo con la crescita dell’importanza ecuadoriana nel traffico internazionale di cocaina e con le sanguinose guerre tra gang per il controllo di un business miliardario.

Gli anni d’oro della coca

A Quito il business degli stupefacenti non è mai stato più florido. Secondo le forze antidroga locali, oltre un terzo della produzione colombiana passa per l’Ecuador. Dagli Stati Uniti la stima è molto superiore. Dando per buona la prima cifra, facciamo qualche calcolo

Gli ultimi dati pubblicati in merito – nel 2021 – fissano a 1400 tonnellate la produzione annua di cocaina in Colombia. Ciò significa che circa 467 tonnellate avrebbero attraversato il territorio ecuadoriano, un aumento del 62% rispetto al 2022. Per un valore di circa 953 milioni di dollari, che renderebbe il commercio di stupefacenti il sesto export più redditizio per Quito. Dato probabilmente in crescita, visto il boom di produzione (+17mila ettari di coltivazioni tra 2016 e 2021) registrato nelle regioni colombiane di Putumayo e Nariño.

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Un grafico che illustra l’aumento di sequestri di stupefacenti in Ecuador negli ultimi anni

Ma ciò che più attira dell’Ecuador sono le sue enormi potenzialità di esportatore internazionale. Nell’ultimo periodo sono lievitate le possibilità di raggiungere i grandi mercati di stupefacenti. In primis gli Stati Uniti grazie a motoscafi, sottomarini, pescherecci e piccoli aeroplani. Ma anche l’Europa e l’Asia, tramite le navi cargo che partono dal porto di Guayaquil e da Puerto Bolivar. Spesso, soprattutto per i viaggi di fortuna, sono reclutate persone povere a cui vengono offerti 30mila dollari per compiere la traversata. Una cifra elevata, che però tiene conto dell’elevato rischio di essere intercettati e arrestati, oppure di scomparire nel nulla.

Dopo che le forze dell’ordine ecuadoriane avevano sequestrato 178 tonnellate di cocaina tra il 2015 e il 2018, nel biennio 21-22 ne hanno bloccate ben 390 tonnellate. Un aumento di circolazione di stupefacenti notabile anche nel continente europeo. Dove negli ultimi sette anni – riporta UNODOC (United Nations Office on Drugs and Crime) – la cocaina proveniente da Guayaquil è aumentata dal 9% al 33% delle confische totali. Ed è inevitabile che su un flusso sempre maggiore di merce sia altrettanto crescente l’influenza e la sete di dollari di molte organizzazioni criminali.

Agenti interni e agenti esterni

Attrazione internazionale

Negli ultimi due decenni del secolo scorso, i porti dell’Ecuador settentrionale hanno progressivamente guadagnato importanza per i narcos colombiani. Motivo per il quale tra i primi gruppi criminali a mettere le mani su quelle infrastrutture ci sono proprio le FARC. Sfruttavano il porto di Nariño per trasportare rapidamente la merce in Ecuador, che fungeva da vero e proprio nascondiglio. Dal 2016, però, la situazione è cambiata. Il governo colombiano è riuscito a firmare un trattato di pace con i leader delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia. E ora il confine nord è conteso tra piccoli gruppi che derivano dalle FARC.

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Un’immagine di miliziani appartenenti alle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia

Anche i narcotrafficanti messicani hanno compreso l’importanza strategica dello stato sudamericano. Sia il Cartello di Sinaloa sia il CJNG hanno stretto legami commerciali e alleanze con gang ecuadoriane. Questo ha permesso loro di assicurarsi un continuo flusso di cocaina colombiana verso gli Stati Uniti e verso lo stesso Messico. Non solo. Sono anni che molte organizzazioni europee, prima tra tutte la mafia albanese, sono coinvolte negli affari ecuadoriani. L’ aumento di omicidi proprio lungo i cocaine corridors è legato agli sforzi dei gruppi locali per mantenere il controllo delle principali arterie in cui operano i gruppi stranieri.

Quito, terra contesa

La situazione non è molto diversa se si guarda la criminalità organizzata ecuadoriana. Un panorama frammentato, composto da diversi gruppi interdipendenti tra loro che mirano al controllo degli stessi ambiti. Dai corridori delle prigioni a quelli della cocaina. Secondo alcuni esperti, il mercato è spaccato al suo interno.

In primo luogo, ci sono le gang che trasportano la cocaina fino alle coste del Messico o del Guatemala. Qui la merce – valutata fino a 3mila dollari al chilogrammo – viene lasciata nelle mani dei grandi gruppi di narcos. Ci sono invece i gruppi che si occupano di trasferire gli stupefacenti dal confine con la Colombia ai porti di mare, dove vengono nascosti dentro container commerciali. Il tutto al prezzo di 2mila dollari al chilogrammo. Da ultimo, c’è chi punta sul traffico aereo. Per soli 200 dollari al chilogrammo, curano la logistica dei velivoli che le organizzazioni internazionali sfruttano per spedire la mercanzia nei Paesi circostanti.

