Una copia del Corano in fiamme davanti all’ambasciata turca a Stoccolma. La Turchia reagisce riproponendo il veto all’ingresso della Svezia nella Nato e annullando la visita del Ministro della Difesa svedese ad Ankara.
I rapporti tra i due Paesi si fanno ancora più tesi, e le prospettive di Stoccolma di unirsi all’Alleanza Atlantica si complicano ulteriormente. Ma al di là di questi ultimi avvenimenti perché la Turchia è così restia a concederle il via libera all’ingresso nella Nato? Per rimuovere il suo veto, cosa vuole in cambio dalla Svezia (e dagli Stati Uniti)?
Il rogo del Corano
Negli ultimi giorni, le fiamme hanno avvolto il Corano in due occasioni. Prima, il 21 gennaio, davanti all’ambasciata turca a Stoccolma. Poi, il 27, davanti all’ambasciata turca a Copenaghen. L’autore del gesto è sempre lo stesso uomo: Rasmus Paludan. Avvocato con doppio passaporto danese-svedese, è il fondatore del partito danese di destra radicale Stram Kurs (in italiano “Linea dura”).
Si è scoperto che dietro il suo gesto si cela Chang Frick, un giornalista e politico svedese che colleziona calendari e magliette di Putin e sostiene la causa russa in Ucraina. Frick ha ammesso le sue responsabilità, ma ha dichiarato: «non gli avevo detto di bruciare il Corano, ma piuttosto una certa bandiera. Volevo che l’azione fosse contro la Turchia».
Paludan aveva già dato fuoco al Corano, lo scorso aprile, in Svezia. Ora ha replicato questo gesto, a Stoccolma e Copenaghen, e presumibilmente lo farà di nuovo. Lo ha dichiarato lui stesso: «Brucerò una copia del Corano davanti all’ambasciata turca a Copenaghen ogni venerdì, fino a quando la Svezia non entrerà a fare parte della Nato».
La reazione della Turchia
Il rogo del Corano ha inevitabilmente incrinato i già tesi rapporti tra Turchia e Svezia. Il governo svedese ha preso le distanze dal gesto di Paludan, ma questo ha immediatamente scatenato l’ira della Turchia e di altri Paesi musulmani.
Il governo turco ha reagito riproponendo il veto temporaneo all’ingresso di Stoccolma nella Nato e annullando un vertice trilaterale a Bruxelles tra funzionari di Turchia, Svezia e Finlandia. Annullata anche la visita ad Ankara del Ministro della Difesa svedese Pal Jonson, che si sarebbe dovuto incontrare con il suo omologo turco, Hulusi Akar: l’obiettivo dell’incontro sarebbe dovuto essere quello di superare le obiezioni della Turchia all’ingresso della Svezia nell’Alleanza Atlantica.
Una reazione preannunciata
In realtà, la reazione turca era arrivata già prima del rogo di Stoccolma, quando il governo svedese aveva accordato a Paludan, in nome della libertà d’espressione, il permesso di manifestare. Ankara si era opposta perché il politico danese aveva già annunciato che avrebbe dato fuoco al Corano. La Turchia aveva dunque chiesto a Stoccolma di revocare l’autorizzazione, facendo intendere che la manifestazione avrebbe comportato conseguenze sul negoziato di adesione del Paese scandinavo alla Nato.
Dopo che la Svezia aveva concesso a Paludan il permesso di manifestare, la Turchia aveva convocato l’ambasciatore svedese ad Ankara, Staffan Herrstrom, presso il Ministero degli Esteri turco. Si trattava della seconda convocazione per Herrstrom in una settimana. La prima avvenne dopo la manifestazione dell’11 gennaio in favore dei separatisti curdi del Pkk: in quell’occasione, i manifestanti appesero a testa in giù un manichino di Erdogan davanti al municipio di Stoccolma.
In Turchia critiche trasversali
«Bruciare il Corano è un crimine di odio e contro l’umanità. Nonostante tutti i nostri avvisi il fatto che sia stata permessa la manifestazione spiana la strada all’odio nei confronti dell’Islam. Attaccare valori sacri è un esempio di moderna barbarie, non di libertà», ha dichiarato Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere del Presidente Erdogan. Critiche anche dal Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu: «Permettendo questo atto spregevole il governo svedese ha preso parte al crimine».
La manifestazione in Svezia, però, ha sollevato le critiche anche dell’opposizione a Erdogan. Bruciare il Corano è, infatti, un atto dissacrante nei confronti non solo dell’attuale leader turco, ma anche della stessa figura del Presidente della Repubblica di Turchia. Il leader del Partito popolare repubblicano (Chp), Kemal Kilicdaroglu, possibile sfidante alle presidenziali, ha definito il gesto «fascista», «disumano» e «inaccettbile». Peraltro, il Chp, principale partito d’opposizione, condivide il veto del governo turco all’ingresso di Stoccolma nella Nato.
