Perché i dubbi su Immuni sono la metafora della diffidenza verso lo Stato

Una volta i meme del web recitavano “che l’Italia riparta da…”. Con l’emergenza Coronavirus in atto, lo scherzo si fa serio. La frase è diventata istituzionale, in tempi di preparazione della Fase 2. Allora, che l’Italia riparta dall’app Immuni. Detto-fatto: con un’ordinanza firmata dal Commissario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, anche il governo italiano ha il suo sistema di tracciamento dei contagi. La sua efficacia, però, è direttamente proporzionale al numero di persone che decideranno di scaricare l’applicazione sugli smartphone. Non sarà di fatto obbligatorio averla, ma per una mappa più accurata, Conte e i suoi stanno pensando a un modo di incentivarne il download.

Nei giorni scorsi, gli esperti hanno lanciato un numero: circa il 60% degli utenti dovrebbe avere Immuni sullo schermo del proprio cellulare. Sarebbe questa la cifra da raggiungere per rendere puntuale il report. Numeri che non ottengono neppure applicazioni sdoganate quali Whatsapp, per esempio. Ecco perché le ipotesi varate in queste ore sono tante: chi non scaricherà Immuni potrebbe essere soggetto a limitazioni negli spostamenti? L’incubo dei complottisti diventa realtà: il governo ci segue e sa tutto quello che facciamo, si scrivono da una parte all’altra delle bacheche facebook. A chi spetta l’ingrato compito di spiegare loro che proprio il social blu sa tutto sui loro gusti, addirittura sulle loro preferenze politiche, e non di certo da ieri? Come mai, poi, gli italiani sono più propensi a regalare dati a test social quali “che frutta sei?” che a un’applicazione utile a prevenire i contagi da Coronavirus? Ne abbiamo parlato con Marianna Vintiadis, Managing Director e responsabile Kroll per il Sud Europa. Dalla sede di Milano dirige l’attività di Kroll in Italia, nella penisola Iberica, in Austria, in Grecia e nei Balcani.

Paura dello Stato

Ebbene, dalla lunga intervista telefonica è emerso un dettaglio importante: gli italiani non hanno fiducia nello Stato. Credono che la fregatura sia sempre dietro l’angolo, anche quando i provvedimenti si presentano come più che ragionevoli. «Quando la gente crede che questo sia un sistema che ci porterà alla dittatura, sicuramente esagera, ma l’incapacità di comprendere non è condannabile se dall’altra parte il governo non è trasparente – spiega la Vintiadis-. Le persone non capiscono le novità tecnologiche, è lecito, ma lo Stato deve fare uno sforzo per essere chiaro nelle spiegazioni. L’italiano è convinto che il politico menta dalla notte dei tempi, di certo la classe dirigente non ha mai fatto salti mortali per smentire questo preconcetto. Bisogna spiegare Immuni nel minimo dettaglio: tanto per iniziare, chi conserverà i dati ottenuti con l’applicazione? Per quanto tempo? La comunicazione da questo punto di vista ha avuto per il momento diverse falle». La verità è che l’app è stata per lungo tempo un’incognita per l’esecutivo. Ma esiste un reale rischio per la privacy dei cittadini?  «La tecnologia bluetooth è efficace su brevi distanze. Non è precisa come il gps: anche in quel caso, la localizzazione è matematica solo quando parliamo di ambiti militari. Per i civili è reso volutamente più debole. Il bluetooth è perfetto per garantire la mappatura dei contagi, mette in relazione i dispositivi di due persone che si incrociano. Pensavamo fosse una tecnologia un po’ goffa e ora si sta rivelando vitale. Avendo scelto la decentralizzazione, ossia la comunicazione tra telefoni nel momento in cui incontri un positivo, viene naturale pensare che qualcuno dovrà pur conservare i dati. Questo fa paura». 

Altro dettaglio importante: è da tempo che si parla dell’app Immuni e della sua istituzionalizzazione, ma sui test resta un punto interrogativo. Per mettere alla prova il sistema, servirebbe che gli utenti cominciassero ad usarlo. Per iniziare il processo però bisogna aspettare gli sblocchi della Fase 2. Stiamo per farci trovare impreparati? « Senza i test, l’infrastruttura resta solo teoria. Per essere efficace, Immuni deve funzionare benissimo – spiega Marianna Vintiadis -. Non stiamo mettendo alla prova l’idea. Stiamo basando un intero sistema di ripresa su qualcosa che non sappiamo se di fatto funzionerà». 

Per quanto riguarda la privacy, bisogna tener conto di due fattori: è vero che la tecnologia bluetooth non è precisa come quella del gps, ma dall’altra parte è lecito interrogarsi su cosa voglia dire la prospettiva di un download praticamente obbligatorio« Potrebbe essere un problema. Prima di tutto bisogna mettere nero su bianco che a emergenza finita, i dati raccolti non vengano riutilizzati per altri fini. Anche modificando la Costituzione, perché no? Siamo molto più propensi a regalare senza interrogarci troppo i dati a Google che a prestarli al governo per fini utili perché lo Stato non comunica chiaramente con il popolo. Sul piano teorico, Immuni non è l’occasione per impuntarsi sulla privacy a tutti i costi, ma nell’atto pratico può rappresentare per il futuro una seria limitazione delle libertà personali. Prima di autorizzare un sistema simile, il cittadino vuole essere convinto che non ci sia altro modo e per tranquillizzare gli animi serve trasparenza».

Nel dettaglio: come funzionerà Immuni?

Quindi arriviamo alla domanda principe: come funzionerà l’app? Si tratterà di un tracciamento dei movimenti e i dati raccolti saranno «solo quelli necessari ad avvisare l’utente di essere uno dei contratti stretti di un paziente risultato positivo al Covid-19». Quali siano i dati definiti “necessari” non è chiaro, ma dovrebbe stabilirlo il ministero della Salute. Sull’ipotesi dell’obbligatorietà su carta dell’app, per ora si specifica che il mancato download non comporterà alcuna limitazione. Restano però leciti i dubbi generati dai numeri condivisi dagli esperti. Se per garantire l’efficacia serve almeno il 60% degli utenti, è chiaro che non si possa fare affidamento solo sul senso di responsabilità del singolo cittadino.

Arriva anche una data per la cancellazione dei dati raccolti dalla piattaforma: entro il 31 dicembre 2020, tutte le informazioni dovranno essere cancellate o rese anonime. L’ipotesi di un “oppure”, però, continua a far paura.

 

Gabriella Mazzeo

24 anni, giornalista praticante. Attualmente scrivo per MasterX, prossimamente scriverò per qualsiasi testata troverete in edicola. Per ora intaso il vostro internet, fra diversi anni forse anche le vostre tv. Nel dubbio, teniamoci in contatto

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