Il 24 febbraio 2022 iniziava la cosiddetta ‘operazione speciale’ russa in terra ucraina. A quasi due anni di distanza, un dato in particolare salta all’occhio: 281 miliardi di dollari. Vale a dire il profitto che le cinque maggiori compagnie di petrolio – le cosiddette super-majors – hanno registrato in questi 725 giorni di guerra.
Tra guadagno e agende sempre meno green
BP (British Petroleum), Shell, Chevron, ExxonMobil e TotalEnergies. I cinque big globali protagonisti dello studio di Global Witness. E gli introiti raccolti in questi ventiquattro mesi di conflitto in Ucraina sono il frutto dell’aumento dei prezzi per l’energia e per il petrolio. Per le leggi del mercato – giuste o sbagliate che siano – c’è chi è costretto a pagare di più e chi, grazie a questo, ci guadagna.
Le due multinazionali inglesi, BP e Shell, hanno raccolto introiti per circa 94,2 miliardi di dollari. Cifra che secondo Global Witness sarebbe sufficiente a pagare tutte le bollette energetiche delle famiglie britanniche per 17 mesi. E al contempo entrambe non hanno nascosto gli evidenti passi indietro per quanto riguarda le soluzioni low-carbon. Wael Sawan, Ceo di Shell, ha già annunciato l’eliminazione di circa 300 posti di lavoro nelle unità green della compagnia. Con l’obiettivo dichiarato di concentrarsi su progetti ad alto profitto per «ricompensare i nostri shareholders oggi e nel futuro». British Petroleum, dalla sua, aveva ridimensionato un anno fa i suoi obiettivi nel campo delle emissioni.
Per le statunitensi Chevron ed ExxonMobil e per la francese TotalEnergies il profitto totale ammonta a 187 miliardi di dollari.
La dualità della guerra
«È ormai chiaro che, a prescindere da ciò che succede sul fronte, le super-majors sono i veri vincitori della guerra in Ucraina». L’investigatore senior di Global Witness Patrick Galey sottolinea la dualità dei conflitti. «L’invasione dell’Ucraina è stata devastante per milioni di persone, dai comuni ucraini che vivono sotto l’ombra della guerra alle famiglie di tutta Europa che lottano per riscaldare le proprie case». Insomma c’è chi ci perde – spesso troppo – e chi ci guadagna.
Secondo l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), i cinque giganti petroliferi premieranno i loro investitori con cifre record. Nel 2022 avevano arricchito gli azionisti con pagamenti di dividendi e riacquisto di azioni per un valore di 104 miliardi di dollari. Ed è lecito aspettarsi una situazione simile, se non migliore, anche per il 2023: si stimano almeno 111 miliardi di dollari. Con una preoccupazione di sottofondo: che i big del petrolio stiano sfruttando la crisi per aumentare i margini di profitto.
Motivo per cui all’inizio di febbraio Isabella Weber, economista della University of Massachusetts Amherst, ha esortato il Parlamento europeo a imporre controlli stringenti sui prezzi. «Quando le emergenze significano profitti record in settori essenziali, gli interessi pubblici e aziendali non sono allineati. Abbiamo bisogno di un nuovo manuale di economia di emergenza».