Elezioni statunitensi, non è una presidenza per giovani

Nel mezzo di un’emergenza sanitaria mondiale, dopo mesi di estenuante campagna elettorale, un inizio sottotono e qualche svista, il 77enne Joe Biden ha vinto le primarie democratiche statunitensi. Ex Vicepresidente durante i due mandati di Barack Obama, Biden si è sempre dichiarato l’unico candidato in grado di poter battere Donald Trump, l’attuale Presidente degli Stati Uniti. Saranno quindi due uomini bianchi, nati prima dell’invenzione del velcro, a sfidarsi per la conquista della Casa Bianca.

L’età avanzata dei candidati è un elemento che ha caratterizzato anche le primarie del Partito Democratico statunitense, che quest’anno hanno registrato un folto numero di candidati. Ha fatto molto discutere l’ascesa in campo del miliardario Mike Bloomberg, che alla veneranda età di 78 anni, ha deciso di correre come democratico, dopo aver militato nel Partito Repubblicano, per poi continuare la sua esperienza politica da indipendente. La sua stella è bruciata in fretta: il suo percorso è iniziato e si è concluso con il Super Tuesday, dopo aver ottenuto una sonora sconfitta. Il suo caso costituisce un’eccezione: l’aver cercato di guadagnarsi il consenso delle fasce più giovani dell’elettorato a colpi di meme ha sortito l’effetto contrario.

Il puntare su proposte più progressiste ha permesso a Elizabeth Warren, docente ad Harvard di 70 anni, di recuperare terreno verso marzo dopo una partenza sottotono. La senatrice del Massachusetts è riuscita così ad ottenere un discreto successo tra i più giovani, che però non è stata capace accrescere. Dopo la disfatta del Super Tuesday ha deciso quindi di ritirarsi.

Il paradosso emerso da queste primarie è che il consenso degli elettori under 30 è stato conquistato dai candidati più anziani, che sono riusciti con le loro proposte a fornire delle possibili soluzioni ai loro problemi, a differenza di quelli più giovani. È il caso del moderato Pete Buttigieg. Il 38enne, ex sindaco di South Bend, è un volto nuovo nella politica statunitense. Primo candidato apertamente gay alle primarie dei democratici, “Mayor Pete” sembrava in grado di poter battere tutti gli altri partecipanti, soprattutto dopo l’iniziale trionfo ai caucus in Iowa. Nonostante la sua giovane età, non è riuscito a conquistare i voti dei suoi coetanei. Ha deciso di ritirarsi dopo l’amara sconfitta alle primarie in South Carolina.

Un’altra candidata che ha contribuito ad abbassare l’età media degli sfidanti democratici, è stata Amy Klobuchar. Senatrice del Minnesota di 59 anni e di orientamento moderato, non è mai riuscita a sfondare nei sondaggi, pur avendo ottenuto l’endorsement del New York Times insieme a Elizabeth Warren. Anche Klobuchar ha fallito nel tentativo di conquistare l’elettorato dei millenials e, a inizio marzo, ha deciso di sospendere la sua campagna elettorale.

Le primarie democratiche nel 2016 e nel 2020. Credit: @Nicolò Rubeis

 

Si è giunti al punto in cui la sfida è diventata un duello tra Joe Biden e il socialdemocratico – come lui stesso ama definirsi – Bernie Sanders. Il senatore del Vermont, 78 anni, si è ritrovato nella fase finale delle primarie democratiche, com’era accaduto nel 2016, quando la sua sfidante era Hillary Clinton, anche lei nata negli anni ’40 del secolo scorso. 

Con le sue proposte che puntano a sanità e studi universitari gratis per tutti e un drastico aumento delle imposte per i «millionaires and billionaires», Sanders è riuscito a conquistare il consenso dei giovani elettori americani. L’endorsement della deputata Alexandria Ocasio-Cortez, classe 1989, ha aiutato il senatore del Vermont a diventare un punto di riferimento per gli under 30. Dopo una serie di sconfitte e nel pieno caos causato dall’emergenza sanitaria, l’8 aprile Sanders ha messo fine alla sua corsa verso la Casa Bianca e ha annunciato il suo sostegno a Biden.

