Donald Trump sospende l’immigrazione: «Proteggo i posti di lavoro»

Il Presidente americano Donald Trump ha annunciato sul suo profilo Twitter che sospenderà temporaneamente l’immigrazione negli Stati Uniti. Il testo del decreto non è stato diramato e non sono ancora chiare quali saranno le conseguenze effettive della decisione.

Le restrizioni sugli arrivi e i rallentamenti sui visti

Gli ingressi agli stranieri negli Stati Uniti infatti sono già stati quasi del tutto proibiti. Il primo divieto fu varato da Trump a gennaio, quando vennero bloccati gli arrivi dalla Cina. All’inizio di marzo furono chiuse le frontiere ai passeggeri in arrivo dall’Europa, salvo qualche eccezione come i diplomatici o ai cittadini in possesso della Green Card, che concede il permesso di residenza permanente. Sul finire di marzo poi il presidente aveva chiuso il confine con il Messico ai richiedenti asilo, avvalendosi della legge sull’emergenza sanitaria.

Nelle ultime settimane l’amministrazione Trump, sull’onda della diffusione del contagio, aveva inoltre ampliato le restrizioni sui viaggi e rallentato l’elaborazione dei visti. Con il nuovo ordine esecutivo che si profila all’orizzonte non saranno più approvate le richieste degli stranieri di vivere negli Stati Uniti per un periodo di tempo indeterminato. Verrebbe quindi negato il permesso di arrivare a tutti coloro che per anni hanno ricevuto i visti per svolgere lavori specializzati, anche se alcuni settori potrebbero essere esentati dal divieto. Tra l’altro durante la gestione Trump il numero di permessi rilasciati a chi dall’estero desidera arrivare negli Stati Uniti è diminuito circa del 25%. Nel 2019 infatti, i visti concessi sono stati 462.422 contro i 617.752 del 2016.

L’immigrazione e il lavoro negli USA

Dalla Casa Bianca sostengono che ulteriori restrizioni sull’immigrazione potrebbero aiutare a limitare il numero di persone infette, in arrivo da potenziali focolai sparsi in tutto il mondo.

Ma l’obiettivo principale di Trump è quello di proteggere i lavoratori americani e il mercato del lavoro, devastato dal virus. Da quando è cominciato il lockdown si conta infatti che i posti di lavoro persi negli Stati Uniti siano più di 6 milioni a settimana.

Anche prima del Coronavirus il partito repubblicano aveva appoggiato con forza le scelte di Trump, sostenendo che il suo impegno era mirato a proteggere gli americani dalla competizione con i lavoratori stranieri.

Gli alleati di The Donald hanno elogiato prontamente le parole del presidente. Il senatore repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton, sempre su Twitter, si è detto pronto ad aiutare gli americani che hanno perso il lavoro a causa del virus, «prima di importare più stranieri che competano con loro».

Le mosse di Trump hanno ovviamente anche un valore politico, in vista delle presidenziali di novembre. La promessa di proteggere i posti di lavoro è coerente con quella che fu la sua campagna elettorale nel 2016 – ”America First” per intenderci – dove puntò in particolare ai voti dei ceti medio-bassi, quelli che maggiormente potevano risentire della concorrenza dei lavoratori stranieri. Ora che i posti di lavori persi a causa del virus in America sono oltre 22 milioni – un numero destinato purtroppo a salire – il presidente cercherà di nuovo di riscuotere consensi nelle ferite aperte degli statunitensi.

D’altra parte, le parole di Trump hanno scatenato inevitabilmente reazioni e polemiche, soprattutto dalle associazioni in difesa dei diritti degli immigrati. Charanya Krishnaswami, direttrice per la difesa delle Americhe di Amnesty International USA, ha risposto al presidente con la sua stessa arma, a colpi di tweet: «Quando sei uno xenofobo, i divieti sulla migrazione sono l’unica soluzione stanca, fallita e odiosa che ti viene in mente. La sospensione dell’immigrazione non renderà sicuri gli Stati Uniti».

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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