USA: il Covid fa riemergere la realtà, afroamericani soli contro il virus

“Quando gli americani bianchi prendono un raffreddore, gli americani neri prendono la polmonite”, recita un vecchio detto quanto mai attuale in questi giorni. Quello che traspare dagli Stati Uniti durante la pandemia è infatti uno spaccato della realtà, che accende ancora di più i riflettori sulle disuguaglianze sociali insite nel Paese.

La diffusione del coronavirus infatti, non sembra aver colpito lo stato americano in maniera uniforme, lasciando lungo la strada un numero di vittime afroamericane superiore rispetto ai connazionali “bianchi”. Da New York City, a Detroit passando per Chicago, la situazione che si respira in questi giorni negli States è dipinta nuovamente da quella lotta al razzismo iniziata molti anni fa. La pandemia infatti non ha fatto altro che amplificare una struttura basata sulla diseguaglianza mettendo in luce stili di vita opposti tra americani bianchi e di colore.

Eppure, era già successo prima che un evento naturale di tale portata distruggesse il Paese mettendo il luce le sue più grandi difficoltà. Basta tornare con la mente al 2005, quando l’Uragano Katrina spazzava via la città di New Orleans evidenziando un’istituzione sanitaria gravemente sotto-finanziata e incapace di rispondere ad un’emergenza di quel livello.

Al tempo infatti lo stato della Louisiana era diventato terreno fertile per povertà, analfabetismo e criminalità. Oggi, a distanza di 15 anni, un nuovo uragano di natura diversa sta investendo nuovamente gli States portando in superficie nuovi problemi attribuibili, questa volta, allo Stato intero. Pur non avendo ancora i dati completi infatti, quelli pochi comunicati hanno già contribuito a trasformare una crisi sanitaria in una vera e propria “lezione di vita”, come la definisce il New Yorker, contro il razzismo e la diversità di classe.

Il 30% degli infetti negli States è di colore pur essendo una minoranza

I dati aggiornati al 13 aprile rilasciati dal Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti hanno rivelato che il 30% dei pazienti affetti da coronavirus sono afroamericani, anche se quest’ultimi rappresentano solo il 12% della popolazione totale degli Stati uniti.

Etnie negli Stati Uniti, con le percentuali sui casi di coronavirus. Dati aggiornati al 26 aprile.       @credit: Nicolò Rubeis

Nel Michigan ad esempio, il 33% dei positivi al Covid-19 proviene dalla comunità nera, che rappresenta il 14% degli abitanti. Nel Mississippi oltre la metà dei contagiati è afroamericano, anche se in totale nello stato solo un terzo lo è. Discorso analogo anche in Georgia, dove il 31% delle persone colpite dal virus è di colore. Nonostante essi siano il 16% della popolazione.

La popolazione afroamericana e le percentuali di decessi da Covid in alcuni stati americani. Dati aggiornati al 13 aprile. @credit: Nicolò Rubeis

Anche dal punto di vista dei decessi i numeri parlano chiaro. Come riportato dal New York Times, al 14 di aprile il 43% delle persone morte a causa del virus nell’Illinois sono afroamericane, una comunità che costituisce però solo 15% della popolazione totale dello Stato. In Louisiana addirittura il 70% dei deceduti a causa del Covid-19 sono neri, anche se solo un terzo dei residenti lo è. Nella città di Chicago invece, gli afroamericani sono oltre la metà dei positivi e il 72% dei deceduti, anche se rappresentano poco meno di un terzo della popolazione.

Le disuguaglianze sul lavoro: per alcuni niente smart working

Le motivazioni che spiegano questa tendenza sono riconducibili alle disuguaglianze di lunga data all’interno dei vari strati sociali. Una delle ragioni è rappresentata dal fatto che la maggior parte dei neri americani svolgono mansioni impossibili da praticare da casa. Come riporta il The Guardian, solo il 20% dei lavoratori di colore ha dichiarato di essere idoneo allo smart working. A New York, le minoranze rappresentano il 70% di coloro che fanno i lavori considerati essenziali, quelli che in sostanza non hanno mai smesso di lavorare. Il 28% di questi, vive a Brooklyn, una delle aree della città più colpite dal coronavirus, e la maggior parte di loro sono afroamericani. Per non parlare poi dei dati relativi ai dipendenti del servizio di trasporto pubblico e agli addetti alle pulizie. Il 40% di chi lavora su autobus e metropolitane nella Grande Mela è di colore, mentre per le pulizie il 60% è ispanico.

