Il Leoncavallo non è più quello di Fausto e Iaio

Lo Spazio Pubblico Autogestito di via Watteau 7 ha smarrito la vocazione politica ma non l’afflato sociale delle origini. E ora un (nuovo) procedimento di sfratto potrebbe mettere fine a un’esperienza che ha quasi cinquant’anni di storia

Dall’omicidio di Fausto e Iaio del marzo 1978, agli scontri con la polizia in via Turati del settembre 1994, fino a recenti iniziative culturali, come la fiera enogastronomica “La Terra Trema”. Il Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito (di fatto un centro sociale occupato), che oggi sorge in un’ex cartiera in via Watteau 7, in zona Greco, è una delle più importanti tessere del mosaico sociale della città di Milano dell’ultimo mezzo secolo. Una tessera che nel tempo ha mutato aspetto e funzione, di pari passo con l’evoluzione dello zeitgeist in Italia. E che ora rischia di scomparire per via di un nuovo procedimento di sfratto (il centunesimo in meno vent’anni).

La condanna

Lo scorso 9 ottobre la Corte d’Appello del Tribunale Civile di Milano ha condannato il ministero dell’Interno a pagare 3.039.150 di euro (303.915 euro per dieci anni) alla società  «L’Orologio srl» del gruppo Cabassi, proprietaria dello stabile. Secondo i giudici, il Viminale è colpevole di non aver eseguito lo sgombero dello Spazio Pubblico Autogestito di via Watteau per oltre diciannove anni e pertanto è tenuto a risarcire il danno al privato. Negli ultimi giorni la palla è passata alla Prefettura di Milano e all’Avvocatura statale, responsabili di valutare una contromossa. Tre sono le opzioni che si prospettano al momento: il ricorso in Cassazione, il tentativo di un accordo tra le parti e l’effettiva esecuzione dello sgombero, prevista per il 10 dicembre.

Ma c’è chi non crede che quest’ultima opzione verrà presa in considerazione. «Sono certo che lo sgombero non avverrà», ci spiega Mirko Mazzali, avvocato penalista che da diversi anni difende il Leoncavallo. «Nel corso degli anni sono stati fatti innumerevoli accessi allo stabile e nessuno di questi ha sortito alcun risultato. Non sono un mago, ma posso dire praticamente con certezza che il 10 dicembre il Leoncavallo rimarrà ancora lì». I membri del Leoncavallo sono comunque corsi ai ripari. In questi giorni sono circolati dei volantini che invitano frequentatori e simpatizzanti del centro a presentarsi nell’edificio di via Watteau alle 9 di mattina del 10 dicembre per «difendere il Leoncavallo».

La causa del 2003

La causa civile per lo sgombero del centro sociale è iniziata nel marzo del 2003, quando il Tribunale di Milano aveva condannato l’Associazione delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, il gruppo che gestisce l’occupazione dello stabile, al «rilascio dell’unità immobiliare». Nel maggio del 2005, l’ufficiale giudiziario incaricato di eseguire il provvedimento di sgombero aveva cercato di far evacuare le persone all’interno dell’edificio, senza riuscirci, però, per via dell’opposizione degli occupanti e dell’assenza di supporto delle forze dell’ordine. In quel frangente il Leoncavallo era riuscito a resistere ed entrava così nel suo trentesimo anno di vita.

La “prima pietra” del centro sociale era stata infatti posata nell’ottobre del 1975 da membri di collettivi e movimenti extraparlamentari di sinistra ed estrema sinistra, tra cui Lotta Continua e Avanguardia Operaia, che occuparono un’area dismessa in via Ruggero Leoncavallo 22, in zona Casoretto. Erano gli anni del fermento giovanile in Italia e il Leoncavallo si presentava sulla scena nazionale come uno dei principali punti riferimento per migliaia di ragazze e ragazzi che sposavano ideali libertari e progressisti. Dietro all’occupazione c’era l’idea di una riappropriazione dal basso degli spazi pubblici. Nel centro si organizzavano iniziative sociali di diverso tipo: dalla scuola popolare (comprendente asilo nido, scuola materna, doposcuola) alla stampa di controinformazione; dal consultorio ginecologico ad attività di assistenza nel quartiere.

