Il 12 dicembre 1969 tutto cambia. L’Italia perde la sua innocenza. La giovane Repubblica è svegliata all’improvviso, da un sussulto. In un momento ogni fermento è alle spalle: gli scioperi, il movimento studentesco, le manifestazioni. Alle 16:37 di quel venerdì 12 dicembre il tempo si ferma. Sotto il tavolo centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, il timer collegato a 7 chili di tritolo, contenuti in una valigetta, si azzera e la bomba esplode. Il boato è enorme. Vetri, porte, sedie sono disintegrati. Vengono uccise 13 persone innocenti sul colpo e 4 moriranno poche ore dopo. Altre 88 rimangono ferite. Pochi minuti prima che la strage di Piazza Fontana si compia, un altro ordigno inesploso è ritrovato nella sede della Banca Commerciale a Piazza della Scala. Quasi in contemporanea, altre tre bombe deflagrano a Roma, ferendo 18 persone. In un freddo pomeriggio invernale, la giovane Repubblica aveva perso la sua innocenza ed era entrata nel periodo più buio della sua storia, gli anni di piombo e della tensione.
di Francesco Puggioni
Il discorso del Presidente Mattarella: «Cercare la giustizia tra gli ostacoli»
Si è da poco concluso l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Consiglio Comunale straordinario convocato per la giornata di oggi, 12 dicembre, a Milano. «Ci troviamo a Palazzo Marino, luogo simbolo della comunità milanese e della democrazia. Ricordiamo avvenimenti come quelli di Piazza Fontana, in cui si è cercata la giustizia tra difficoltà e ostacoli, giungendo a risultati non soddisfacenti». Ha voluto iniziare così il suo ricordo il Presidente, parlando di un attacco forsennato all’ordinamento civile, di un’identità della Repubblica ferita.
Uno strappo lacerante alla vita della comunità, che ha combattuto orgogliosamente per lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra e del fascismo. Il discorso del presidente continua con uno sguardo al passato, agli attacchi dinamitardi (145) che colpirono l’Italia nel 1969. La bomba inesplosa rinvenuta in Piazza della Scala, quelle esplose a Roma sempre il 12 dicembre. Ma anche gli ordigni del 25 aprile alla Fiera campionaria e alla Stazione Centrale di Milano. Il ricordo passa anche dalla memoria di Antonio Annarumma, il poliziotto che perse la vita mentre prestava servizio durante una manifestazione nel capoluogo lombardo.
Cinquant’anni dopo è ancora forte il dolore. Il terrorismo di matrice nera: una spirale di violenza cieca e antipopolare ispirata da slogan deliranti. Ferite non rimarginabili recate alla nostra comunità, che si riconosce in pieno nell’Associazione dei familiari. Nell’intento di preservare la memoria di una pagina triste e indelebile della nostra storia collettiva. Mattarella continua citando il discorso di Napolitano durante la giornata della memoria del 2012: «C’è una giustizia da risolvere, non brancoliamo nel buio dell’Italia dei misteri».
«La Repubblica è stata più forte della violenza. La coscienza civile è stata messa a dura prova».
«Il trascorrere del tempo non rimuove l’attacco alla democrazia. Non commetteremo l’errore di pensare che siano errori di un passato remoto. Il nostro essere consapevoli ci aiuterà a non rivivere quei momenti». Il Presidente nel suo intenso discorso ha voluto elogiare il Patto collettivo di cittadinanza, che permise di difendere la Repubblica. I cittadini compresero che il loro contributo alla sicurezza era fondamentale e reagirono. L’interrogarsi sulla natura e sul destino del nostro paese passa dalle vittime di Piazza Fontana. Quella stagione fu lo specchio dell’anima di un paese chiamato a rafforzare la propria identità e i valori della Costituzione. Solo la consapevolezza delle forze democratiche, espresse anche dalle lotte studentesche, permise di destabilizzare il cinico disegno eversivo mirato a destabilizzare la giovane democrazia italiana.