Nel testa a testa tra Trump e Biden, gli elettori più giovani avranno un peso determinante assieme alle minoranze e agli indipendenti. Basterà l’appoggio di Obama e di Sanders a spingere i millenials ad assegnare i loro voti ad un candidato che fino ad adesso non è riuscito a farsi portavoce delle loro istanze?

USA 2020, il fattore Coronavirus e la sfida fra candidati over 70

Quelle del 3 novembre 2020 saranno elezioni senza precedenti. Una pandemia – forse – alle spalle da poche settimane e due candidati fra i più anziani della storia del Paese. Sia Donald Trump sia Joe Biden si troveranno di fronte a una sfida nuova e difficile. Confermarsi dopo un mandato di poche luci e molte ombre e aggravato dalla mala gestione dell’emergenza sanitaria, il primo. Raccogliere le istanze sociali radicali di Sanders e catalizzare il voto giovane, il secondo.

«È difficile valutare se l’età avanzata dei due sfidanti sia dettata da ragioni particolari o sia una casualità», osserva Raffaella Baritono, americanista e Professoressa all’Università di Bologna. «L’aspetto interessante, per quanto riguarda Biden, sta nel fatto che l’anzianità non ha rappresentato un elemento di penalizzazione, anzi. L’ex Vicepresidente ha potuto fare leva su esperienza e competenza, sulla capacità di sapersi muovere all’interno del Congresso e di riuscire ad aggregare diversi parti dell’elettorato, nonché di trovare appoggi rilevanti all’interno del Partito». Un mondo opposto rispetto a qualche mese fa, quando la leadership democratica sembrava salda nelle mani di Bernie Sanders. Ma le sue proposte troppo radicali lo hanno reso inviso ai piani alti del Partito Democratico, che oggi si stringe intorno a Joe Biden.

Dal 1996 in poi, ogni Presidente USA ha avuto una minore esperienza politica nazionale rispetto al suo predecessore. E Donald Trump rappresenta il culmine di tale tendenza. In questo momento, però, la tanto sdoganata accusa nei confronti di Biden di far parte dell’establishment, potrebbe rivelarsi un dato a suo favore. «L’aver condiviso un progetto vincente, quello di Obama, oltre al suo lungo percorso politico, saranno delle carte in più a sua disposizione», spiega Baritono, «mentre l’incompetenza di Donald Trump e il suo pessimo operato politico durante l’emergenza Covid-19 sono sotto gli occhi di tutti gli americani».

Ad essere capovolta è proprio la situazione di Trump, adesso nell’inedita veste di incumbent President e alle prese con una pandemia da sconfiggere. «Il Presidente paga una vera e propria incapacità di comprensione delle competenze federali e statali e di non conoscenza dei confini dei poteri all’interno del sistema federale statunitense. Le polemiche con i governatori durante l’epidemia lo dimostrano», sottolinea l’americanista.

L’età dei Presidenti americani al momento della loro elezione. Credit: @Nicolò Rubeis

Perché Joe Biden?

Qualsiasi altro candidato sarebbe partito da una posizione di svantaggio nella sfida a Trump, sostiene Baritono. «L’elettorato democratico non è quello repubblicano, è molto più segmentato e composito. E tanto si giocherà sul voto degli indipendenti» precisa l’esperta. «Per i concorrenti più giovani, come Pete Buttigieg, riuscire ad aggregarne le varie componenti sarebbe stato pressoché impossibile».

Allo stesso tempo, la vittoria alle Primarie di Bernie Sanders avrebbe consegnato nelle mani di Trump la facile arma del socialismo o presunto tale, «elemento estraneo alla cultura politica americana e mezzo sempre efficace per delegittimare l’avversario». Non sarebbe stata più agevole l’eventuale sfida fra tycoon per Mike Bloomberg. «L’ex sindaco di New York» evidenzia la professoressa, «ha sbagliato troppe cose: dalle tempistiche all’aver preso sottogamba il proprio passato da repubblicano prima e indipendente poi. Bloomberg ha provato a mettere in atto un’operazione dall’alto, basata esclusivamente sulla comunicazione politica. Ma questa non può bastare se non trova riscontro in una base elettorale solida e un messaggio forte. E nel suo caso, mancavano entrambi».

