Parla Tavecchio: «L’Italia non va al mondiale? Colpa dei tagli del Coni»

A poco più di una settimana dal calcio d’inizio a Mosca, l’ex presidente della Figc attacca Malagò e i nuovi commissari

 

«È colpa dei tagli del Coni se non abbiamo tenuto Conte come allenatore»,  così Carlo Tavecchio, ex presidente della Federcalcio, giustifica l’addio dell’ex ct della Nazionale e l’arrivo di Giampiero Ventura. A più di quattro mesi dalle sue dimissioni, seguite  alla mancata qualificazione dell’Italia al mondiale di Russia 2018, evento che non si verificava dal 1958, non ha rinunciato a vivere di calcio e si è ritirato a casa sua, a Ponte Lambro, in provincia di Como, paese dove è nato e dove in passato è stato sindaco tra le file della Democrazia Cristiana. Qui ha fondato la Pontelambrese, società dilettantistica che quest’anno si è conquistata sul campo la promozione in Eccellenza. La squadra gioca in un impianto all’avanguardia: il campo a undici è in erba sintetica, di fianco ce n’è uno, sempre sintetico, per il calcio a 5. Nel cortiletto d’ingresso alla struttura c’è il Bar Sport, locale avviato da Tavecchio, dove molti anziani e qualche giovane si trovano a giocare a carte e a guardare lo sport alla televisione. Di fianco agli uffici c’è un grande capannone. Si sente della musica e odore di carne arrostita, pietanza che da di lì a poco sarà servita ai ragazzi delle 140 squadre giovanili che prenderanno parte al torneo “Giacinto Facchetti”.

Una delle iniziative della sua presidenza è stata l’apertura dei Centri Federali Territoriali, strutture di potenziamento tecnico per i ragazzi dai 12 ai 14 anni che militano nelle squadre dilettantistiche di tutta Italia. La tabella di marcia iniziale prevedeva 200 centri aperti entro il 2020, ma a metà 2018 sono solo 37 le strutture effettivamente operative e si parla di un rinvio al 2025 per il completamento del progetto. Come mai questi ritardi?

«Abbiamo avuto un grosso stop da parte dei contributi Coni. Siamo passati da circa 80 milioni l’anno del 2012-2013 a 40. E questa è una scelta non nostra, quindi abbiamo dovuto fare di necessità virtù».

Quindi è il Coni che vi ha tarpato le ali. Ma è solo quello il problema?

«Ci appoggiamo a impianti già esistenti sul territorio, per cui i centri federali si fanno se le società alle quali ci rivolgiamo collaborano. Anche se la ragione principale di questo ritardo è la riduzione dei contributi del Coni».

E se ci fossero state più risorse come sareste intervenuti?

«Innanzitutto avremmo tenuto Conte come allenatore e questa è già una garanzia di risultati. E avremmo fatto investimenti sull’impiantistica: su questo aspetto il nostro Paese è arretrato, noi usiamo ancora le caldaie a gasolio, non abbiamo il concetto del risparmio energetico. Su 17mila campi solo 2mila sono in erba artificiale. Siamo rimasti a cinquant’anni fa» .

Com’è nata l’idea dei centri federali?

«Volevamo inserire qualcosa di nuovo per preparare i giovani dal punto di tecnico e mentale. L’intento era selezionare dei ragazzi che potessero avere in futuro una carriera agonistica importante creando strutture simili a quelle che già ci sono in Francia e in Germania. L’investimento iniziale era notevole, circa dieci milioni di euro, e la prospettiva era di arrivare a 200 centri. Il progetto nasce in collaborazione con i nostri allenatori e osservatori che in settimana devono selezionare i ragazzi e portarli al centro federale il lunedì per l’allenamento. Volevamo farli allenare anche il giovedì, poi il problema economico ci ha fatto propendere per concentrare l’attività al lunedì».

Intanto sullo sfondo c’è un’Italia che è stata esclusa dal Mondiale e un movimento calcistico che pare in declino. Per lei quali sono i motivi?

