Vince il sì, lascia Di Battista. Il Movimento 5 Stelle farà dunque parte del Governo Draghi ma a caro prezzo. I pentastellati perdono infatti uno degli esponenti più rappresentativi, un grillino delle origini, oscurato solo dalla presenza di Luigi Di Maio. «DiBa» non ha accettato l’esito della votazione indetta sulla piattaforma Rousseau; votazione che con il 59,3% dei sì, ha spalancato al MoVimento le porte di «un governo tecnico-politico, che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi».
La votazione, prima sospesa e poi sbloccata dalla concessione, fatta dal premier incaricato, del «Super Ministero della Transizione Ecologica», consacra definitivamente la svolta green ed europeista dei grillini; relegando nel dimenticatoio, come se non fosse mai esistita, l’esperienza populista nell’esecutivo gialloverde.
Fratture insanabili
L’addio di Di Battista era nell’aria: in più occasioni, nell’ultimo anno, si era giunti allo scontro. Una volta di troppo, sembrerebbe. L’ultima sfida si è consumata sull’opportunità di sostenere il Governo presieduto da Mario Draghi. Ma la materia del contendere, in realtà, è sempre la stessa: ai governisti, capeggiati dal solito Luigi Di Maio con l’appoggio della new entry Giuseppe Conte, si è contrapposta la frangia più ortodossa del Movimento delle origini, capitanata da «DiBa». «Il bivio è uno: le macerie o la ricostruzione», aveva tuonato l’ex Ministro degli Esteri. «Il curriculum di Berlusconi ci impone di dire No al nuovo governo», ha replicato Di Battista. A esser fatale è stata proprio la presenza degli azzurri nel nuovo esecutivo. «DiBa», pertanto, non parlerà «più a nome del Movimento 5 Stelle anche perché il Movimento non parla a nome mio».
Ma Di Battista non è solo: contro il sì al Governo Draghi si è spesa anche la base del partito. Il fronte del Sud Italia, il più grande bacino elettorale grillino, ha infatti espresso la sua contrarietà al nuovo esecutivo rispolverando un vecchio cult grillino, rinnovato per l’occasione: non più «V-Day» ma «Vaffa Draghi», iniziativa social indetta su Zoom da alcuni dissidenti campani. Se sarà scissione, lo scopriremo presto. Chissà se il bonus pater familias Beppe Grillo riuscirà ancora una volta, con i suoi rimproveri, a far riappacificare i figli del Movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio?
Da un Casaleggio all’altro
Non solo Di Battista. Anche Davide Casaleggio rappresenta un problema per i cinque stelle. Il Presidente di Rousseau, infatti, ha cercato di appropriarsi del quesito proposto agli attivisti, formulandolo in modo da favorire il no o, quantomeno, da avallare l’astensione. Terza opzione tanto cara a Di Battista quanto osteggiata dai vertici del partito: molto simile a una bocciatura, avrebbe compromesso irrimediabilmente la partecipazione al Governo di Draghi.
Ma lo scontro interno ai grillini, in realtà, non si è consumato sulla sola paternità del quesito. A essere messa in dubbio, prima ancora, è stata l’opportunità di sottoporre il quesito stesso all’attenzione degli iscritti. Anche qui, un film già visto. Da un lato i vertici del Movimento, intenti a liberarsi dell’ingombrante fardello rappresentato da Rousseau; dall’altro, Casaleggio figlio, pronto a difendere a tutti i costi la creatura del padre e, con essa, il suo potere e la sua influenza all’interno del partito.
Nata come primordiale forma di democrazia diretta, come reazione ai fallimenti della democrazia parlamentare, la piattaforma, per i vertici grillini, rappresenta l’ultimo ostacolo per la costituzione di un nuovo Movimento: non più populista, ma europeista e green.