Settimane, anzi anni di polemica. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno messo un punto alla stucchevole diatriba sul saluto romano durante le commemorazioni dei militanti morti negli anni di piombo. Una discussione che ormai prosegue da decenni e che nelle ultime settimane si era infuocata di nuovo dopo le celebrazioni di Acca Larentia. Anche quest’anno, dopo la manifestazione ufficiale in ricordo di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, alcuni militanti di estrema destra hanno organizzato un presidio. Davanti all’ex sede del MSI, ha ricordato i ragazzi del Fronte della Gioventù uccisi dai gruppi armati di estrema sinistra. File ordinate, abiti neri, braccia tese e il rituale del presente.
Solite scene, solite polemiche
Le immagini della cerimonia, a cui hanno preso parte alcuni militanti di estrema destra, non sono nulla di nuovo. Ogni anno ad Acca Larentia, così come a Milano in ricordo di Sergio Ramelli, le sigle della destra extraparlamentare si danno appuntamento la sera per ricordare “i camerati caduti”. Eppure, in occasione di ogni anniversario, si assiste alle solite polemiche. Elly Schlein, Giuseppe Conte e altri esponenti dell’opposizione hanno invocato provvedimenti delle forze dell’ordine, chiedendo l’identificazione di chi ha mimato il saluto fascista. Ma anche all’interno della maggioranza, da Lupi a Tajani, sono arrivate parole di condanna. Da Fratelli d’Italia, chiamata in causa dalla Schlein durante il suo intervento alla Camera, sono arrivate prese di distanza dalla manifestazione della sera. Il partito di Meloni ha però rivendicato di aver partecipato alla commemorazione ufficiale in cui era presente il governatore del Lazio Francesco Rocca.
La decisione della Cassazione
Giovedì 18 gennaio è arrivata la decisione storica: “La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel cosiddetto saluto romano, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista”, integra il reato previsto dall’articolo 5 della legge Scelba (n.645/1952), “ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”. Una decisione che, di fatto, stabilisce la possibilità di fare il saluto romano durante le commemorazioni.
La scelta della Corte arriva nell’ambito del procedimento sulla manifestazione avvenuta a Milano nel 2016, per commemorare Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani. Gli imputati, è la ricostruzione degli inquirenti, risposero alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”.
In appello i giudici milanesi avevano ritenuto che i fatti contestati integrassero l’articolo 2 della legge Mancino: il verdetto era stato impugnato davanti alla Cassazione dalle difese degli imputati. I giudici hanno ricondotto il fatto alla violazione dell’articolo 5 della legge Scelba e annullato la sentenza, disponendo un nuovo processo d’appello, per verificare se durante la commemorazione sia conseguita la sussistenza del “concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
La legge Scelba e la legge Mancino
La legge Scelba (numero 645 del 1952) vieta la ricostituzione del partito fascista e la propaganda delle sue idee e finalità. L’articolo 5, in particolare, dice che «chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie pubblicamente manifestazioni usuali al disciolto partito fascista» è punito con l’arresto fino a tre anni e un ammenda fino a 516 euro, la perdita dei diritti politici e l’interdizione dai pubblici uffici.
La legge Mancino (205 del 1993) ratifica la convenzione di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. All’articolo 2 vieta «il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».