Su questo sfondo atomizzato, a fine anni ’90 emerge la più potente gang ecuadoriana degli ultimi trent’anni: Los Choneros.

Da Manabì alle carceri, il dominio dei Choneros

Attacco al potere

«Molte persone che stanno lavorando alla mia campagna presidenziale hanno ricevuto visite da emissari di Fito. Hanno detto loro che se io continuo a menzionare i Choneros, mi spezzeranno». Il 9 agosto 2023 Fernando Villavicencio parla a un raduno elettorale a Quito, tre mesi prima dell’apertura dei seggi. Saranno le sue ultime parole. Mentre sta per salire sulla sua auto, è raggiunto da alcuni colpi di pistola e ucciso sul posto.

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Un’immagine dei funerali del candidato presidenziale Fernando Villavicencio

Sette persone sono fermate e prese in custodia dalla polizia. Una muore per le ferite riportate nello scontro con gli agenti, sei sono trasferite in carcere. Tutte e sei sono trovate morte in circostanze sospette dopo una delle innumerevoli esplosioni di violenza tra gang nelle prigioni ecuadoriane. Non è ancora chiaro il movente o il mandante dell’uccisione di Villavicencio. Ma molti ci vedono l’ombra dei Choneros, che dal 2022 hanno accumulato minacce e omicidi ai danni di esponenti politici e giudiziari.

Per anni i Choneros sono stati i dominatori assoluti della scena criminale ecuadoriana. L’abilità di trasportare i carichi di stupefacenti dal confine colombiano al porto di Guayaquil in meno di sei ore li rese i perfetti alleati per i grandi gruppi narcos internazionali, per i quali lavoravano come appaltatori. Dal Cartello di Sinaloa a varie mafie europee. La nascita della gang di Manabì, però, è molto più recente di quanto si pensi.

Il Teniente España e i suoi successori

Era noto come Teniente España. Jorge Bismarck Véliz España cresce nella città di Chone, da cui il soprannome El Chonero che dà il nome alla banda di cui fu leader. Inizia a distinguersi nel mondo del narcotraffico durante gli anni Novanta fornendo sostegno armato ai cartelli internazionali con la sua ancora piccola organizzazione. Ma in meno di un decennio riesce a ritagliarsi un ruolo sempre più influente in Ecuador: traffici di droga, racket di estorsioni e le cosiddette contract killings (sicari).

Nel 2000 sfida i Queseros e sottrae loro il controllo dei flussi di merce dal porto di Manta, fondamentale per le gang colombiane. Un successo raggiunto grazie alla prolifica alleanza con il più potente narcos colombiano dell’epoca, Washington Prado Alava conosciuto come Gerald. Questi, da solo con le sue conoscenze, riusciva a esportare circa 4 tonnellate di cocaina a settimana.

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Il potente narcotrafficante Washington Prado Alava, alias Gerald, al momento della sua estradizione

Una vittoria che però costa molto caro a Teniente España. Nel 2005 i Queseros tentano di assassinarlo. A essere colpiti fatalmente, però, sono la moglie e uno dei figli. Per rappresaglia, il capo dei Choneros scatena una spietata rappresaglia contro la gang rivale, durante la quale perdono la vita tutti i leader avversari. Nel 2007 sarà lo stesso Teniente España a rimanere ucciso.

Primo nella linea di successione è Jorge Luis Zambrano González, alias Rasquiña. Si era ritagliato un ruolo di prestigio all’interno dei Choneros grazie alla stretta relazione con Gerald. Sotto la guida di Rasquiña, la gang ecuadoriana diventa sempre più indipendenti dalla Colombia e allarga i propri orizzonti a un traffico internazionale.

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Jorge Luis Zambrano González, alias Rasquiña, in carcere nel 2013

E ruolo chiave in questo ha proprio José Adolfo Macías Villamar, alias Fito. Arrestato – come anche lo stesso Rasquiña – nel 2011, riesce a gestire gli affari con Gerald da dietro le sbarre. Fino a farne cadere l’impero, facendolo arrestare nel 2017 e colmando il vuoto lasciato da lui nel narcotraffico. E nel frattempo dai ranghi dei Choneros emerge un terzo leader, Junior Roldàn detto JR.

I nuovi Choneros

Con Rasquiña e soprattutto con Fito, l’organizzazione si trasforma in una cosiddetta prison gang sebbene mantenga ferma la sua presenza nelle strade. Riorientando così l’attenzione del gruppo dal traffico internazionale al micro-traffico, alle contract killings, all’estorsione e al contrabbando.

Il loro potere e la loro influenza si basano però sul controllo delle prigioni. Sono dominatori incontrastati di tre carceri statali: il Penitenciaría del Litoral a Guayaquil, dove era tenuto Fito; il Centro de rehabilitación de Turi nella città meridionale di Cuenca, dove era imprigionato JR; e il Penitenciaria de Latacunga, dove era presente Rasquiña. Da qui i tre leader hanno a lungo guidato indisturbati le operazioni. E i numerosissimi trasferimenti di boss in varie carceri non hanno fatto altro che espandere la loro rete di influenza dietro le sbarre.