Misure di sicurezza per non far avvicinare i passeggeri ai conducenti degli autobus. @NewYorkTimes

L’agenzia che gestisce i trasporti a New York, la Metropolitan Transportation Authority, è stata accusata di non aver adottato in tempo le giuste precauzioni e di non aver fornito adeguati dispositivi di protezione ai dipendenti. Agli inizi di aprile erano 41 i funzionari della MTA deceduti per Coronavirus, con oltre 6.000 dipendenti contagiati, o messi in quarantena. Gli afroamericani e le minoranze latine poi, vivono in aree urbane con una densità di popolazione molto elevata, un fattore che specialmente all’inizio dell’epidemia ha favorito la diffusione del contagio.

Un problema di comunicazione

Il dipartimento della salute della Contea di Milwaukee nel Winsconin ha registrato le preoccupazioni della comunità afroamericana, che sollevava il problema di come i metodi di comunicazione tradizionali non fossero efficaci nelle minoranze. «Stiamo compiendo degli sforzi per migliorare le comunicazioni con annunci mirati creati da persone influenti nella comunità afroamericana» ha dichiarato Benjamn Weston, il direttore medico della Contea.

Il chirurgo generale Jerome Adams e Donald Trump

Il chirurgo generele Jerome Adams, una delle due persone di colore che aggiornava in televisione le informazioni relativa al virus, ha dichiarato che gli afroamericani e i latini dovrebbero smettere di bere e di fumare. Un’affermazione che gli è costata l’allontanamento dalla TV e che ha minato la credibilità del governo.

 

In Florida, la rappresentante Debbie Mucarsel-Powell ha affermato che i latinoamericani e i neri nel suo distretto non stanno ottenendo le informazioni di cui hanno bisogno per comprendere a pieno la pandemia. La democratica sta spingendo per includere nelle prossime manovre congressuali una disposizione che indirizzi dei fondi federali per dei progetti educativi in varie lingue, da diffondere sia in TV che nelle radio pubbliche.

La popolazione latinoamericana e le percentuali di decessi da Covid in alcuni stati americani. Dati aggiornati al 13 aprile. @credit: Nicolò Rubeis

 

La consigliera comunale di Philadelphia, Maria Quiñones Sánchez invece, ha ipotizzato che gli alti tassi di coronavirus tra i latini nel suo distretto fossero dovuti alle barriere linguistiche che hanno impedito il diffondersi di raccomandazioni e informazioni precise. La Quiñones Sánchez allora ha promosso una campagna mediatica importante, stampando migliaia di volantini in spagnolo, visto l’alto tasso di persone che lo parlano nel suo distretto.

La sfiducia degli afroamericani nel sistema sanitario

Il problema poi riguarda inevitabilmente anche il mondo sanitario. In primis la qualità delle strutture, inferiore nella maggior parte dei casi per quelle situate nei quartieri dove vivono afroamericani o latinoamericani.

Le possibilità economiche delle minoranze sono spesso ridotte e molti fanno fatica a coprire i costi delle assicurazioni. Il Covid-19 poi, è ancora più letale su persone già soggette a problemi clinici, un fenomeno spesso riconducibile nelle minoranze alla mancanza di cure adeguate.

Le statistiche parlano inoltre di un’alta percentuale di contagio da coronavirus nelle persone che soffrono di obesità, ipertensione e diabete, fattori di rischio più comuni tra gli afroamericani. Tutte problematiche che si sommano con la sfiducia storica tra i latinoamericani e gli afroamericani verso il sistema sanitario americano. Sensazioni che non si sono acutizzate con il tempo e che la pandemia sta ritirando fuori con vigore. Una sfiducia che è il risultato delle differenze sociali anche nella salute, come per esempio i diversi tassi di mortalità tra le donne bianche e quelle di colore. Uno scetticismo che potrebbe avere ripercussioni pericolose nel momento in cui sarà pronto un vaccino.