E allora, ecco che l’unica opzione plausibile resta Joe Biden. Secondo Baritono, «Trump tenterà di screditare anche lui, ma gli argomenti saranno meno efficaci rispetto al socialismo di Sanders. Probabilmente il Presidente punterà a rispolverare la questione inerente ai rapporti del figlio di Joe, Hunter, con l’Ucraina o le presunte accuse di molestie sessuali avanzate da alcune collaboratrici di Biden».

I risultati del Super Tuesday democratico nel 2016 e nel 2020. Credit: @Nicolò Rubeis
Elezioni del 2016: poche analogie e tante differenze rispetto ad oggi

Quattro anni fa la novità era The Donald. Un imprenditore allora di settant’anni, senza alcun passaggio in politica. A contendergli la Casa Bianca, Hillary Clinton, la prima donna a correre per le presidenziali nella storia della competizione bipartitica fra Democratici e Repubblicani. Sta qui, secondo Baritono, la prima grande discrepanza con il voto del prossimo novembre. «Nel 2016, la Clinton appariva come la candidata vincente contro l’outsider Trump. Ora la situazione è rovesciata: ad essere il Presidente uscente, e non nei migliori dei modi, è Trump stesso. Il giudizio del suo mandato potrebbe pesare molto, specialmente in un periodo particolare come quello che stanno vivendo gli Stati Uniti e il mondo intero».

Come quattro anni fa, Bernie Sanders ha perso le Primarie. Tuttavia, dietro questa somiglianza, si nasconde la seconda diversità fra l’ultima tornata elettorale e quella in arrivo. «Si tratta dell’apertura del Senatore del Vermont nei confronti di Biden, cosa che non si era verificata con Hillary Clinton» continua la docente. «Pesa anche l’endorsement di Obama, il quale già negli scorsi mesi aveva agito dietro le quinte, per aggregare il consenso di Amy Klobuchar e Pete Buttigieg intorno al suo ex Vicepresidente. Allo stesso tempo, Obama spinge affinché alcune delle politiche sociali promosse da Sanders trovino spazio nell’agenda del Partito Democratico».

 

Il motivo dell’inclusione delle istanze simil socialdemocratiche nella campagna è principalmente uno: mobilitare l’elettorato giovane, fedele alle proposte di rinnovamento di Sanders, e convincerlo a recarsi alle urne. «La speranza per i democratici è che, come si diceva in Italia negli anni ’70, tanti vadano a votare Biden “turandosi il naso” pur di non incorrere in un secondo mandato di Trump».

Oltre ai giovani, aggiunge Baritono, l’altra componente fondamentale per il cambio di partito alla Casa Bianca, saranno le minoranze. «Se per i latinos l’intenzione di voto non è così chiara, gli afroamericani hanno mostrato già nelle Primarie la loro preferenza. Il loro sostegno è stato fondamentale per la vittoria di Joe Biden in alcuni Stati, come la South Carolina. Conterà poi la decisione sulla vicepresidenza. L’eventuale scelta di una donna potrebbe essere vista come un elemento positivo e d’innovazione».

 

Le ultime 4 elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America. Credit: @Nicolò Rubeis

Si preannuncia un duello serrato per lo Studio Ovale. Da un lato un Presidente messo in seria difficoltà da un’emergenza sanitaria affrontata male – che rischia di finire peggio – e una nascente crisi sociale ed economica dagli effetti potenzialmente devastanti. Dall’altro uno sfidante che dovrà riuscire nell’ardita operazione di condensare gli interessi di diverse parti sociali, per convincere quanti più elettori indecisi a votarlo. Appuntamento dunque al 3 novembre, Coronavirus permettendo.

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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