Entro il 2035, almeno 6 milioni di lavoratori rischiano di essere sostituiti dall’intelligenza artificiale, mentre altri 9 milioni perderanno il controllo sui propri incarichi. L’AI, infatti, verrà integrata nelle loro mansioni. È quanto emerge dallo studio realizzato da Confcooperative, in collaborazione con il Censis. Ma non ci sono solo notizie negative. Il Focus “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?” ha rilevato anche un dato positivo. L’AI contribuirà a incrementare la produttività delle imprese italiane, facendo crescere il PIL dell’1,8%, quasi 38 miliardi di euro.
Le dieci professioni a rischio
Il Focus ha evidenziato le categorie di lavoratori che risentiranno del passaggio, di ogni azienda, all’intelligenza artificiale, anche se in maniera diversa. Per questo, sono stati creati due gruppi: da un lato coloro che verranno sostituiti, dall’altro chi dovrà condividere i propri compiti con i sistemi di tecnologia avanzata. I più a rischio sono i professionisti che, ogni giorno, hanno a che fare con numeri e calcoli. I matematici, in primis, poi i contabili, i tecnici statistici, i calligrafici, gli specialisti della gestione e del controllo delle imprese pubbliche e private, e tanti altri. Persino i banchieri. Stupiscono, invece, gli ambiti lavorativi in cui l’AI fungerà da supporto. A partire dalle discipline religiose, per poi passare alle consulenze psicologiche e psicoterapeutiche, fino ad arrivare alle pratiche notarili. Non sono esclusi neppure avvocati e magistrati.

Eppure non è una notizia totalmente inaspettata. Il 20/25% dei lavoratori dichiara di utilizzare il supporto dell’AI per svolgere le proprie mansioni. Le continue richieste di aiuto variano in base all’aumentare dell’età. Sono soprattutto i giovani, tra i 18 e i 34 anni, a utilizzare l’intelligenza artificiale per la stesura di documenti, come: email (28,8%), messaggi (27,8%), rapporti (35,8%) e curriculum vitae (27,2%). Perché l’AI facilita il lavoro, ottimizzando i tempi.
In termini economici, poi, «dipende dal tipo di applicazione, ma un abbonamento mensile, acquisibile direttamente dalle piattaforme generative, può costare 20$» ha dichiarato Guido Di Fraia, direttore dello IULM AI Lab e Prorettore all’Innovazione e Intelligenza Artificiale dell’Università IULM. Pochi spiccioli, insomma, se messi a paragone con lo stipendio di un professionista. Ed è questa una delle ragioni per cui le aziende cederanno all’AI.
Alcuni esempi

Ambito legale
L’intelligenza artificiale è utilizzata nella giustizia predittiva, per valutare in anticipo, tramite analisi statistica, il possibile esito delle cause civili. Inoltre, aiuta gli avvocati, a raccogliere le informazioni necessarie per redigere i documenti da utilizzare durante i vari processi, come testi legislativi e precedenti giudiziari. È una specie di consulente. «L’intelligenza artificiale può essere utile a raccogliere più velocemente i fatti illeciti accaduti, per poi inserirli in modo preciso nelle diverse fattispecie delittuose previste dalla legge. Senza dover spremere troppo le meningi. Ma io faccio parte della vecchia guardia, preferisco scrivere i fatti a penna per poi riportarli al computer» ha dichiarato Paola Vestito, avvocata penalista da 23 anni.

Ambito finanziario
Questa nuova tecnologia è applicata agli algoritmi di machine learning, migliorando l’efficienza, l’accuratezza e la velocità di attività finanziarie. In particolare, l’analisi dei dati, le previsioni, la gestione degli investimenti e del rischio, ma anche il rilevamento delle frodi e il servizio clienti. Francesco Zecca, consulente finanziario da 22 anni, sostiene l’importanza dell’intelligenza artificiale «la utilizzo come strumento di supporto». Tuttavia, aggiunge che «Non può sostituire l’umano». E spiega «La consulenza non è finalizzata al risultato, ma al sostegno di persone e famiglie. Per questo è bene instaurare un rapporto di empatia. La macchina non è in grado di farlo».