Queste condizioni non sono altro che la conseguenza di uno stile di vita costretto a sobborghi urbani, a lavori precari e a cattive abitudini, come il fumo e l’uso di oppioidi. Il divario tra la diversa attenzione posta tra “bianchi” e “neri” è frutto di una negligenza istituzionale che va avanti ormai da troppo tempo. A Chicago, una delle città che ha contato più morti di Covid-19 tra gli afroamericani, il presidente del Cook County Board dell’Illinois, Toni Preckwinkle, ha chiuso il pronto soccorso dell’ospedale pubblico Provident nella zona di South Side, in cui vivono in modo particolare afroamericani. La chiusura, fissata da Preckwinkle per un mese, è arrivata in risposta ad un operatore risultato positivo. Una decisione che si sostiene non sarebbe stata presa se si fosse trattato dell’ospedale della zona a nord della città, in prevalenza bianca.

Eppure non si può parlare solo di assistenza sanitaria e di condizioni di salute, perché la disuguaglianza è stata evidenziata anche in merito alla distribuzione dei test e all’uso delle mascherine. Per i primi infatti, il Centro di controllo diagnosi americano, ha dato inizialmente la precedenza a tutti coloro che avessero viaggiato in tempi recenti, condizione che per ovvi motivi non copriva zone come i quartieri di Brooklyn e il Queens a dispetto degli abitanti di Manhattan, nella sola città di New York City.

Indossare una mascherina può diventare un potenziale rischio

Oltre a questo, secondo quanto evidenziato anche dal New York Times, si può parlare di vero e proprio stress causato dall’esposizione a vari tipi di tossine, alla carenza di sonno e anche alla discriminazione razziale. Quest’ultima, è stata evidenziata in modo particolare da Vox che ha riportato alcune vicende in merito alla discriminazione da parte della polizia nei confronti di cittadini di colore coperti dalle mascherine protettive. Come si legge nell’articolo infatti, indossare la mascherina per un uomo di colore significa intensificare il rischio di essere percepito come un potenziale criminale, specialmente da parte delle forze dell’ordine, in cui si è radicato un pregiudizio tale da motivare il razzismo come un’interpretazione del crimine, sottolinea il giornale americano.

Questa concezione ha portato l’America a prendere misure come incarcerazione o altri tipi di prevenzione contro un numero sempre maggiore di afroamericani. Secondo quanto riportato sempre da Vox infatti, nel 2011 l’87% delle persone fermate a New York City secondo il cosiddetto stop-and-frisk, ovvero interrogazioni sulla base di “ragionevoli sospetti”, erano persone di colore o latine, e nell’88% sono risultate poi innocenti in merito ai crimini sospettati. Ecco che, per una persona di colore, già condizionata da un situazione che lo spinge a sentirsi vittima di razzismo, indossare una mascherina che lo rende irriconoscibile e sospetto lo sottopone ad una ulteriore situazione di stress.

Dati divisi per etnia, un’ ulteriore divisione?

Medici, attivisti, associazioni e funzionari politici stanno spingendo per una maggiore trasparenza sui dati, informazioni che però, spesso non sono disponibili, soprattutto quando non è nota la provenienza d’origine del deceduto. Vari rappresentanti federali stanno chiedendo a Donald Trump di esortare i governatori a pubblicare dati in base all’etnia.

Sia per il Presidente che per Joe Biden, prendere in mano la situazione relativa alle disuguaglianze sanitarie può avvicinare i consensi dei ceti più bassi in vista delle presidenziali di novembre.

Con la pandemia sono riemerse tutte le disparità negli Stati Uniti: classificare i casi di coronavirus in base al colore della pelle potrebbe ulteriormente alimentare il divario sociale? O potrebbe essere il momento per affrontare le disuguaglianze che da generazioni affliggono le classi più deboli, dalla schiavitù al razzismo?

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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