Si apre giovedì 8 Maggio la XXXVI edizione del Salone del Libro di Torino.
Protagonisti dell’evento editoriale più atteso dell’anno, tutti gli abitanti dell’universo libro: editori, scrittori, librai. Un programma denso di appuntamenti, fin dal primo giorno: dalla lezione inaugurale della scrittrice Elizabeth Strout al racconto di Matteo Nucci (alle 11:30) su chi fosse realmente Ernest Hemingway.
E se al Salone, importante ricordarlo, le vere protagoniste sono le storie, è importante ricordare anche che dietro alle storie c’è sempre qualcuno che ha creduto nel loro potenziale narrativo.
Per questo motivo, abbiamo scelto, prendendo spunto proprio da Hemingway, di ricordarne una bellissima: quella dell’editrice Sylvia Beach e dei suoi americani a Parigi.
<< Per Parigi non ci sarà mai fine. Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, e ne valeva sempre la pena. Qualunque dono tu le portassi ne ricevevi sempre qualcosa in cambio.
Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici >>. – Ernest Hemingway, “Festa Mobile”, 1964
SYLVIA BEACH E L’INIZIO DI UNA MERAVIGLIOSA AVVENTURA
La storia della Shakespeare and Company, libreria destinata a diventare leggenda, ha inizio nel New Jersey, dove Sylvia Beach, un’americana nata a Baltimora nel 1887, studia e si appassiona alla letteratura.
Il trasferimento in Europa e gli studi di letteratura francese, infatti, hanno come obiettivo quello di tornare a New York per aprire una libreria che importi i migliori romanzieri del vecchio continente in terra americana.
Ma già allora, i prezzi della Grande Mela sono altissimi e proibitivi. È proprio questa difficoltà locativa che spinge Sylvia Beach a capovolgere i suoi intenti: non aprirà una libreria in America, ma in Europa (precisamente al numero 8 di Rue Dupuytren, a Parigi), dove importerà i migliori talenti statunitensi e anglofoni.
La libreria apre il 19 novembre 1919, con una gigantesca insegna raffigurante lo scrittore William Shakespeare sopra la vetrina, un po’ come fosse il santo protettore dell’impresa, dirà la Beach. A fare la fortuna della Shakespeare and Company (questo il nome scelto per la libreria), contro ogni logica e aspettativa, è la censura americana del tempo. Tutti gli emigrati americani dell’epoca, per procurarsi le ultime uscite letterarie devono recarsi dalla signora Beach, che se non puoi permetterti di acquistarli, i libri te li dà in prestito.
il Trasferimento al numero 12 di Rue de l’Odéon
La libreria cresce e sviluppa un proprio stile editoriale, divenendo ben presto un marchio riconosciuto in tutta Parigi. Gli affari vanno talmente bene che si rende necessario il primo trasloco dell’attività, al numero 12 di Rue De l’Odèon. Qui Sylvia non solo continua a vendere libri, ma propone la Shakespeare and Co. anche come casa editrice per qualche edizione speciale.
Il primo libro pubblicato dalla Shakespeare and Co?
L’Ulisse di James Joyce.
QUANDO JAMES INCONTRA SYLVIA
Il 2 febbraio 1922 Sylvia Beach consegna a James Joyce la prima copia dell’Ulisse, che sbarcherà in America nascosto nei pantaloni dello scrittore. Considerata oggi una delle opere letterarie più importanti del XX secolo, Joyce ha iniziato a scrivere l’Ulisse nel 1915.
Quando i primi capitoli vengono pubblicati in America dalla rivista letteraria The Little Review, nel 1920, l’episodio di Circe finisce per compromettere la comprensione dell’intera opera a causa di una censura bigotta. Una corte decreta illegale il possesso del libro, e le copie rinvenute durante gli scali navali, vengono confiscate e distrutte direttamente nel porto della Grande Mela.
Un altro problema relativo alla sopravvivenza della libreria è quello legato alle copie di contrabbando: in quegli anni, infatti, imperversano quelle che oggi definiremmo delle riproduzioni pirata, che presentano agli editori il grattacapo di veder proliferare copie illegittime delle opere pubblicate, senza che a loro venisse riconosciuto un centesimo. Nell’epoca della grande depressione, un ulteriore aggravarsi delle condizioni di vendita porta a seri problemi nell’economia di sopravvivenza della Shakespeare and Co.
Il peggio, però, deve ancora arrivare.
