Gaza, aiuti umanitari a rischio dopo la morte di 7 operatori in un attacco israeliano

Nella notte di lunedì 1 aprile, un raid israeliano nella striscia di Gaza ha colpito un convoglio umanitario composto da tre veicoli, tra cui due blindati. Le sette vittime dell’attacco portano a oltre 200 il numero degli operatori umanitari che sarebbero stati uccisi a Gaza dallo scorso ottobre secondo stime dell’Onu. L’alto funzionario delle Nazioni Unite per il coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, Jamie McGoldrick, ha sottolineato che l’enclave palestinese «è diventata uno dei luoghi più pericolosi e difficili al mondo in cui lavorare».

La dinamica dell’attacco

«Tragico errore». Così il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’attacco di lunedì ai danni del convoglio umanitario dell’ONG World Central Kitchen. Secondo la ricostruzione del quotidiano Haaretz, le forze israeliane avrebbero avuto il sospetto che un terrorista di Hamas stesse viaggiando con il convoglio. A condurre il raid, un drone Hermes 450 che lancia tre missili contro il convoglio delle tre automobili.

Gli attacchi sono avvenuti in rapida sequenza. Quando la prima auto viene colpita, i passeggeri scendono e si rifugiano sulla seconda. Mentre informano i responsabili dell’Ong di essere sotto attacco, anche gli occupanti del secondo veicolo vengono colpiti. Si avvicina il terzo convoglio e comincia il trasferimento dei feriti su quest’ultimo. È a questo punto che va a segno anche il terzo missile, uccidendo i sette operatori di World Central Kitchen.

Un altro dei veicoli colpiti nell’attacco mostra il tettuccio sfondato dal missile (Photo by -/AFP via Getty Images)
Aiuti umanitari in pericolo

Tre delle sette vittime del raid erano di nazionalità britannica. Gli altri erano un’australiana, un polacco e un canadese-statunitense. La settima era invece un palestinese che accompagnava il convoglio come traduttore. World Central Kitchen ha assicurato che i movimenti erano stati concordati con l’Idf, ma ciò non ha impedito che il convoglio fosse colpito, peraltro a poca distanza dal deposito di Deir al-Balah, dove il gruppo aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti umanitari. In seguito al raid, le Ong hanno Anera e Project Hope hanno annunciato lo stop delle loro attività nella regione.

Immediata la reazione della comunità internazionale, già da tempo impegnata nella negoziazione di un cessate il fuoco. Il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, in visita a Parigi, ha commentato che Israele dovrebbe «fare di più per proteggere le vite dei civili innocenti». Intanto a Londra, il ministero degli Esteri del Regno Unito ha convocato l’ambasciatore israeliano. Non è infatti la prima volta che le forze di difesa israeliane si macchiano di questo tipo di atti. Errori che mettono a rischio la possibilità stessa di supportare la regione con aiuti umanitari.

 

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La risposta di World Central Kitchen

Le proteste infuriano anche all’interno del Paese. Nella serata di ieri, un manipolo di manifestanti si è raggruppato nei pressi dell’abitazione del premier Netanyahu, dopo averne già invocato le dimissioni poche ore prima di fronte alla Knesset. Un intervento della polizia ha sgomberato i manifestanti, alcuni dei quali sono stati anche arrestati.

L’operatrice umanitaria Lalzawmi (Zomi) Frankcom, a sinistra, una delle vittime dell’attacco.

Dal fronte istituzionale, sono arrivate le scuse del presidente israeliano Isaac Herzog, che ha aggiunto di aver parlato con José Andres, fondatore di World Central Kitchen. E proprio dall’amministratrice delegata della stessa Ong, Erin Gore, le parole più amare. «Non è solo un attacco contro Wck, è un attacco alle organizzazioni umanitarie che si presentano nelle situazioni più terribili, dove il cibo viene usato come arma di guerra. È imperdonabile».

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