La Costituzione, l’identità della democrazia e il valore morale e civile della società sono stati difesi negli anni dopo la stagione della tensione. Lo statuto dei lavoratori del ’70, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, il diritto di famiglia e l’età maggiorenne a 18 anni. Tutte proposte che fanno parte di un disegno di inclusione sociale e che dimostrarono la forza della democrazia nel tentativo di combattere il terrorismo. Senza mai rinunciare ai diritti fondamentali della Costituzione.
«Italiani fra italiani, cittadini fra cittadini, custodi del futuro del nostro Paese»
«Ciascun popolo riporta nella sua autobiografia le stigmate di gioie, dolori e atti di coraggio», ha concluso Mattarella, ricordando come siamo tutti debitori ai parenti delle vittime. «Ci sentiamo legati a loro da un vincolo morale. Il futuro della democrazia passa dalla fedeltà alla Costituzione».
di Nicolò Rubeis
La Piazza, come era e come è oggi
«Prima dell’attentato l’edicola era davanti alla banca, dopo è stata spostata qui all’angolo», ci racconta l’edicolante, sui trent’anni, una felpa grigia e un cappellino New Era rosso.
Io e la mia collega prendiamo appunti e, dopo averlo ringraziato per la disponibilità con la quale ha risposto alle nostre domande, facciamo per allontanarci. Abbiamo fatto solo qualche passo, quando la voce del nostro intervistato ci richiama indietro. Incuriositi ci avviciniamo. «Se vi interessa», dice il giornalaio cacciandosi sotto il cappello una ciocca di capelli ribelli, «giù alla metro c’è una fotografia di Piazza Fontana nel ’69, lì si vede dove era posizionato prima il chiosco dei giornali».
Lo salutiamo e continuiamo il nostro giro della piazza. Sono le cinque di un pomeriggio di dicembre, qualche giorno prima del cinquantesimo anniversario della strage. Intorno a noi l’oscurità sta scendendo velocemente e un gruppo di persone, con in mano dei pacchetti colorati, attraversa il parchetto, passando davanti alla fontana. La piazza è piena di gente che ha deciso di recarsi in centro per fare compere in vista del Natale. Decidiamo di proseguire tenendoci alle spalle la banca e imbocchiamo un vialetto in mezzo ad un giardino. Passiamo davanti al Corpo di polizia municipale e ci dirigiamo verso l’hotel di lusso Rosa Grand Milano.
«Mi scusi», chiedo avvicinandomi al portiere in divisa che sta ritto davanti alla porta dell’albergo, «ci potrebbe raccontare che cosa c’era qui cinquant’anni fa?».
«Questo posto prima era un albergo frequentato da studenti», risponde lui tenendo la porta aperta per fare entrare una cliente carica di borse, «poi l’hanno buttato giù ed è stato trasformato in un parco comunale. Ora è diventato un hotel di lusso».
«Ma è vero che ci vengono a dormire i giocatori del Barcellona?», chiedo io.
«Sì, sono venuti un paio di volte», ci racconta.
Lasciamo il portiere al suo lavoro e riprendiamo la nostra passeggiata. Superiamo Via Carlo Maria Martini, la larga strada che porta verso il Duomo, tutta illuminata e piena di bancarelle del mercatino di Natale, e ci fermiamo davanti al palazzo arcivescovile, che si affaccia sulla fontana. L’elegante fontana che dà il nome alla Piazza, scolpita da Giuseppe Franchi su disegno di Piermarini e inaugurata nel 1782. Putroppo non possiamo avvicinarci per contemplarne i dettagli, perché stanno ristrutturando la fontana e l’area intorno è delimitata da transenne. Decidiamo allora di rivolgerci a chi ne sa più di noi, a chi ha vissuto l’attentato all’interno della banca in prima persona. Il marciapiede intorno è pieno di gente e la mia collega si avvicina ad una coppia di anziani, sperando che abbiano dei ricordi da condividere con noi.
