Avete presente l’ansia che si provava alle elementari, quando dalla piccola sedia nell’aula colorata, venivi chiamato alla cattedra per vedere com’era andato il compito di ortografia? O il temutissimo dettato? Ti avvicinavi alla maestra sperando che il matitone non avesse fatto troppi segni rossi o blu, togliendo “h” o aggiungendo apostrofi.
Ecco, su questo momento di candido terrore Gianni Rodari ha fondato tutto il suo pensiero educativo: perché imparare piangendo quello che si può imparare ridendo? L’errore ortografico ha dato così il via alla creazione di infiniti mondi possibili e paralleli…
Il fabbricante di giocattoli
Gianni, all’anagrafe Giovanni, nacque 100 anni fa e morì il 14 aprile del 1980. La cifra tonda ricorre anche nell’anniversario del premio Andersen ricevuto nel 1970, il più alto riconoscimento italiano attribuito ai migliori libri per ragazzi.
Della sua bizzarra e frizzante personalità emerge tanto dallo scambio epistolare con la casa editrice Einaudi, per un totale di più di 300 lettere tutte conservate negli archivi di Via Biancamano a Torino, nel periodo compreso tra il 1952 e il 1980.
Al pari di Rodari anche la casa editrice si dichiarava convinta che i libri per l’infanzia dovessero scansare atteggiamenti pedagogici e moralismi ma che, d’altra parte, dovessero in primo luogo stimolare la fantasia dei più piccini.
In merito infatti Daniele Ponchiroli, caporedattore dell’Einaudi, scrisse che: «Sollecitare la fantasia dei giovani lettori ci pare uno dei compiti primari in un mondo che tende ad annullare o a livellare le capacità fantastico-inventive degli adolescenti privilegiando il conformismo intellettuale».
«Tu sei tra i pochi che in questo duro momento conserva quelle cose fondamentali che sono la fantasia e la solidarietà. Ci rianimi, ecco, tutti quanti. […] Mandaci a tua volta appena puoi le filastrocche perché possiamo goderle e metterle in giro anch’esse, soprattutto tra i grandi, che sono quelli che più hanno perso quello che tu conservi», scriveva il critico Carlo Carena all’autore sull’autore. Gianni Rodari infatti fu lo scrittore che sedeva allo stesso banco dei bambini per capire quello che vedevano e come lo vedevano.
Rappresentante per eccellenza del fanciullino pascoliano, ebbe il coraggio di scontrarsi con tutta la pedagogia in voga al tempo, che tendeva a porsi su un piedistallo per essere vista dal basso e mai capita del tutto. Le sue poesie, storie e filastrocche altro non erano che giochi e lui un fabbricante di giocattoli.
La letteratura di Rodari: “Roba da Ridere”
«Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita» scriveva Confucio nel 500 a.C e Gianni ne ha fatto le sue fondamenta: «Mi è socialmente permesso di giocar […] Mi sembra che dovrei essere io a pagare per fare la cosa che mi piace di più».
Anche se il mestiere del giornalismo lo accompagnò per tutta la vita, quello che amava fare di più era scrivere per i bambini ed essere il Favolista delle Cose Vere, in quanto riusciva ad unire la grigia realtà di tutti i giorni a fantasia e immaginazione. Il suo obiettivo è sempre stato quello di formare piccoli uomini che potessero essere ricchi di speranza, consci del potere che hanno di cambiare il mondo e di esaudire i propri desideri:
«Se io avessi una botteguccia
Fatta di una sola stanza
Vorrei mettermi a vendere
Sai cosa?
La speranza»
«Ogni momento libero lo dedicava a pensare alle sue storie, alle sue filastrocche», ha riportato la moglie, e ancora «Ogni suo libro non era qualcosa di occasionale. Era un’opera pensata, studiata a lungo. Anche già sperimentata sui bambini nelle scuole» come la Torta in Cielo, nata dalla collaborazione con le classi di alcune scuole romane che stavano terminando la quinta elementare nel 1964. Letteralmente un pozzo senza fondo di idee: «Sono in possesso di 200 soggetti e conto di scriverne 1000 prima di morire, se mi basta il nastro della macchina da scrivere».
Bisogna tener presente che Rodari cominciò a scrivere nel periodo storico dell’esclusione del partito comunista dal potere e non era possibile che non ne venisse influenzato. La sua produzione da pessimista qual’era nei primi anni ebbe una svolta dapprima nel 1958, con Gelsomino nel Paese dei Bugiardi, culminata poi con le Filastrocche in Cielo e in Terra del 1960.
Tra i temi più amati anche pace, guerra e libertà…
«Pelle Bianca come la cera
Pelle Nera come la sera
Pelle Arancione come il sole
Pelle Gialla come il limone
tanti colori come i fiori.
Di nessuno puoi farne a meno
per disegnare l’arcobaleno.
Chi un sol colore amerà
un cuore grigio sempre avrà».
Ma sia chiaro, la letteratura per l’infanzia Rodariana non doveva essere idilliaca, questo veniva dimostrato anche dai protagonisti che venivano raccontati: mai eroi o tipi fissi, stereotipi di ambizione, ma personaggi-massa, come lui stesso li definiva, le mamme e i papà di tutto il mondo, quelli che devono far fronte tutti i giorni ai problemi della vita: «I più grandi campioni sono i più modesti di tutti, quelli che tutti i giorni della vita sollevano pesi spaventosi ma non ci pensano nemmeno a farsi intervistare», come il papà che ogni sera, lontano da casa, racconta una favola al telefono alla sua piccola in Filastrocche al Telefono, o quel pescatore che cerca di prendere abbastanza pesciolini per regalare al figlio degli scarponcini.
«C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri, professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così.
Ci si impara a parlare, a giocare,
a dormire, svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso».
Non avere paura della parola “Fine”
Gianni Rodari è volato in cielo appeso probabilmente a una stella o a un apostrofo dimenticato ma il suo consiglio di essere unici, forti, lettori e curiosi è rimasto… E anche adesso, con il Covid-19 alla porta accompagnato da paura e quarantena forzata, grandi e piccini hanno la possibilità di volare con la fantasia, di non avere paura di essere unici, o della parola fine perché ci sono infiniti finali possibili e se non ci sta bene uno se ne può sempre scrivere un altro o sceglierlo da una delle possibili opzioni, che importanza ha? Ognuno possiede dentro di sé la libertà di dire sì o no…
«Se in casa sono solo, non mi lagno:
con la mia libreria
io sono sempre in buona compagnia».