Israele-Hamas: il bilancio del primo giorno di tregua

A 470 giorni dall’inizio del conflitto, domenica 19 gennaio è iniziata ufficialmente la tregua tra Hamas e Israele. L’organizzazione terroristica islamica ha liberato i primi tre ostaggi, tre giovani ragazze: Romi Gonen (23), Doron Steinbrecher (31) e Emily Damari (28). In cambio, Tel Aviv ha rilasciato novanta prigionieri palestinesi, di cui 69 donne e 21 minori, riporta il New York Times, e sono entrati nell’enclave 364 convogli di aiuti umanitari.

Nel frattempo, a Gerusalemme, trema la maggioranza Netanyahu. Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale del partito ultra-nazionalista e di estrema destra Otzma Yehudit (Potere Ebraico), ha abbandonato la coalizione. Mentre l’altra ala estremista, quella del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, rimane in maggioranza ma a costo di un proseguimento del conflitto.

Le tre ragazze rilasciate da Hamas: Doron Steinbrecher (31), Emily Damari (28) e Romi Gonen (23).

Il primo giorno di tregua

La tregua è iniziata con tre ore di ritardo. Hamas non aveva consegnato i nomi delle prime tre donne da liberare. Di risposta, il primo ministro israeliano Netanyahu, in caso di mancata consegna, aveva dato l’ordine di tornare a combattere.

Alle 11 circa, è arrivata la lista con i tre nomi delle ragazze, senza però rassicurazioni di alcun tipo sulle loro condizioni. Soltanto quando sono scese dal veicolo di Hamas in Piazza Saraya a Gaza per essere consegnate alla Croce Rossa è arrivata la conferma definitiva.

Il rilascio è stato turbolento ed è parso scenicamente organizzato da Hamas. La piazza era piena di civili palestinesi che si sono ammassati contro i convogli che trasportavano i tre ostaggi israeliani. A scortare il van bianco, i miliziani del gruppo nella loro divisa: tuta nera, giubbotti antiproiettile, passamontagna (anche questo rigorosamente nero), fascia verde in testa con il simbolo delle brigate al Qassam e fucile imbracciato. Una teatralità inedita dopo mesi di conflitto in cui era stata camuffata mescolandosi tra i civili.

 

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Le tre donne hanno ripercorso al contrario il tragitto fatto il giorno del rapimento, la Croce Rossa le ha consegnate in un centro di raccolta allestito dall’esercito dove ad aspettarle c’era l’abbraccio delle madri. Dopo le prime visite e cure, Emily Tamari ha perso due dita il 7 ottobre, le autorità hanno trasportato le ragazze all’ospedale Sheba a Tel Aviv.

Dal lato palestinese, Tel Aviv ha liberato  novanta detenuti, di cui per ora non ha diffuso  identità e crimini. Secondo il New York Times sarebbero 69 donne e 21 minori. Secondo Reuters, la maggior parte era in carcere solo da poco e non era ancora stata condannata. Un bus blindato israeliano li ha trasportati e poi rilasciati in varie città della Cisgiordania, dove li hanno accolti  folle festanti.

Il governo Netanyahu trema

Nelle prossime fasi, Tel Aviv dovrebbe liberare circa 1900 prigionieri, mentre per Hamas si parla di 33 ostaggi israeliani. Il prossimo appuntamento è previsto per il 25 gennaio.

Il cessate il fuoco, però,  ha già aperto fratture profonde nella coalizione di governo a guida Netanyahu. Il rischio per Bibi, come soprannominato da amici e rivali, è che il Parlamento potrebbe far cadere il governo e portare a nuove elezioni.

Da sinistra verso destra: Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale, Benjamin Netanyahu, Primo Ministro, e Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze.

Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza nazionale e segretario del partito suprematista ed estremista Potere Ebraico, ha abbandonato la coalizione insieme ad altri due titolari di dicasteri del partito. L’altro estremista messianico, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich non ha ancora abbandonato la poltrona, dichiarando che rimarrà «per senso di responsabilità» ma che, comunque, è pronto a uscire in caso Netanyahu non riprenda il conflitto.

Ora, l’incognita riguarda proprio il futuro di Gaza. Il primo ministro non ha mai presentato un piano per il dopo guerra e l’Aman, l’intelligence militare, teme che Hamas possa riorganizzarsi e risorgere senza un intervento dell’Autorità nazionale palestinese o di una forza internazionale. Punto, comunque, sostenuto da Donald Trump che ha garantito che «i fondamentalisti non governeranno più la Striscia». Resta alta l’aspettativa del coinvolgimento dell’Arabia Saudita che potrebbe essere preludio alla normalizzazione con Israele e, chissà, magari anche dell’inizio di un processo di convivenza.

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica estera, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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