Otto Paesi hanno introdotto una nuova legge che vieta le punizioni corporali inferte ai minori di 18 anni. Non solo calci, pugni e spinte, ma anche schiaffi, scappellotti e quella che per molti è considerata una banale “sculacciata”. Un provvedimento che segue il patto internazionale al quale hanno già aderito 67 Stati.
Un cambiamento fondamentale
Secondo quanto riportato dagli attivisti, si stima un netto miglioramento delle condizioni di vita di oltre 100 milioni di minori. E, soprattutto, un grande passo in avanti verso la risoluzione del punto 16.2 dell’Agenda 2030, incentrato sulla promozione di società pacifiche e inclusive, con l’obiettivo di garantire ai più piccoli uno sviluppo sostenibile. Sono molti gli ambienti da prendere in considerazione, a partire da scuola e casa.
Come riporta James Hansen nella sua newsletter “Lettera Diplomatica” , per tutelare la loro crescita e i diritti, Panama, Kirghizistan, Uganda, Burundi, Sri Lanka e Repubblica Ceca hanno proibito qualsiasi forma di punizione corporale. Mentre Gambia e Nigeria hanno promesso di limitare il divieto agli ambienti scolastici. Una decisione che si allinea a quella di altri 67 Paesi, presa in vista della prima conferenza ministeriale globale, convocata dal Governo della Colombia, con il supporto del Governo della Svezia, dell’UNICEF, delle Nazioni Unite e dell’OMS, per porre fine alla violenza contro i minori. Un momento storico, che si è svolto il 7 e 8 novembre 2024 a Bogotà, in Colombia, al quale hanno partecipato oltre 130 governi.
«È un segnale molto forte per il resto del mondo […] non accettiamo più la violenza contro i bambini» ha detto Bess Herbert, specialista di Global Initiative To End All Corporal Punishment Of Children, un’organizzazione nata nel 2001 per promuovere una campagna mondiale per il divieto delle punizioni corporali.
Il quadro internazionale
Nel mondo, la Svezia è stato il primo Paese a vietare la punizione corporale sui minori. In questo caso si è rivelato fondamentale il cambiamento dell’immagine del bambino visto come soggetto autonomo e non più come membro della famiglia. Il diritto penale è così giunto a considerare la punizione corporale come una forma di violenza privata nel 1979. In Francia nel luglio del 2019 è stata avviata una modifica del Codice Civile che ha portato alla ridefinizione del principio di potestà genitoriale.
In questo contesto, l’Italia occupa una posizione singolare. Il testo “Punire i bambini” di Benedetta Polini, sociologa e docente dell’Università di Urbino, evidenzia come nel paese soltanto il 17% dei genitori di bambini in età compresa tra i 7 e i 17 anni ritiene la punizione corporale necessaria nell’educazione dei figli. Questa viene utilizzata con maggiore frequenza nei confronti dei maschi piuttosto che delle femmine e più dalle madri che dai padri. La sculacciata, in particolare, è utilizzata per ricercare l’obbedienza del bambino piuttosto che per svilupparne la personalità o le competenze. Un primo tentativo di disciplinare la materia risale al 1996 con la sentenza Cambria che ha stabilito come la punizione corporale non possa essere ritenuta un mezzo di correzione, senza tuttavia introdurre un vero e proprio divieto.
Gli effetti sui minori
Per capirne di più, può essere utile consultare gli studi che arrivano dal mondo scientifico. Tra gli approfondimenti reperibili in rete, il contributo di Elizabeth Gershoff, docente in psicologia all’Università del Texas di Austin, ha l’obiettivo di fare chiarezza sul tema. La ricerca indaga gli effetti della punizione corporale sui bambini in ambito domestico. L’autrice parte dall’analisi del suo mondo: gli Stati Uniti d’America. E deduce che i genitori “sculacciano” i figli per correggerne i comportamenti considerati inaccettabili. L’obiettivo sta nell’ottenere una risposta di obbedienza immediata, ma anche nel garantire un comportamento più adeguato in futuro. La ricerca pone l’accento sugli “effetti indesiderati” della punizione corporale nel tempo. In primis, il rischio di ferire il bambino. Anche quando i genitori sono mossi dalle migliori intenzioni.
Ma da considerare è anche il fattore della salute mentale, molto attenzionato oggigiorno. Secondo gli studi analizzati da Gershoff, la frequenza con cui un/a bambino/a viene punito fisicamente sarebbe direttamente proporzionale alla comparsa di sintomi tipici di ansia e depressione. Un altro effetto negativo è dovuto all’effetto straniante che l’uso della violenza suscita nel bambino, che porterebbe nel tempo all’erosione del rapporto genitore-figlio. Altri studi ipotizzano una correlazione tra le “botte” durante l’infanzia e livelli di QI generalmente inferiori. A chiudere la lista degli effetti dedotti da Gershoff, c’è l’aumento dell’aggressività e di comportamenti antisociali in età adulta, dovuta all’associazione acquisita tra l’uso della violenza e l’ottenimento di comportamenti sperati da parte degli altri.
A cura di Alyssa Cosma, Riccardo Severino, Matilde Liuzzi