La censura Americana, l’emigrazione letteraria e i nomi della Shakespeare&Co
È possibile che un salotto di una casa di Parigi nel 6° arrondisement possa diventare il centro culturale di un’epoca?
Sì, se si parla di un’altra figura di riferimento per gli artisti e gli intellettuali a Parigi: Gertrude Stein.
Stein, che gli amanti di scrittori come Fitzgerald ed Hemingway avranno già imparato a conoscere, organizza feste e ritrovi ai quali partecipano alcuni dei più importanti autori della Generazione Perduta. Parliamo di quegli scrittori, poeti (e pittori) che vengono accolti quasi per caso a Parigi, mentre nei rispettivi paesi faticano ad affermarsi a causa delle vicende politiche o di casi di censura, dovuti al gergo privo d’inibizioni utilizzato nei loro scritti, irritando la suscettibile sensibilità del tempo con il loro linguaggio diretto, esplicito e i riferimenti sessuali presenti nelle storie di vita che raccontano.
Un altro polo letterario è appunto rappresentato dalla Shakespeare and Co., dove confluiscono le stesse personalità dei salotti della Stein. È abitudine vedere Scott Fitzgerald, Ezra Pound ed Ernest Hemingway aggirarsi tra gli scaffali della libreria, sempre più in confidenza con Miss. Beach.
Leggenda vuole che su di una copia del Grande Gatsby, Fitzgerald disegna una vignetta in cui ritrae se stesso insieme alla libraia. E ancora. Il fotografo e pittore simbolo del dadaismo, Man Ray, sceglie proprio le pareti della libreria per esporre alcuni dei suoi lavori.
Mentre nel suo ultimo romanzo, Festa Mobile, incompiuto e pubblicato postumo, anche Hemingway paga il suo tributo all’eredità culturale della Shakespeare and Co., annidato nei ricordi del periodo in cui lo scrittore visse a Parigi.
« Chissà se i tedeschi vennero davvero a confiscare Shakespeare and Company? Se sì, non la trovarono», scrive Sylvia nel suo libro di memorie. « Ma alla fine vennero a prenderne la proprietaria ».
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Francia viene occupata e Parigi diventa territorio tedesco. Gli scrittori che hanno popolato la Shakespeare and Co. vengono rimpatriati, contribuendo loro malgrado al periodo di grave crisi che la libreria deve affrontare.
Come se non bastasse, Sylvia riceve visite dagli ufficiali tedeschi interessati alla sua attività: costretta a fronteggiare le loro pressioni, raggira la loro minaccia di prendersi la libreria traslocandola in gran segreto, di notte, in uno degli appartamenti sfitti del palazzo.
Nulla può, però, contro le conseguenze della sua cittadinanza americana.
Trascorsi sei mesi in un campo di concentramento, quando Sylivia torna a Parigi, per evitare di essere di nuovo imprigionata, vive nascosta nel foyet des etudiantes di un’amica. Ogni giorno, però, si reca in Rue de l’Odéon per informarsi su la libreria di Adrienne Monnier, la resistenza parigina e la sorte degli scrittori che per anni hanno animato la Shakespeare and Co.
Nonostante gli scontri, che proseguono intensi, e nonostante i cecchini tedeschi sui tetti, con la liberazione di Parigi Sylvia fa ritorno alla sua amata libreria, che però non riaprirà mai più i battenti.
L’arrivo di George Whitman: una nuova speranza
Molte grandi imprese riescono ad essere tali perché chi le compie non resta da solo ma, ad un certo momento, passa il testimone.
Nel 1941 il sogno di Sylvia Beach potrebbe sembrare concluso da un pezzo, se non fosse che alla fine della guerra il GI Bill (il Servicemen’s Readjustment Act del 1944, meglio conosciuto come G.I. Bill, una legge che fornisce una serie di aiuti concreti ai veterani del secondo conflitto mondiale) porta molti cittadini americani nella capitale francese.
Tra loro, George Whitman.
Non si sa se sia collegato al suo omonimo (l’autore di Foglie d’erba e O Capitano, mio capitano), ma ne è certamente un grande ammiratore.
Dopo aver conseguito la laurea in giornalismo presso l’Università di Boston, questo vagabondo amante dei libri, viaggia in autostop e treno per il Messico, l’America Centrale e gli Stati Uniti, presta servizio nell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, per poi finire nel Massachusetts a gestire una piccola libreria.
