Il terremoto del 6 febbraio ha causato una vera e propria tragedia umanitaria, in Turchia come in Siria, con un bilancio di migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati. Ma il sisma si preannuncia anche come potente fattore di cambiamento geopolitico, soprattutto per la politica interna ed estera della Turchia.
Dal punto di vista interno, la gestione dell’emergenza potrebbe diventare il principale tema su cui si giocherà la rielezione di Erdogan al vertice dello Stato, che verrà decisa con le presidenziali del 14 maggio. Dal punto di vista internazionale, gli aiuti umanitari promessi ad Ankara da numerosi Paesi, persino da quelli variamente ostili alla Turchia, potrebbero alimentare o sfavorire dinamiche regionali già in corso. Il risultato complessivo potrebbe essere un grande cambiamento negli equilibri nella regione mediorientale.
Accelerazione o ostacolo al riavvicinamento con la Siria?
Il terremoto potrebbe avere ripercussioni sulle relazioni turco-siriane, favorendo o ostacolando il riavvicinamento avviato dai due Paesi. Fin dal primo anno del conflitto siriano, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha supportato l’opposizione sunnita contro il governo alauita di Bashar al-Assad. Ma negli ultimi mesi Ankara e Damasco hanno cercato una riconciliazione. Un processo sancito nel dicembre 2022 dall’incontro tra i rispettivi ministri della Difesa, il primo dal 2011. L’obiettivo è ripristinare i rapporti diplomatici al livello più alto, arrivando a una telefonata tra Erdogan e Assad. Forse persino a un incontro dal vivo, presumibilmente a Mosca e con la mediazione di Putin.
L’emergenza terremoto potrebbe accelerare questo processo di riavvicinamento, seppur non nell’immediato. Ankara potrebbe solidarizzare con Damasco, che sta vivendo una situazione ancora più drammatica per la carenza di infrastrutture e i danni della guerra. Anche solo per intestarsi la ricostruzione del territorio siriano e riprendere i rapporti commerciali. Quantomeno, la Turchia vorrebbe assistere la popolazione che vive nelle zone della Siria controllate dalle milizie filoturche, cioè nell’area attorno a Idlib. Ma Ankara non ha risorse a sufficienza per gestire l’emergenza anche in questi territori e quindi potrebbe rivelarsi necessario cooperare con il governo di Assad.
Molto dipende dall’impatto dell’emergenza sulla popolazione turca. Come afferma Daniele Santoro, analista di Limes ed esperto di Turchia, «qualsiasi risorsa destinata tanto ai profughi siriani all’interno dei confini, quanto ai siriani dall’altra parte del confine, potrebbe suscitare il malcontento dell’opinione pubblica turca».
Inoltre, non si possono escludere dissidi sulla gestione dell’emergenza. I due Paesi potrebbero inviare gli aiuti solo nelle zone della Siria da loro controllate, per favorire le proprie milizie contro quelle avversarie. Insomma, perché l’emergenza acceleri il riavvicinamento turco-siriano, i due Paesi dovranno dimostrare di riuscire a cooperare nell’assistenza alla popolazione.
Gli aiuti da Russia e Ucraina come leva geopolitica
Sia la Russia sia l’Ucraina hanno offerto alla Turchia la loro solidarietà, malgrado i due Paesi siano in guerra aperta dal 24 febbraio 2022.
Per quanto riguarda la Russia, il Presidente Vladimir Putin ha presto dichiarato la volontà di fornire tutta l’assistenza necessaria. Gli aiuti promessi da Mosca potrebbero essere interpretati come uno strumento di soft power. Un tentativo di ripulire la propria immagine internazionale, deteriorata a causa della guerra in Ucraina. Ma potrebbe trattarsi anche di un modo per ottenere una leva geopolitica da spendere nei confronti della Turchia. Se Mosca invia aiuti umanitari, Ankara sarà costretta a concedere qualcosa in cambio, presumibilmente nel teatro ucraino.
Pur dovendo fronteggiare l’invasione russa, anche l’Ucraina si è detta pronta a inviare aiuti umanitari in Turchia, per quanto complicate sembrino queste forniture. «Siamo al fianco del popolo turco in questo momento difficile. Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria per superare le conseguenze del disastro», ha affermato su Twitter il Presidente Volodymyr Zelensky.
La solidarietà di Kiev potrebbe essere un modo di mostrare gratitudine per le armi inviate da Ankara, soprattutto per i micidiali droni Bayraktar TB2. Ma probabilmente l’Ucraina sta anche cercando di ingraziarsi la Turchia per mantenere l’accesso alle forniture militari. Come Mosca, anche Kiev usa gli aiuti umanitari come strumento geopolitico, impegnandosi ad assistere la Turchia oggi per ricevere qualcosa in cambio domani.