L’evoluzione del centro

Da allora molte cose sono cambiate. Intanto, la collocazione: nel 1994 il centro di Casoretto è stato abbandonato e gli occupanti si sono trasferiti nell’attuale ex cartiera di via Watteau (dopo una breve parentesi di sei mesi in un edificio in via Salomone 71, nella periferia a sud-est). E poi le funzioni e le modalità. Se in passato era l’associazionismo politico il principale vettore d’aggregazione per coloro che frequentavano il Leoncavallo, oggi sono altri i fattori che calamitano migliaia di giovani all’interno di questo centro.

Il Leoncavallo oggi

Guardando il sito dello Spazio Pubblico Autogestito si scopre che durante la settimana nell’edificio di via Watteau si tengono lezioni d’italiano per stranieri, esercitazioni d’inglese, workshop di teatro, laboratori seri-grafici e persino dei corsi di bike polo. Alla sezione “Eventi” della pagina è presente il vasto programma di iniziative del Leoncavallo mese per mese: concerti, spettacoli, mostre, ma anche iniziative più strutturate come “La Terra Trema”, una fiera enogastronomica riconosciuta in Italia e in Europa, realizzata in autogestione.

«Il Leoncavallo è uno specchio del cambiamento sociale avvenuto a Milano. Il grado di politicizzazione che poteva esserci negli anni Settanta non è certamente quello che c’è oggi», ci dice Daniele Farina, sessant’anni, esponente di Sinistra Italiana e storico attivista del Leoncavallo. «Sono cambiati i modelli di riferimento, è cambiato il mondo: sarebbe piuttosto ridicolo se in questi anni il Leoncavallo fosse rimasto uguale a quello delle origini. D’altronde, le realtà sociali che in Italia non hanno voluto evolversi sono sostanzialmente scomparse dai radar».

In un momento storico in cui le comunità e le ideologie collettive hanno ceduto il posto agli individui, il fervore politico è dunque scivolato in secondo piano. «Il Leoncavallo ha perso la sua carica di militanza politica che immagino ci fosse in passato. Chi va al Leoncavallo lo fa perché vuole partecipare a un concerto o stare con gli amici, a prescindere dall’orientamento politico», ci racconta Riccardo, ventitré anni, che ha frequentato il centro sociale diverse volte nel 2023. «Avevo iniziato ad andare al Leoncavallo per seguire delle letture del Capitale [di Karl Marx]. Era un’iniziativa di riscoperta di un certo pensiero, che provava a recuperare una dimensione militante della politica. Col passare del tempo, però, la proposta è andata scemando e nel giro di qualche mese è finito tutto, fondamentalmente per inerzia».

Cosa è rimasto

Eppure, a fronte di tanti cambiamenti, qualcosa è rimasto. «Oggi come allora il Leoncavallo è uno straordinario incubatore sociale, soprattutto per i giovani di Milano. È un luogo capace di creare spazi di convivialità, di aggregazione e anche di educazione su molte questioni all’ordine del giorno», spiega Farina. «Per questo motivo questa città non può considerare il Leoncavallo come un fatto d’altri. Mi auguro che lo sfratto non venga eseguito e che si possa trovare una soluzione». Di che tipo? «Da anni ci battiamo per una regolarizzazione degli spazi: la condizione di legalità permetterebbe di accedere a finanziamenti pubblici per progetti e iniziative di vario genere», aggiunge.

Di regolarizzazione degli spazi si era parlato nel periodo della giunta guidata da Giuliano Pisapia. Nel 2014 l’ex sindaco di centrosinistra aveva ipotizzato una permuta di aree tra il Comune e il gruppo Cabassi. Nulla di fatto, però: l’ostruzionismo in consiglio comunale delle forze di centrodestra (sostenute da sinistra dal presidente di consiglio comunale, Basilio Rizzo) fece naufragare il piano. Quattro anni più tardi Beppe Sala, attuale sindaco di Milano, aveva riaperto il discorso Leoncavallo, proponendo ai Cabassi uno scambio di volumetrie. Ma anche in quel caso non andò in porto.

Lo stesso Sala, qualche giorno fa, ha dichiarato la disponibilità del Comune a tornare al tavolo delle trattative per discutere in merito al futuro dello Spazio Pubblico Autogestito. «Il Comune di Milano è l’unico maker in grado di fare la differenza in questa faccenda, perché essendo l’ente territoriale più vicino al cittadino è in grado di interpretare meglio di qualunque altro attore le virtù e le difficoltà attuali della cittadinanza milanese», dice Farina. «In un momento in cui si parla tanto di disagio giovanile a Milano, credo che in questa città occorra indicare qualche strada in alternativa a quella degli sgomberi».

 

 

 

 

 

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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