Human Rights Watch: «2023 terrificante per i diritti umani»

Protesta.

Per fissare i buoni propositi per l’anno nuovo occorre prima trarre le somme dei dodici mesi appena passati. E, dal punto di vista dei diritti umani, il 2023 è stato «terrificante». Così lo definisce Human Rights Watch nell’annuale rapporto presentato l’11 gennaio all’Onu. Dalle guerre, ai diritti negati, fino alla diplomazia transazionale. Questi i principali punti trattati nel documento di oltre 700 pagine che vorrebbe stimolare il cambiamento.

Il doppio standard nei conflitti in corso

Il 2023 ha visto l’apertura di nuovi fronti: il conflitto Israelo-Palestinese e la guerra tra i due Sudan e la recente escalation in Yemen. Ma si è anche continuato a combattere su quelli già aperti, come Ucraina, Myanmar, Etiopia e Sahel. Le reazione dei governi non sono però sempre uniformi. Human Rights Watch, infatti, sottolinea il doppio standard spesso utilizzato nel giudicare le violazioni dei diritti umani.

Soldati del Sud Sudan ad Abyei.
Soldati del Sud Sudan ad Abyei.

Il primo esempio presentato nel rapporto è anche quello più recente. L’associazione condanna fermamente le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre, ma ritiene anche Israele colpevole di crimini di guerra «evidenti» come «l’uso di fosforo bianco». Non tutti concordano: chi ha condannato i crimini di guerra e le atrocità di Hamas ha esitato davanti a quelli commessi da Israele. Per Human Rights Watch è ambiguo anche chi si schiera apertamente contro lo stato ebraico, ma rimane in silenzio su altri crimini. Ad esempio quelli commessi dalla Cina nello Xinjiang e in Tibet contro milioni di uiguri e turchi musulmani. E ancora, chi critica la Russia per i crimini in Ucraina, spesso minimizza le responsabilità degli Stati Uniti per gli abusi in Afghanistan. Intanto il Sudan sanguina nell’ombra, solamente sfiorato dall’attenzione internazionale.

Pioggia di fosforo bianco su Gaza.
Pioggia di fosforo bianco.

Secondo Human Rights Watch, sembra che solo la dignità di alcuni meriti di essere tutelata: «Alcune vite valgono più di altre». Così si mina la concezione dei diritti umani come universali e la fiducia nelle istituzioni che dovrebbero proteggerli e tutelarli. Sotto accusa anche «l’ipocrisia degli occidentali che chiudono un occhio, a livello nazionale o internazionale, solo per promuovere i propri interessi».

La diplomazia “bendata”

Secondo Human Rights Watch, anche quei Paesi che normalmente rispettano e tutelano i diritti umani, a volte, trattano questi principi fondamentali come opzionali. L’organizzazione definisce questa tendenza “diplomazia transazionale”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ad esempio, chiuderebbe sui suoi alleati, come Arabia Saudita, India ed Egitto.

Anche gli europei non sono estranei alla diplomazia transazionale. La priorità della UE sarebbe quella di «contenere a tutti i costi le partenze dei migranti verso l’Europa, reiterando un approccio fallimentare che non rispetta i diritti umani». Bacchettata direttamente anche l’Italia, insieme a Francia, Grecia e Ungheria. L’accusa è di aver punito chi offre aiuto e assistenza ai migranti irregolari in difficoltà. Accusati anche Giappone, Corea del Sud e Australia che avrebbero messo in secondo piano i diritti umani alleandosi con Thailandia e Filippine in ottica anti-cinese.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden con il primo ministro dell'India Narendra Modi.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden con il primo ministro dell’India Narendra Modi.

Uno degli effetti della diplomazia transazionale è la “repressione transazionale”.  Il governo indiano di Narendra Modi ne è un esempio. Il primo ministro avrebbe imboccato la strada per l’autocrazia, prendendo di mira le minoranze e smantellando le istituzioni. Regno Unito, Australia, Stati Uniti e Francia avrebbero ignorato la questione per via di interessi commerciali e di sicurezza. Ciò avrebbe spinto Modi a commettere le stesse violazioni anche fuori dai propri confini. Lo testimonierebbero i recenti omicidi dei separatisti Sikh in Nord America. E come l’India si starebbero muovendo Rwanda e Cina.

