Omicron, la parola che spaventa tra allarmismi e pericoli reali

Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Immagine presa a prestito dal mondo contadino che ben rappresenta la reazione dell’occidente alla scoperta della nuova variante B.1.1.529.

Omicron, per dirla con l’Oms, desta preoccupazione nella comunità scientifica dopo aver fatto registrare, in appena una settimana, una escalation di contagi da 0 a 80% (sul totale delle infezioni) nell’area interessata. L’epicentro è il Sudafrica, o meglio: è in Sudafrica che l’Omicron è stata identificata lo scorso 22 novembre, partendo da un campione prelevato tredici giorni prima. Ad oggi più dell’80% delle infezioni sono registrate nella provincia di Gauteng, che ospita le due maggiori città del Paese, Pretoria e Johannesburg.

Il riflesso condizionato dei paesi occidentali è stato quello di bloccare i voli provenienti da diversi Paesi dell’Africa meridionale, nel tentativo di impedire o comunque limitare la diffusione del nuovo ceppo virale. Ma, se come riporta il Corriere della Sera, in Italia a novembre sono atterrati 1700 viaggiatori provenienti dal solo Sudafrica – cui si aggiungono quelli partiti da Paesi limitrofi – emerge immediatamente la contraddizione. Le due settimane intercorse tra il prelievo del campione e la segnalazione fatta all’Oms (24 novembre) – e il conseguente blocco sui voli – sono state sufficienti alla mutazione per superare i confini dell’area in cui ha avuto origine.

Conseguenze dell’allarmismo

Le borse europee e americane oscillano di fronte allo scenario di una nuova ondata globale. Il timore per l’inefficacia dei vaccini sinora somministrati e lo spettro di una contagiosità persino superiore a quella della variante Delta hanno provocato un generale clima di incertezza sul mercato. L’Oms ha catalogato la mutazione come “variante che suscita preoccupazione” (VOC – Variant of Concern), a confermare che il pericolo di una rapida diffusione c’è.

Ma prevedere uno scenario di crisi sanitaria legata alla diffusione di Omicron è stato giudicato “prematuro” dalla stessa Organizzazione. A tentare di calmare le acque è intervenuta anche Angelique Coeztzee, il medico della South African Medical Association che ha sequenziato la variante: “Ci sono soltanto ipotesi in questa fase. Può essere che sia altamente contagioso, ma finora i casi che vediamo sono estremamente lievi”.

Matamela Cyril Ramaphosa, 69 anni, è Presidente del Sudafrica dal 2018

Gli scienziati – non solo dell’Oms – chiedono tempo ma le misure adottate a livello politico dagli Stati  corrono su un altro binario e “rischiano di essere un boicottaggio economico per un Paese già devastato dalle precedenti ondate”. Così parla, in diretta tv nazionale, il Capo di Stato Cyril Ramaphosa, ricordando come l’economia sudafricana dipenda in larga parte dal turismo. Un settore che prima della pandemia generava il 3% circa del Pil nazionale e che nel 2020 ha visto il volume dei turisti calare del 72,6%.

Criticità di un sistema

La comparsa della nuova variante sudafricana riporta poi l’attenzione sulla necessità di una vaccinazione estesa su scala globale. Al 30 novembre la percentuale della popolazione mondiale vaccinata tocca il 43%. In Unione Europea si supera il 67%, negli Usa il 58%, mentre in Africa la popolazione completamente vaccinata si ferma al 7% circa. Il Sudafrica è il paese più colpito del continente dagli effetti della pandemia, con circa 90mila decessi. E su una popolazione di oltre 59milioni di persone ha vaccinato il 24% degli over 18. L’Italia, che conta altrettanti abitanti, segna il 74% di immunizzazioni, con più di 6 milioni di persone che hanno ricevuto anche il secondo richiamo. In Israele si fa strada l’idea della quarta dose.

In uno scenario di globalizzazione, in cui ogni residua idea di confine nazionale è venuta meno in seguito all’emergenza pandemica, l’Oms ammonisce i paesi occidentali anche su un altro aspetto: l’attuale sistema, attuando logiche punitive più che collaborative, disincentiva i Paesi che scoprono nuove varianti dal segnalarlo alla comunità internazionale. “Il Sudafrica va ringraziato per aver individuato, sequenziato e segnalato questa variante, non penalizzato”. Queste le parole del Direttore generale Tedros Ghebreyesus.

La variante Omicron contagia la borsa mondiale

Nonostante l’OMS abbia affermato che ci vorranno settimane per capire come la variante possa influenzare la diagnostica, le terapie e i vaccini, l’allarme si è diffuso nei media, internazionali e italiani. Un’agitazione globale che ha finito per influenzare anche le Borse. La preoccupazione dei mercati è che la diffusione della variante Omicron possa frenare la ripresa economica. La paura, amplificata dalla confusione comunicativa a cui siamo stati abituati durante la pandemia, affonda le Borse di tutto il mondo, partendo dall’Asia, per poi propagare l’onda di preoccupazione sulle piazze europee, su Wall Street e sui prezzi del petrolio.

A condizionare le Borse sono state le dichiarazioni rilasciate dal ceo di Moderna, Stéphane Bancel, al Financial Times. Secondo il manager è possibile attendersi un calo sostanziale dell’efficacia dei vecchi vaccini: «Non so dire di quanto perché dobbiamo aspettare i dati. Ma tutti gli scienziati con cui ho parlato dicono che non sarà buono. Penso che in nessun modo l’efficacia possa essere la stessa che abbiamo avuto con la Delta», ha concluso Bancel.

Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna

Bencel si attende di disporre dei dati attendibili sull’efficacia degli attuali vaccini e sulla pericolosità della variante in un paio di settimane ma serviranno mesi prima di disporre di una produzione di massa di nuovi vaccini. «Moderna e Pfizer non possono produrre miliardi di dosi la prossima settima, è matematicamente impossibile. Ma possiamo avere i miliardi di dosi entro l’estate? Sicuro», ha dichiarato Bancel prevedendo che Moderna possa produrre fino a 2-3 miliardi di dosi nel 2022.

Dichiarazioni, quelle dell’ad di Moderna, che, come abbiamo visto hanno depresso i mercati. Ma come sempre accade nelle transazioni borsistiche, dove c’è chi perde, c’è anche chi “vince”. In questo caso, prevedibilmente, data la natura del proprio business, è stata proprio Moderna a non soffrire particolarmente la diffusione di scenari peggiorativi riguardo la pandemia di Covid-19. Negli ultimi 5 giorni il titolo dell’azienda statunitense è cresciuto del 37,38%. Un trend positivo in atto da mesi, che dall’inizio dell’anno registra un +229,82%.

Non va peggio ai colleghi di Pfizer. Il colosso farmaceutico statunitense, che nel giorno della diffusione globale della notizia sulla scoperta della variante Omicron – il 26 novembre n.d.r. – ha fatto registrare l’ennesimo record. Il titolo della casa farmaceutica ha messo a segno un rialzo del 6,8%, andando a contribuire al +42,35% realizzato da Pfizer da gennaio 2021.

Il nome

È diventato un caso il nome attributo alla nuova variante del virus, sequenziata in Sudafrica con la sigla B.1.1.529. La variante omicron. L’OMS ha infatti dovuto rompere parte delle convenzioni sull’alfabeto greco, per evitare polemiche e fraintendimenti. Il problema della nomenclatura risale in realtà a qualche mese fa. Lo scorso giugno si era deciso di abbandonare quella che abbinava ai diversi ceppi le nazionalità degli Stati in cui venivano rilevati (variante inglese, variante sudafricana). Spesso questa categorizzazione era vettore di stigmatizzazioni sia a livello economico che sociale. Il casus belli, in particolare, era stata la variante indiana, in seguito chiamata variante Delta. L’OMS aveva optato infatti per ricorrere a una più neutrale classificazione con le lettere dell’alfabeto greco.

All’alba dell’identificazione della 13esima mutazione dall’inizio della pandemia, la questione sembra essersi ripresentata. Ma sotto un’altra forma. Quella sequenziata in Sudafrica sarebbe dovuta essere infatti la variante N (in italiano ni, in inglese nu). Solo l’ipotesi aveva però scatenato, venerdì 26 novembre, diversi dibattiti: la pronuncia nu in inglese, rendeva la denominazione troppo simile all’aggettivo new, nuova. Poteva quindi creare confusione nella popolazione e alimentare l’allarmismo, già diffuso.  Nemmeno la successiva lettera Ξ (in italiano xi) era al riparo dalle critiche. In questo caso la dizione ricordava troppo il cognome cinese Xi (lo stesso del Presidente Xi Jinping). Il suo utilizzo – ha confermato anche il portavoce dell’OMS, Tarik Jasarevic, al New York Times – avrebbe rischiato di vanificare tutti gli sforzi degli scorsi mesi per slegare la genesi del Covid da Pechino.

L’identikit

Il quadro su Omicron non è ancora del tutto chiaro. Attualmente nei casi riscontrati – secondo il National Institute for Communicable Diseases (NICD) sudafricano – le infezioni non sono gravi. In alcuni casi invece sono asintomatiche. La sorveglianza in tutto il mondo è attiva però solo da pochi giorni e la popolazione maggiormente coinvolta, quella sudafricana, è molto giovane: l’età media è infatti di 28 anni. L’impatto del virus sarà quindi diverso in Stati più anziani, come quelli europei. Per il momento sappiamo invece che può diffondersi rapidamente. Il Sudafrica giovedì 25/11/21, alla vigilia della scoperta del nuovo ceppo, ha registrato 2.565 nuovi positivi, il 321% in più rispetto alla settimana precedente. Il 90% di questi – secondo le stime – sono dovuti alla variante Omicron, che ha preso il sopravvento sulla Delta. Inoltre a Tshwane – nella già citata area urbana di Gauteng – nelle ultime 3 settimane i positivi sono passati dall’1% al 30% della popolazione.