«Scusate, vi ricordate come era la città prima dell’attentato?»
«Prima Milano era davvero tanto grigia, era tutto grigio, a metà anni ’80 hanno incominciato a ripulire, non era la Milano di adesso». Incontriamo i signori Alessandro e Maurizia mentre sono a passeggio là dove passava un tempo il tram. Li abbiamo fermati, incuriositi dalla camminata lenta e da quell’aria disponibile, in una città che sembra correre sempre. Gli chiediamo proprio del tram e se 50 anni fa si fermasse già davanti alla banca.
«Il tram c’era, passava sì dalla piazza – ci spiegano – ma faceva un altro percorso. Girava attorno alla fontana, verso il Duomo e verso Palazzo Reale». Su che numero fosse, però, non sanno aiutarci, il ricordo si perde.
«Non è cambiato molto da allora, ma questo sì, hanno rifatto anche il pavé», esclama, indicandoci quasi orgoglio la pavimentazione, intatta, dove prima passavano le rotaie. Non possiamo più mandarlo via, Alessandro ha tanta voglia di raccontare e Maurizia gli fa volentieri eco, finendogli le frasi o aggiungendo qualche particolare in più. E quando ci parla della Milano di allora, molto più grigia e per niente turistica rispetto ad oggi, proviamo a incalzarli: «Si riferisce alla fuliggine sul Duomo e sulla fontana?»
«Sì, sì, il Duomo e la fontana erano neri, ora sono vestiti a festa, a confronto. Ma Milano era nera anche in un altro senso», ci confida: «Mi riferisco all’atmosfera cupa di quei tempi. Non era un attentato atteso, questo no, ma fu un atto finale. Eravamo in tensione già da qualche anno prima. C’erano scioperi, manifestazioni, l’atmosfera di Milano era piuttosto tesa».
«Se andavi vestito come i Sanbabilini – continua la moglie – quelli di sinistra ti menavano. Se ti vestivi con l’eschimo, anche se non eri in politica, ti menavano quelli di destra. Un mio amico andò a La Rinascente, uscì felice con il suo pacchettino e gli dettero una randellata in testa».
«Quando è successo quello che è successo, Milano si è fermata», aggiungono tutte e due. Ci raccontano quegli anni con un velo di tristezza che si fa sempre più spesso via via che le parole si accavallano alle altre. Lo sguardo di Alessandro gli cade su quell’insegna originale, “Banca Nazionale dell’Agricoltura”, che troneggia sopra quella più modesta “Monte dei Paschi di Siena”. Dopo l’accaduto è stata lasciata dove era, quasi a ricordare l’attentato.
Ringraziamo, Maurizia e Alessandro e li lasciamo al loro passeggio. Se ne vanno lenti, come quando li abbiamo fermati. Li salutiamo e seguiamo il loro consiglio: «andate a vedere la targa commemorativa accanto alla banca, è lucida, l’hanno fatta da poco». Ci avviciniamo ai Monte dei Paschi, sbirciamo dentro, la struttura interna è rimasta la stessa delle foto passate alla storia. Fuori i nomi delle 17 vittime che vi persero la vita.
di Leonardo Degli Antoni e Federica Ulivieri
Podcast
Il racconto di quel 12 dicembre 1969 attraverso il podcast di Niccolò Bellugi: uno speciale per l’anniversario dei 50 anni dalla strage di Piazza Fontana.
Interventi di Guido Formigoni, professore di Storia Contemporanea all’Università Iulm e del suo collega Stefano Rolando, docente di Comunicazione Pubblica e Politica sempre in Iulm.
Nel podcast viene anche letta una parte de La Strage – Carceri vuote ma sappiamo chi è stato, l’articolo di Luigi Ferrarella pubblicato su 7, l’inserto del Corriere della Sera.
Videoreportage