Arrivato a Parigi, nell’autunno del 1946, si iscrive alla Sorbona e comincia a scambiare i suoi buoni pasto del GI con altri “buoni-libro” per veterani. È in questo modo che riesce a nella creazione di una collezione letteraria sufficientemente buona da fondare una biblioteca di prestito nella sua stanza d’albergo.
Tre anni dopo, George, con il suo piccolo capitale e le sue conoscenze specialistiche, persegue ancora il suo obiettivo di aprire una piccola biblioteca di prestito con una sala di lettura gratuita. Ma uno dei suoi visitatori abituali, il giovane Lawrence Ferlinghetti (in seguito proprietario della libreria City Lights di San Francisco), stravolge i suoi piani suggerendogli di uscire dalla sua tana ingombra di libri e gestire un negozio adeguato.
Il sogno di Whitman altro non è che avere una libreria che renda migliore e più bello il mondo di tutti i giorni, e ripone piena fiducia in quell’icona degli anni ‘20 diventata una delle migliori librerie private del quartiere Latino.
Così Whitman propone a Sylvia Beach di gestire gli affari insieme. Questo, ovviamente, se Beach un giorno avesse deciso di riaprire la Shakespeare and Co.
Beach però si nega. Nonostante la partnership negata, però, la signora Beach frequenta regolarmente la libreria Mistral che Whitman apre al 37 di rue de la Bûcherie nel 1951, che parte con quasi più libri di quanti ne possa contenere.
Ciliegina sulla copertina: alla fine, Beach concede a Whitman il permesso di usare il nome del suo ex negozio. La Shakespeare & Co. è tornata.
La nuova riapertura
<< Credo che in un certo senso siamo tutti vagabondi senza casa. La filosofia della libreria è ricambiare l’ospitalità che ho ricevuto in passato >>. – George Whitman
All’inizio della nuova avventura, la Shakespeare&Co ha tre stanze al piano terra, dove Whitman costruisce egli stesso scaffali e divani d’appoggio.
Qualche tempo dopo Whitman acquista anche il locale al piano superiore, aggiungendo una sala di lettura e un posto dover poter addirittura dormire.
Questo perché, da imprenditore socialista qual è, non ha mai dimenticato dell’ospitaità ricevuta durante i suoi viaggi, ma soprattutto: non ha dimenticato il sogno della biblioteca di prestito che coltivava fin da ragazzo.
La Shakespeare and Co. è tutto questo, un centro culturale dove si possono trovare i migliori titoli della letteratura americana e al tempo stesso assistere a lezioni d’italiano o russo. È anche un luogo di ritrovo per i senzatetto, che Whitman invita a rimanere a dormire anche sul pavimento, qualora non trovino altro rifugio.
Tuttavia, lo spirito di un altro tempo insito nella Shakespeare and Co. rischia di causarne un’altra chiusura. Nei primi anni del Duemila, infatti, Whitman si scontra con il cambiamento della burocrazia francese e l’assenza totale di tecnologia nel negozio mette a repentaglio la sopravvivenza di una tradizione così faticosamente costruita. Fortunatamente, la figlia del libraio, Sylvia Beach Whitman (sì, si chiama davvero così), raccoglie l’identità del padre e prende in mano la situazione, modernizzando la libreria e regalandole una nuova vita. Dopo esserlo stato per la generazione perduta, la Shakespeare&Co. riesce a confermarsi punto di riferimento letterario anche per la Beat Generation.
Oggi, i piani dell’edificio sono diventati sei, e c’è anche la possibilità di fermarsi al caffè della Shakespeare&Co per una zuppa calda, una fetta di torta o una tazza di caffè. Oppure, semplicemente per leggere i quotidiani inglesi e americani.
Se ci si aggira negli angoli bui dei locali, si trovano ancora tracce di storie; come quella dello scrittore statunitense William S. Borroughs che si è servito dei testi di medicina di Whitman per documentarsi durante la stesura di Pasto Nudo. O, ancora, di come Frank Sinatra mandasse da Las Vegas i suoi assistenti per comprare i libri solo ed esclusivamente da Shakespeare and Co.
Fino alla sua morte, nel 2011, Whitman continua imperterrito a ripetere il mantra che l’ha spinto a regalare una nuova possibilità alla Shakespeare and Co: << Sono stufo delle persone che dicono di non avere tempo per leggere. Io non ho tempo per fare altro >>.