Antimafia, sì del Senato. Ora la riforma torna alla Camera

 

senato

Con 129 sì, 56 no e 30 astenuti, il Senato da via libera al Ddl sul Codice Antimafia, che torna, ora, in terza lettura alla Camera per la disamina delle modifiche apportate.

Per il Guardasigilli e ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ci sarebbero le condizioni per portare “fino in fondo” un provvedimento che ha avuto una “gestazione lunghissima”, escludendo il rischio che la riforma possa fermare la sua corsa alla Camera.

Sono sette i senatori di Area Popolare (che aveva lasciato libertà di voto) che hanno votato a favore del Ddl, definito dal capogruppo del Partito Democratico, Luigi Zanda, un “provvedimento strategico per la maggioranza”. Mentre, i Cinque Stelle hanno annunciato la loro astensione. Decisione che arriva dopo che il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha dichiarato inammissibile la proposta del M5S, che avevano proposto un nuovo coordinamento formale del testo della riforma: togliere la limitazione, voluta da Palazzo Madama, che prevede l’estensione delle misure cautelari ai corrotti, solo nel caso in cui si presenti anche l’ipotesi di associazione a delinquere (Art. 416).

Rischio di sequestro dei beni patrimoniali per chi finisce nel mirino della giustizia per corruzione, concussione, terrorismo e stalking. E’ la novità più importante approvata quest’oggi dall’Aula. Le norme previste per i mafiosi, poi, si estendono a chi risulta indiziato di reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per i sospettati di terrorismo e stalking.

Con la riforma, l’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati esce rafforzata, con un direttore – non più necessariamente un prefetto – che si occuperà dell’amministrazione dei beni dopo la confisca di secondo grado. Sarà composta da 200 unità e rimarrà sotto la vigilanza del ministro dell’Interno. Avrà sede nella Capitale e avrà sedi secondarie a Reggio Calabria, Palermo, Catania, Napoli, Bologna e Milano.

Norme stringenti sono previste per gli amministratori giudiziari, che non potranno avere più di tre incarichi. Inoltre, non solo non potranno essere parenti fino al quarto grado, ma neppure conviventi o “commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico.

No Comments Yet

Comments are closed