Solidarietà dalla Grecia nonostante le ostilità
Nonostante la reciproca ostilità, la Grecia è tra i primi Paesi ad aver inviato in Turchia una squadra di soccorso. Il Primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, ha persino avuto un colloquio telefonico con Erdogan, in cui ha ribadito la sua disponibilità a «un aiuto immediato».
Successe qualcosa di simile dopo il terremoto di Izmit del 1999, che colpì entrambi i Paesi. Turchia e Grecia non si parlavano da trent’anni, ma Atene fu tra i primi Stati a fornire aiuto ad Ankara. In quel caso, il dramma comune portò a una ripresa dei rapporti.
Nonostante il disgelo diplomatico dovuto al terremoto, i due Paesi rimangono agli antipodi su svariate partite. Soprattutto sulla questione delle numerose isolette greche situate a poche miglia dalla costa anatolica. Lo scontro è sui diritti per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse energetiche scoperte nelle Zone economiche esclusive di queste stesse isolette.
Gli aiuti umanitari offerti dalla Grecia non sembrano dunque sufficienti a porre fine alla contesa strutturale tra i due Paesi. Anche perché il “nemico greco” serve a Erdogan per unire il popolo turco contro un avversario comune. Un bersaglio ancor più utile in periodo di campagna elettorale. Come afferma Daniele Santoro, l’emergenza «può avere un impatto di carattere tattico su questioni che già vanno in una certa direzione», come la riconciliazione turco-siriana. Ma «non può cambiare delle situazioni che vanno strutturalmente in senso opposto, come ad esempio quella tra Turchia e Grecia».
Aiuti da Svezia e Israele per superare le diffidenze
Interessante è il caso della Svezia. Il premier Ulf Kristersson ha immediatamente presentato un’offerta di aiuti umanitari, «come partner della Turchia e responsabile della presidenza dell’Ue». In questo modo, Stoccolma auspica di superare gli attriti diplomatici e di far rimuovere alla Turchia il veto sul suo ingresso nella Nato. Ma la partita è complessa. Ankara ha svariate ragioni per tenere in bilico l’adesione del Paese scandinavo e il processo potrebbe rimanere fermo fino alle elezioni turche del 14 maggio.
Mobilitazione immediata anche da parte di Israele, un Paese che ha un’esperienza decennale nella fornitura di aiuti in seguito a disastri naturali. Le relazioni turco-israeliane si deteriorarono con la guerra di Gaza del 2008-09, il supporto turco ad Hamas e l’incidente della Mavi Marmara del 2010. Ma nell’ultimo anno i rapporti diplomatici tra i due Paesi sono migliorati, anche attraverso visite di alto livello.
Con la fornitura di aiuti umanitari, Israele potrebbe accelerare il processo di riavvicinamento. La popolazione turca potrebbe sviluppare un senso di gratitudine che favorirebbe, almeno in parte, il superamento delle vecchie diffidenze. Anche in questo caso gli aiuti sembrano un mero strumento geopolitico.
Le conseguenze del sisma sulla politica interna
Sul piano interno, il terremoto è arrivato nel pieno della campagna elettorale per le parlamentari e le presidenziali del 14 maggio, che potrebbero riconfermare Erdogan al vertice della Turchia oppure porre fine al suo regno ventennale. Come afferma Daniele Santoro, il terremoto «può avere un impatto decisivo sull’esito delle elezioni. Dalla gestione buona o cattiva, efficace o meno efficace, di questa emergenza, dipenderà in larga parte la possibilità di Erdogan di confermarsi al vertice dello Stato turco».
Lucio Caracciolo, direttore di Limes, sostiene che Erdogan stia cercando di «“nazionalizzare”, per quanto possibile, la risposta alla tragedia». Il Presidente turco «vuole dimostrare al suo popolo, e al mondo, che i turchi ce la faranno da soli, malgrado l’immensità dei danni materiali e la gravità delle perdite umane. Se nel giro di qualche settimana la sua gente si convincesse che la risposta al sisma è stata efficiente, la rielezione del Presidente potrebbe assumere contorni plebiscitari».
Anche l’opposizione interna sta “politicizzando” il terremoto, interpretandolo come un’occasione per dimostrarsi alternativa rispetto a Erdogan. I partiti avversari dell’Akp stanno già criticando il modo in cui il governo sta gestendo l’emergenza. Questo potrebbe diventare il leitmotiv della loro campagna elettorale. Inoltre, le visite di Erdogan nei territori colpiti dal sisma, che sono a maggioranza curda, potrebbero generare proteste nei suoi confronti. Insomma, la risposta all’emergenza potrebbe consacrare la leadership di Erdogan, ma anche decretarne il definitivo tramonto.