«Bisogna intendersi su cosa s’intende per calcio in declino. Perché se parliamo del calcio come attività ludica, il movimento è in ripresa. Esistono realtà, come la nostra, dove giocano 300 ragazzini che non hanno alternative al gioco del calcio. Per quanto riguarda invece il calcio professionistico, noi abbiamo subito un’invasione di calciatori stranieri con l’idea di utilizzarli per speculare e per aumentare i ricavi delle società. Ci sono squadre di serie A che giocano con undici giocatori non italiani. E la nostra nazionale pesca quasi esclusivamente da lì, se nel nostro campionato giocano solo stranieri come si può mettere insieme una squadra in grado di competere per capacità ed esperienza con le nazionali più forti? Non è un problema di decadenza, ma di materiale umano che nel nostro Paese c’è e non sfruttiamo».

Prima accennava alle strutture carenti: come possono influire sulla crescita di un ragazzo?

«Per giocare a calcio bisogna fare impianti adeguati, che rispondano alle garanzie di sicurezza. Bisogna abituarsi fin da giovani a giocare su campi in erba sintetica e non su quelli di pozzolana».

È vero che la nostra Federazione ha perso peso politico in sede internazionale?

«L’Italia ha quattro squadre in Champions mentre la Francia ne ha due, abbiamo applicato il Var per primi, costruito il cambiamento dei vertici del calcio appoggiando Gianni Infantino alla presidenza della Fifa e Aleksander Čeferin ai vertici della Uefa, ottenuto il campionato europeo Under 21 l’anno prossimo, ospiteremo quattro gare dell’europeo 2020. Facciamo una serie di cose che altre nazioni si sognano».

Carlo Tavecchio e Gianni Infantino, presidente della Fifa

Però la mancata qualificazione ai mondiali pesa tanto, non crede?

«È stata una sconfitta per la quale ho ritenuto di prendermi io stesso il peso di tutta la situazione, quando tutti sanno che io non ho tirato un calcio di rigore in Francia né ho fatto un cross contro gli svedesi. Abbiamo avuto anche sfortuna, perché abbiamo preso gol su un unico tiro in porta, tra l’altro deviato. Però questo è un Paese per cui non si ha una valutazione corretta delle responsabilità: si pensa sempre di trovare un colpevole da sbattere in prima pagina e poi tutto il resto va via liscio».

Dopo le sue dimissioni è dovuto intervenire il presidente del Coni, Giovanni Malagò, a commissariare la Federcalcio. Cosa ne pensa dell’opera dei commissari?

«I commissari non sono mai la soluzione dei problemi. Finché ci sono rimasto io non sono mai arrivati in Federazione.  Svolgono un ruolo punitivo, non guardano la crescita del sistema, ma operano esclusivamente per sistemare le carte. Certamente non porteranno vantaggi alla nostra Nazionale».

Eppure, seppur commissariata, la Figc ha varato la riforma che mira a introdurre le squadre B, cioè formazioni direttamente dipendenti dalle compagini di serie A, iscritte alla serie C, con lo scopo di far giocare i migliori talenti in un campionato più competitivo e far loro acquisire esperienza. Cosa ne pensa?

«Era una mia idea, un progetto che già l’anno scorso avevo provato ad applicare con sei squadre, andando a riempire i buchi lasciati dalla mancata iscrizione di altrettante società di serie C. Era però necessaria una riforma dello statuto (che prevede che eventuali posti vacanti vengano assegnati, in alternanza, alle retrocesse dalla serie C e alle vincenti dei play off di serie D, ndr), noi l’avremmo fatta nei modi e nei tempi giusti. Adesso i commissari sono ripartiti con questo progetto, ma senza il blocco dei ripescaggi, che andava fatto per tempo: non è possibile far giocare i play off e poi bloccare i ripescaggi, è una presa in giro del sistema. Quindi quest’anno non le faranno».

Pensa che saranno funzionali alla crescita della nostra Nazionale?

«Sì, a patto che non ci facciano giocare solo stranieri».

 

Intervista a cura di Marcello Astorri, Matia Venini Leto e Andrea Madera

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