La visita di Netanyahu alla Casa Bianca ha mostrato una solida alleanza tra Israele e gli Stati Uniti. Insieme, i due Paesi progettano il futuro della Palestina: il piano prevede il controllo e la ricostruzione della Striscia di Gaza, ma anche il trasferimento di centinaia di migliaia di palestinesi.
Un incontro soddisfacente
In barba ai mandati di arresto della Corte penale internazionale, Benjamin Netanyahu è volato a Washington per incontrare Donald Trump. La sua visita è la prima di un capo di Stato estero negli Stati Uniti del nuovo presidente e il tycoon ha profuso tutto il suo impegno perché l’incontro andasse nel migliore dei modi.
Da parte di Netanyahu il feedback è stato senz’altro positivo: «Sei il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca», ha detto, ricordando anche gli interventi pro Israele della precedente amministrazione Trump, per esempio gli accordi di Abramo. L’entusiasmo del premier israeliano, però, è in larga parte da attribuire ai risultati dell’incontro tra i due, nel corso del quale Trump ha manifestato intenzioni molto gradite a Netanyahu.
Il piano per la Palestina
Durante il loro incontro, le parti hanno tratteggiato un piano – disapprovato da tutti gli altri – che prevede che gli Stati Uniti prendano il controllo della Striscia di Gaza e si occupino della sua ricostruzione. Un progetto di lungo corso, che secondo l’inviato speciale degli Usa in Medio Oriente, Steve Witkoff, richiederà non meno 10-15 anni. Dopo un primo periodo di “pulizia” e smaltimento di tutte le macerie lasciate dal conflitto, Trump ha in mente un progetto ambizioso per la Striscia.
«Svilupperemo la striscia quale luogo destinato alla popolazione del mondo, dove tutti potranno vivere», ha immaginato il presidente americano. Che vede per Gaza un futuro ben diverso da quella che è la sua storia recente. «Potrebbe diventare la riviera del Medio Oriente», ha anticipato, ipotizzando anche «uno sviluppo economico con infiniti posti di lavoro e abitazioni per i residenti».
L’esodo dei palestinesi
Per chi si domanda chi saranno i residenti, però, la risposta non è chiara. Trump esclude infatti che i palestinesi vogliano tornare a Gaza. «È un luogo molto sfortunato per loro. Hanno vissuto in un inferno, Gaza non è un posto dove vivere e l’unica ragione che li spinge a tornare, sono fermamente convinto, è il fatto che non hanno alternative», ha dichiarato.
Per i due milioni di profughi palestinesi, il presidente pensa a un trasferimento. Le mete, come già suggerito dal presidente, potrebbero essere Egitto e Cisgiordania, ma senza il benestare dei due Paesi – che ad oggi manca – questa rimane una soluzione impraticabile.
Favorevoli e contrari
L’idea di Trump incontra, come è ovvio, l’apprezzamento di Netanyahu, che potrebbe al contempo liberarsi del popolo palestinese e accogliere investimenti stranieri per la “riqualifica” del territorio. La sua ambizione successiva, anche se cronologicamente prioritaria, sarebbe poi la normalizzazione dei rapporti tra Israele e l’Arabia saudita, ma non è detto che i Paesi arabi siano favorevoli a questa gestione del periodo post-conflitto.
Dal canto suo Hamas ha già espresso la propria contrarietà. Secondo l’agenzia palestinese Wafa, «Abbas e la dirigenza palestinese manifestano il loro rifiuto categorico di fronte alle richieste di esproprio della Striscia di Gaza ed espulsione dei palestinesi, allontanati dalla loro patria». Dal loro punto di vista, la soluzione sarebbe da cercarsi ancora nella compresenza di due Stati. «Pace e stabilità nella regione non sono possibili senza la creazione di uno Stato palestinese, con Gerusalemme come capitale, secondo la soluzione dei due Stati».
La posizione dell’Europa
Il no al piano di Trump e Netanyahu è un coro unanime da tutto il mondo arabo. Tuttavia, anche a livello internazionale sono numerosi i Paesi che disapprovano questa soluzione. Non solo la Russia, ma anche numerosi Paesi europei si sono detti contrari. Tra questi Francia, Spagna, Germania e Regno Unito, che auspicano uno scenario nel quale i palestinesi tornino a fare di Gaza una regione prospera.
Per quanto riguarda l’Italia, il ministro degli esteri Antonio Tajani, in audizione alle commissioni affari esteri di Camera e Senato, si è mostrato prudente. Domani, ha spiegato, «incontrerò nuovamente il ministro Sàar per discutere del consolidamento del cessate il fuoco e del rilancio del processo politico verso la soluzione a Due Stati». Per il ministro, la priorità è che Hamas non torni a controllare la Striscia: «La popolazione di Gaza ha pagato un prezzo troppo alto per la sua follia terroristica». Ciò non esclude però che la regione rimanga araba: «Siamo in prima linea nel sostegno all’autorità palestinese nel suo processo di riforme».