Ambito psicologico e psicoterapeutico
Esistono chatbot che offrono screening psicologici. Attraverso un’intervista, individuano i sintomi del paziente e, prendendo le informazioni da manuali diagnostici, lo guidano verso la loro risoluzione. Senza ricorrere alla terapia. Tuttavia, dove l’intelligenza artificiale riscontra la necessità di un percorso terapeutico, l’utente è reindirizzato a un professionista. «Si tratterebbe di individuare la punta dell’iceberg, mentre in terapia si lavora sul sommerso, che è il vero motivo del disagio» ha affermato Valentina Rucco, Psicologa e Psicoterapeuta a orientamento sistemico relazionale da 9 anni. E ha aggiunto «Lo psicologo non dà un’etichetta a ciò che una persona prova, ma insegna a elaborarlo e a conviverci o salutarlo. Sa riconoscere tutto il “non verbale”, che vale quanto e più di ciò che si dice. Questo l’AI non so se potrà mai farlo».
Chi potrebbe essere sostituito?
Censis e Confcooperative hanno approfondito il loro studio, specificando quali sono i professionisti ad alto rischio. E lo hanno fatto sulla base di due fattori: il grado di istruzione e il genere. Secondo i dati rilevati, i lavoratori ad alta esposizione di sostituzione hanno per la maggior parte (54%) un’istruzione superiore, mentre il 33% ha un diploma di laurea. Inversamente, i lavoratori che più potranno beneficiare del supporto dall’AI nei processi produttivi posseggono un titolo di laurea (59%). Sono solo il 29% coloro che sono dotati di un diploma di scuola superiore.
Da un punto di vista di genere, a risentire dell’implementazione dell’intelligenza artificiale saranno perlopiù le donne. Infatti, rappresentano il 54% dei lavoratori che rischiano la sostituzione. Percentuale che aumenta di tre punti nei casi di complementarietà. Una prospettiva futura che non farà altro che acuire il gender gap, che da molti anni le femministe cercano di abbattere.
Il gap con l’Europa
L’Italia è all’ultimo posto nella classifica del Censis sui Paesi europei le cui aziende hanno implementato l’intelligenza artificiale ai propri sistemi. Nel 2024, il bilancio è solo dell’8,2% delle imprese, contro la media UE fissata al 13,5%. «Sono prevalentemente le grandi aziende a utilizzarla» ha dichiarato Guido Di Fraia. Infatti, le piccole e medie imprese, legate al settore manifatturiero iniziano ora ad approcciarsi a questa nuova tecnologia.
«C’è ancora tanta paura e spesso sono gestite in maniera artigianale. Gli imprenditori non hanno la cultura o la visione necessaria per affrontarla» ha aggiunto di Fraia. Per questo, il lavoro di accademie e altri istituti, anche di tipo governativo, è fondamentale. Offrono servizi di consulenza e supporto che aiutano a compiere il passaggio all’AI. «È importante per la competitività delle singole aziende, ma anche al Paese nel suo complesso». Infatti, si stima che nel biennio 2025-2026 il 19,5% delle imprese italiane investirà in beni e servizi legati all’intelligenza artificiale.
Per avere dei buoni risultati, però, è fondamentale l’impegno dello Stato. «È necessario investire di più in ricerca e sviluppo» ha affermato Maurizio Gardini, il presidente di Confcooperative. L’Italia investe l’1,33% del PIL, un punto percentuale in meno rispetto alla media europea. L’obiettivo dell’Unione Europea è arrivare al 3% per il 2030. Anche se, stando a quanto sottolineato dal Focus, questa soglia è già superata dalla Germania che investe il 3,15%. Sul fronte occupazionale, la previsione per il futuro è che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato.