La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili tre quesiti referendari su otto. A non passare sono le proposte su eutanasia, cannabis legale e responsabilità civile dei magistrati per gli errori giudiziari. I quesiti ammessi, invece, sono quelli in materia di giustizia: l’abrogazione delle disposizioni in materia di insindacabilità, la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, l’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm, il voto degli avvocati sui magistrati.
Il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati
Proposto da Lega e Partito Radicale, l’obiettivo del quesito in materia di giustizia, bocciato dalla Corte Costituzionale, era far sì che i magistrati rispondessero direttamente per gli errori giudiziari commessi. Attualmente, infatti, è lo Stato a risarcire il cittadino vittima di un errore giudiziario. «La regola è sempre stata quella della responsabilità indiretta», ha spiegato in conferenza stampa il presidente della Consulta Giuliano Amato, «l’introduzione della responsabilità diretta avrebbe reso il referendum, più che abrogativo, innovativo».
L’eutanasia legale
Le risposte più attese dai cittadini erano sicuramente quelle relative all’eutanasia e alla cannabis legale, che avevano raccolto rispettivamente più di un milione e più di mezzo milione di firme dei cittadini.
La Corte costituzionale ha deciso che il quesito promosso dall’Associazione Luca Coscioni sull’eutanasia è «inammissibile, perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, ha però giudicato questa motivazione una «sentenza politica». Per i sostenitori tutti gli esempi fatti che non rientrano in circostanze di malattia, sono oggi trattati dalla giurisprudenza facendo ricorso ad altri reati, primo fra tutti l’omicidio doloso. Secondo Amato, per colmare quello che lui definisce la «legittima aspettativa» dei malati che chiedono l’eutanasia, «ci vuole una legge».
La cannabis legale
Il quesito prevedeva la depenalizzazione della coltivazione, oggi punita con reclusioni che vanno da 2 a 6 anni, e puntava a eliminare sanzioni accessorie come la sospensione della patente. Sarebbe rimasto comunque in vigore il divieto di trattare e raffinare tali sostanze. Posto in questo modo il referendum avrebbe reso possibile la coltivazione non solo di cannabis, ma anche di papavero e coca, le cosiddette droghe pesanti. Questo era sufficiente a violare obblighi internazionali. Se il quesito non avesse riportato questo «errore», sostiene Amato, avrebbe potuto anche essere ammesso, «Ma non sono io che scrivo i quesiti», ha aggiunto.
Sulla questione c’è giudizio discordante, perché effettivamente – come ha ipotizzato lo stesso Amato immaginando una possibile «confusione» da parte dei promotori del referendum – dopo la bocciatura da parte della stessa Consulta, nel 2014, della legge Fini-Giovanardi che metteva tutte le sostanze nella stessa tabella, compresa la cannabis, il testo sulle droghe è stato rivisto più volte. Per Amato, i promotori del referendum «si sono rifatti erroneamente alle tabelle della Fini-Giovanardi».