Le trattative tra Turchia e Svezia
Se la Turchia ha risolto i suoi problemi con la Finlandia, che ha ripreso l’export di armamenti verso il territorio turco, non si può dire lo stesso nei confronti della Svezia. Anzi, il rogo del Corano ha proprio avuto l’effetto di riproporre il veto turco all’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica.
Ma perché, ad oggi, Ankara è contraria all’adesione del Paese scandinavo? Ufficialmente, perché la Svezia sostiene la causa curda e offre asilo politico o residenza a presunti terroristi. Ossia, a membri del Pkk o a esponenti di Feto, l’organizzazione religiosa di Gulen considerata responsabile del fallito golpe del 2016. Per dare il via libera all’ingresso di Stoccolma nella Nato, la Turchia chiede al governo svedese di estradare 130 membri del Pkk o di Feto. Ankara sta alzando il prezzo della trattativa: a giugno, Erdogan aveva chiesto l’estradizione solo di una trentina di terroristi, ottenendo peraltro da Stoccolma un impegno in questa direzione.
Nel protocollo siglato a giugno a Madrid, la Svezia non si era impegnata solo a estradare in Turchia presunti terroristi del Pkk o di Feto. Stoccolma aveva anche promesso di vietare raccolte fondi e manifestazioni in favore del Pkk. MaLa Svezia ne ha appena autorizzata una, nonostante sapesse che Paludan avrebbe bruciato il Corano.
Le trattative tra Turchia e Stati Uniti
Sembra che la Turchia stia tenendo in bilico l’ingresso della Svezia anche per ottenere qualcosa in cambio dagli Stati Uniti. Un tribunale di New York ha inflitto una condanna contro la maggiore banca statale turca, la Halkbank, per aver aiutato l’Iran ad aggirare le sanzioni poste da Washington contro Teheran. A seguito di questa condanna, il Congresso statunitense potrebbe far scattare sanzioni contro la Halkbank, e queste avrebbero ripercussioni negative sulla già problematica economia turca. Un ulteriore acuirsi delle difficoltà economiche avrebbe un impatto negativo sull’immagine di Erdogan e potrebbe ostacolare la sua rielezione, sulla quale il popolo si esprimerà il 14 maggio di quest’anno.
Sembra dunque che il governo turco stia conducendo una trattativa sotterranea con gli Stati Uniti: prima di dare il via libera all’ingresso del Paese scandinavo, vuole essere sicuro che Washington non imporrà alcuna sanzione contro la Halkbank. Tenere in bilico l’ingresso di Stoccolma, almeno fino alle elezioni, metterebbe Erdogan al riparo da possibili sanzioni che inciderebbero negativamente sulla sua campagna elettorale.
Il Presidente turco potrebbe richiedere agli Stati Uniti altre contropartite. Di recente, il Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha ricevuto a Washington il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu. Durante quella visita, ha fatto intendere che se Ankara rimuovesse il veto all’ingresso dei due Paesi nordici, per l’amministrazione Biden sarebbe molto più semplice convincere il Congresso a sbloccare la vendita alla Turchia di 40 caccia F-16, oltre a componenti per la modernizzazione di altri 80 caccia dello stesso tipo già in possesso dell’aeronautica turca. Da tempo Ankara li richiede per aggiornare la sua obsoleta flotta aerea. Peraltro, gli F-16 sono una compensazione per l’esclusione della Turchia dal programma degli F-35. Esclusione che derivava dall’acquisto da parte di Ankara del sistema di difesa missilistico S-400 da Mosca.
Dopo le elezioni
È dunque in corso un braccio di ferro con Washington. Come afferma Daniele Santoro, analista di Limes esperto di Turchia, Ankara ha posto il veto «per segnalare agli Stati Uniti di essere in grado di imporre il proprio volere», cercando di ottenere in cambio alcune contropartite.
Per quanto la Turchia non sia ovviamente in grado di ricattare la più grande potenza del globo, Ankara è sempre più importante per Washington. Per la sua posizione di mediatore in Ucraina, per il suo possibile ruolo di avanguardia antirussa nel Caucaso, per la postura antirussa e anticinese adottata dai turchi in Africa… E perché la Turchia è in grado, da sola, di bloccare l’ingresso di due nuovi membri nell’Alleanza Atlantica.
In questo momento, Erdogan è in grado di temporeggiare. Il Presidente turco vuole tenersi questa carta per giocarla in chiave interna, in vista della campagna elettorale. Come sostiene Santoro, «è molto difficile che la questione si sciolga prima delle elezioni presidenziali previste in Turchia per il 14 maggio. Un po’ per ragioni tecniche, cioè perché il Parlamento turco verrà sciolto a breve. Un po’ perché, a fronte di questi atti piuttosto scenografici, Erdogan in campagna elettorale non può certamente mostrare debolezza». Per l’ingresso della Svezia nella Nato dobbiamo dunque aspettare, ma il veto turco non va interpretato come definitivo.