Hoş geldin Wikipedia! Abolita la censura in Turchia: dopo quasi tre anni l’enciclopedia è di nuovo disponibile online.
Il via libera di Ankara mette in pratica quanto stabilito lo scorso 26 dicembre dalla Corte Costituzionale. Stando alle motivazioni dei giudici, il blocco di mille giorni ha violato la libertà di espressione, garantita dall’articolo 26 della Costituzione.
Dopo la sentenza la fondazione Wikimedia, che gestisce l’enciclopedia, si è detta in una nota «elettrizzata dal fatto che il popolo turco sarà di nuovo in grado di partecipare alla più grande conversazione globale online sulla cultura e la storia della Turchia».
Ora possiamo dirlo ufficialmente. #Wikipedia è di nuovo accessibile in #Turchia dopo due anni e mezzo di blocco. Quale regalo migliore per il diciannovesimo compleanno dell'enciclopedia libera? 🇹🇷 Bentornata Turchia!https://t.co/vcqgz86fy6 #WelcomeBackTurkey #WikipediaDay pic.twitter.com/rQjf0U4Hhh
— Wikimedia Italia (@WikimediaItalia) January 16, 2020
LA VICENDA
Il 29 aprile 2017, le autorità turche avevano bloccato la navigazione a tutte le versioni linguistiche dell’enciclopedia web.
Le restrizioni furono imposte dalla legge n. 5651, che consente al governo di regolare i contenuti online per ragioni di «sicurezza nazionale, ripristino dell’ordine pubblico e prevenzione dei crimini», senza dover necessariamente interpellare un giudice.
Alla base della decisione estrema il rifiuto da parte dei gestori di rimuovere due contenuti che includevano la Turchia sotto le voci: «Paesi stranieri coinvolti nel conflitto in Siria» e «Stati che hanno fornito sostegno al terrorismo jihadista».
I tribunali turchi avevano considerato le affermazioni come una manipolazione pubblica ad opera dei mass media e l’accusa fu quella di condurre una «campagna diffamatoria» nei confronti del Paese.
Il 5 marzo 2018, la pagina Facebook di Wikipedia aveva lanciato la campagna internazionale #WeMissTurkey (in turco Özledik) , sostituendo la barra nera della censura sul logo con una rossa.
L’ACCUSA AL GOVERNO ERDOĞAN
La decisione di oscurare il sito è stata fortemente criticata dall’opinione pubblica, poiché ritenuta l’ennesima «ritorsione» di Erdoğan contro la libertà d’espressione. Non si è trattato infatti del primo caso di chiusura di siti e social network in occasione di proteste di massa contro il governo, tacciato anche per questo motivo di autoritarismo.
Non solo la Turchia. In tempi recenti, casi di censura si sono verificati anche in altri Paesi, come Russia e Cina.