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Josè Macias Villamar, o Fito, narcotrafficante e leader dei Choneros

Per il controllo dei traffici i Choneros sono aiutati da bande alleate. I Tiguerones, che gestiscono l’area di confine con la Colombia, e i Chone Killers, vero e proprio braccio armato della gang di Manabì. Alleanze che, negli ultimi cinque anni, sono venute meno. Nel dicembre 2020 Rasquiña viene ucciso poco dopo essere stato liberato. Le conseguenze della sua morte sono devastanti per i Choneros.

Tutte le piccole organizzazioni, che fino a quel momento erano rimaste sotto l’ombrello di Rasquiña, iniziano a mettersi in proprio. Scontri tra gang in carcere (tra 2021 e 2022 sono 419 i morti), l’esplosione della violenza per le strade delle città e del fenomeno del sicariato. E l’obiettivo di sottrarre tutta l’influenza che dai tempi di Teniente España era monopolizzata. Tutti vogliono candidarsi come successori legittimi.

Nel maggio 2023 viene assassinato anche JR. Con Fito ancora dietro le sbarre, i Choneros si ritrovano con la testa mozzata. Vengono spinti progressivamente lontani dalla città portuale di Guayaquil. Ma chi più sfrutta il momento di rottura sono Los Lobos, i lupi. Come spiega l’analista e l’esperto Max Campos, ex viceministro degli Interni di Quito: «I Lobos hanno guadagnato enorme influenza dentro e fuori dalle prigioni. Si sono specializzati anche in altre aree, come la gestione di miniere illegali, l’estorsione e il traffico di umani».

I nuovi eredi, Los Lobos

Mordi la mano che ti nutre

Come lupi sulla carcassa di una preda. Nati da una costola dei Choneros, il loro primo leader è Wilmer Chavarría, alias Pipo, che ha operato all’interno del Centro de rehabilitación de Turi. Di Pipo non si sa molto. Probabilmente, secondo la polizia locale, fu ucciso nel 2021 in uno scontro tra gang all’interno della sua ala carceraria. Da lì il capobranco corrisponde al nome di Alexander Quesada, noto come Ariel.

La scalata dei Lobos entro il narcotraffico ecuadoriano comincia con l’inizio del declino dei Choneros. Morti i loro vertici, tutte le organizzazioni criminali minori percepiscono un vuoto di potere e una fragilità che avrebbe potuto compromettere la continuità del flusso di stupefacenti attraverso il Paese. Si formano automaticamente nuove alleanze, per sottrare il potere rimasto nelle mani di Fito. La più influente – che riunisce Lobos, Tiguerones e Chone Killers – è Nueva Generacion, un nome che richiama i presunti legami delle gang con i messicani del Cartel Jalisco Nueva Generacion.

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Un’immagine d alcuni dei militanti nelle file dei Los Lobos

Entro questo nuovo triumvirato, i Lupi controllano il territorio dal confine con la Colombia a Guayaquil dopo aver inglobato tutte le minori organizzazioni di quelle zone. I Tigueroneshanno il dominio dell’estorsione. Soprattutto nelle zone rurali e meno controllate, dove la gang ha messo le mani anche sull’acqua potabile. I Chone Killers operano come milizia armata, garantendo la sicurezza dei traffici nei porti commerciali. Sono anche ritenuti i maggiori responsabili dei massacri che hanno terrorizzato l’Ecuador negli ultimi anni.

Nel febbraio 2021, due mesi dopo la morte di Rasquiña, i tre gruppi lanciano un attacco coordinato contro i Choneros lasciando 80 cadaveri nelle prigioni del Paese. Un anno e mezzo dopo, sono i protagonisti di un altro duro attacco. Questa volta contro le forze dell’ordine, che stavano tentando di trasferire molti boss in una prigione di massima sicurezza.

Un cambio di paradigma

Sono più di 8mila le persone affiliate con Los Lobos. Un vero e proprio esercito distribuito tra carceri, arterie del narcotraffico e miniere illegali. La prima fonte di guadagno per la gang di Ariel è ovviamente il trasporto di cocaina. Grazie soprattutto alle alleanze con partner colombiani (Frente Oliver Sinisterra, derivazione delle ormai smobilitate FARC) e messicani (Cartel Jalisco Nueva Generacion). Ma anche i legami con l’Europa.

Non solo traffico internazionale. Secondo le forze dell’ordine, i Lobos si stanno sempre di più concentrando sul micro-traffico nelle grandi città ecuadoriani. Avrebbero anche aperto piccoli laboratori per processare stupefacenti. Ovviamente fondamentale anche per loro – come per i Choneros – il dominio delle prigioni. Da corruzioni massicce di funzionari penitenziari all’imposizione della loro ‘legge’ entro le carceri di Lacatunga e del Litorale. Fino al controllo delle strade, operando come collettori di debiti e sicari.

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