Omicron ha però anche un lato positivo: l’assenza del gene S, tra i geni target con cui il tampone rileva l’infezione, rende la mutazione più facile da identificare. Il test molecolare identifica infatti S negativo.  La stessa caratteristica è presente anche in Alfa. Questa variante è però poco diffusa in Africa. La linea di difesa primaria, secondo le istituzioni, rimane però il vaccino e, in particolare, la terza dose. Pfizer e Moderna inoltre hanno annunciato – entro il 2022 – lo sviluppo di un preparato specifico per combattere Omicron, da somministrare come quarta dose booster. La tecnologia dei vaccini a mRNA li rende infatti facili da modificare e da adattare alle nuove varianti.

Altro giro, altra corsa

La variante Omicron dà il via a un nuovo ciclo, narrativo e scientifico, alla scoperta sistematica delle novità di questo ceppo. Stessa modalità della variante precedente, la Delta.

Per quanto riguarda il percorso scientifico, l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha affiancato la struttura della proteina Spike di Omicron e quella di Delta. Il ceppo identificato dal centro di ricerca sudafricano presenta più mutazioni rispetto alla variante Delta, soprattutto nell’area che si lega alle cellule umane.

Studio a confronto di variante Delta e variante Omicron

I ricercatori hanno però affermato che «non sappiamo se le variazioni di Omicron siano di per sé pericolose per l’uomo, per il momento possiamo solo affermare che il virus si è ulteriormente adattato alla nostra specie». La variante conta 32 mutazioni nella proteina Spike, tre volte quelle di Delta.

Ma i timori non nascono nè dalla conferma che sia più contagiosa nè sulla minor efficacia dei vaccini. Penny Moore, virologa dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg, città più grande del Sudafrica, ha pubblicato sulle rivista Nature la sua rassicurazione: «Servono altre due settimane per capire se e fino a che punto la variante sia in grado di sfuggire agli anticorpi generati dai vaccini e alle difese dovute all’attivazione delle cellule T del sistema immunitario».

Ma il vero percorso ripetitivo sembra essere quello narrativo. Ancora una volta appare il paziente zero: chi è, da dove proviene, che sintomi ha, come sta la sua famiglia. L’utilizzo sistematico di questa metafora del viaggio del virus attraverso le nazioni non fa che alimentare quello stato di isteria che ormai compare ogni qualvolta venga individuata una variante.

Nuova variante, nuova psicosi collettiva

Le prime notizie sulla diffusione della variante Omicron ci hanno messo di fronte a una domanda con cui ci stiamo confrontando sempre più spesso: dove sta il confine tra “dare l’allarme” e fare allarmismo? Secondo Mauro Ferraresi, sociologo dell’Università IULM, dipende tutto dal contesto e dal tono utilizzato: «In questi giorni si è scatenata per l’ennesima volta una sorta di nevrosi collettiva. I giornali hanno iniziato a suonare l’allarme prima ancora di avere informazioni certe. Le rassicurazioni sull’efficacia dei vaccini e sulla bassa pericolosità della variante sono passate sotto traccia, quando ormai il danno era stato fatto».

L’allarmismo di questi giorni, però, nasce da un problema più ampio: i cortocircuiti nel

Mauro Ferraresi, sociologo e docente dell’Università IULM

rapporto tra giornalismo e scienza. Due discipline con tempi, logiche e obiettivi diversi, che non sempre riescono a convivere. «Il discorso giornalistico non è il discorso scientifico – precisa Ferraresi –. Ci vuole la buona volontà di comprendere le diverse logiche e non ridurre tutto a slogan o eccessi di semplificazione».

Secondo il sociologo, tutto nasce da un’incomprensione di fondo: il giornalismo pretende che la scienza comunichi informazioni certe e definitive, anche quando questo risulta impossibile.

«Virologi e scienziati si sono fatti trascinare da un certo tipo di comunicazione giornalistica, che pretende di avere risposte certe su tutto ciò che succede – prosegue Ferraresi –. Chi si espone mediaticamente deve far presente che la scienza segue altre logiche e non funziona così».

Viola Francini

Di sangue toscano, vivo a Milano da 4 anni e sogno il giornalismo da quando ne avevo 9. Innamorata dell’arte in tutte le sue forme, guardo il mondo con il filtro della poesia sugli occhi. Mi piace raccontare la cultura, quella che parla di società e realtà umane. Laureata in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica, ho collaborato con la redazione NewsMediaset e scrivo per MasterX come giornalista praticante.

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