Meno diritti, più potere

Il 2024 sarà un anno decisivo per intervenire sulla crisi dei diritti umani. Quasi metà della popolazione mondiale sarà chiamata alle urne e i rapporti internazionali potrebbero essere ridisegnati. Tuttavia, anche negli Stati democratici spesso si sviluppa un terreno favorevole a leader autocratici.

È il caso – secondo Human Rights Watch – della Tunisia. Il presidente Kais Saied avrebbe indebolito il sistema giudiziario, ostacolato l’opposizione politica e limitato la libertà di stampa. Lo stesso varrebbe per El Salvador, dove il leader Nayib Bukele avrebbe autorizzato la detenzione di massa delle persone più povere per contrastare la criminalità. In Sud America l’associazione contesta anche i governi di Perù e Nicaragua, nonché la procura del Guatemala che, in accordo con alcuni politici corrotti, minaccia la vittoria elettorale del presidente Bernardo Arevalo.

In Asia invece finisce nel mirino la Corte Costituzionale della Thailandia. L’accusa è di aver ostacolato un candidato alla presidenza con «accuse fasulle». Il Primo Ministro del Bangladesh, invece, avrebbe arrestato più di 10mila oppositori e leader politici rivali in vista delle elezioni di questo gennaio. E ancora, gli Emirati Arabi Uniti avrebbero ospitato la COP28 in un tentativo di greenwashing.

La sede della Cop28 tenutasi a partire dal 30 Novembre 2023 a Dubai.
La sede della Cop28 tenutasi a partire dal 30 Novembre 2023 a Dubai.

Sotto accusa anche l’ultimo governo polacco del partito Diritto e Giustizia, colpevole di aver messo in crisi la democrazia, compromettendo l’indipendenza della magistratura. La linea del partito sull’aborto – e la sua abolizione a partire dal 2020 – avrebbe rappresentato una violazione dei diritti delle donne. Le quali, a volte, pagherebbero con la vita: almeno sei sarebbero morte per l’obbligo di portare avanti gravidanze complicate. Controversa, ancora una volta, la politica conservatrice di diversi Stati degli USA nei confronti di sessualità e identità di genere. L’accusa di Human Rights Watch in questo caso riguarda la censura ideologica su questi temi, per prevenire rivolte e manifestazioni. Inoltre, l’organizzazione stima che negli Stati Uniti sarebbero stati violati i diritti civili di 4,6 milioni di persone condannate per un crimine. Soprattutto afroamericane.

La controtendenza

Non solo critiche. Il rapporto evidenzia anche cosa è stato fatto di positivo per la tutela dei diritti, in modo che possa essere un punto di partenza per un anno migliore. La Corte Internazionale di Giustizia a novembre ha intimato al governo siriano di contrastare con tutti i mezzi possibili torture ed abusi. L’obiettivo è riportare la Siria nei binari del diritto internazionale, facilitando così la normalizzazione dei rapporti diplomatici. In Brasile, la Corte Suprema si è mossa a tutela del diritto delle popolazioni indigene alle loro terre originarie, con effetti anche contro la deforestazione in Amazzonia. Sempre la Corte Suprema, nel Regno Unito si è espressa a tutela dei dritti dei migranti, dichiarando illegittimi i trasferimenti in Rwanda.

Queste iniziative rimarcano l’importanza dell’indipendenza dei poteri e della presenza di istituzioni in grado di tutelare i diritti umani. Il 10 dicembre del 1948 veniva pubblicata per la prima volta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Human Rights Watch sostiene che la comprensione e la risoluzione delle minacce attuali debba per forza passare da quei principi e valori universali di cui la Dichiarazione fu la prima promotrice.

 

A cura di Rebecca Saibene

 

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