Il due maggio, una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito che l’Italia può confiscare L’Atleta Vittorioso di Lisippo, il bronzo greco pescato negli anni ’60 nel Mar Adriatico e ora esposto al Getty Museum di Los Angeles.
La storia del bronzo di Lisippo
Lo stupore deve essere stato immenso. Cercare di tirare su le reti da pesca e trovarle particolarmente pesanti, per poi accorgersi che impigliato c’era un bronzo di 2400 anni. Centocinquanta centimetri di altezza, settanta di larghezza. Una statua di un atleta con il torso e le braccia in movimento, come se avesse appena finito di incoronarsi con la corona del vincitore. I piedi e gli occhi mancanti, mangiati dalla disattenzione dei pescatori, dal mare o dalla storia.
Proprio l’impostazione antitetica delle due metà del corpo ha portato gli storici dell’arte ad attribuire l’opera a Lisippo, ultimo grande scultore dell’età classica e prediletto di Alessandro Magno, vissuto nel IV secolo a.C.
L’Atleta Vittorioso di Lisippo è al centro di un giallo della storia dell’arte da ormai 60 anni. La statua fu trovata dal peschereccio Ferruccio Ferri nelle acque a largo di Fano, nelle Marche, nel 1964, luogo dal quale ha preso il suo secondo nome: L’Atleta di Fano.
Dopo aver recuperato il bronzo, i pescatori non hanno dichiarato alle autorità la scoperta. L’Atleta Vittorioso è stato prima nascosto nel sottoscala del proprietario del peschereccio, poi in un campo di cavoli in aperta campagna.
La scultura passò poi nelle mani della famiglia Barbetti di Gubbio, proprietaria dell’omonimo cementificio. Grazie alla complicità di un sacerdote, fu nascosta per anni all’interno di una canonica, al riparo da occhi indiscreti. All’inizio degli Anni ’70 sparì misteriosamente per poi ricomparire in un’asta di opere d’arte in Germania e infine in un’asta a Londra nel 1977, dove venne acquistata per 3 milioni e 900 mila dollari dal Getty Museum di Los Angeles.
La sentenza
Dopo anni di diatribe legali, nazionali e internazionali, giovedì due maggio 2024 la Corte di Strasburgo ha messo fine all’intricata vicenda. Il tribunale ha concluso che il provvedimento di confisca già emesso dalla Corte di cassazione italiana nel 2019 sia lecito in quanto non viola «il diritto alla tutela della proprietà ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», come invece sostenuto dai legali che rappresentano il Getty Museum.
Come statuito dalla Corte, «il Getty Trust, acquistando la statua in assenza di qualsiasi prova della sua legittima provenienza e con piena cognizione di quanto pretese su di essa le autorità italiane, aveva disatteso quanto prescritto dalla legge, quanto meno con negligenza, o forse in malafede».
Il provvedimento di confisca emesso dalla Cassazione è dunque legittimo, aggiunge la corte, anche alla luce della convenzione del 1970 dell’Unesco e di un regolamento UE (2009)e una direttiva (2014) riguardanti esportazione illecita e furto di beni culturali.
La notizia è stata commentata positivamente dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano: «abbiamo lavorato duramente per riaverla. Roma non presta più opere ai musei con i quali ha due contenziosi. Proseguiremo con rinnovata determinazione per riaverla presto in Italia».
Ora, Getty ha tre mesi per poter presentare il ricorso, ma i tribunale potrebbe non accogliere la richiesta. Nonostante ciò, il museo continua a difendere la sua posizione, sostenendo che in quanto di origine greca e ritrovata in acque internazionali L’atleta vittorioso sia legittimamente detenuto a Los Angeles.
Le altre opere antiche ancora all’estero
L’Atleta vittorioso di Lisippo non è la sola opera d’arte trattenuta all’estero. Andando in ordine cronologico, la statuaria antica presenta almeno due esempi. Il Doriforo di Stabiae è una scultura rinvenuta a Castellammare di Stabia e attribuita al greco Policleto. Conservato da anni al Minnesota Museum of Art di Minneapolis, nel 2023 il deputato Gaetano Amato ha presentato un’interrogazione parlamentare per la restituzione, ma il museo si è rifiutato di concederla. Anche Il Carro di Monteleone, reperto etrusco risalente al IV sec. a. C., è da anni al centro di una trattativa per il rientro in Italia. Rinvenuto in uno scavo a Spoleto, in Umbria, è attualmente conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.
Ci sono anche casi fortunati, dove la restituzione è andata a buon fine. Si tratta del Discobolo Lancellotti, la copia più famosa del Discobolo di Mirone, e del gruppo scultoreo Orfeo e le Sirene. Le due opere sono rientrate in Italia, rispettivamente, dalla Germania nel 1948 e da un museo di Malibù, in California, nel 2022.
Altri casi celebri: da Leonardo…
L’arte rinascimentale e moderna ha a sua volta opere in corso di rivendicazione. Il caso più famoso è certamente la Gioconda di Leonardo da Vinci, portata in Francia dallo stesso autore nel 1516. Lì è rimasta – tra alterne vicende – ed è oggi conservata al Museo del Louvre da oltre due secoli. Più oscura è la vicenda di un’altra opera di Leonardo, la celebre Dama con l’ermellino. Acquisita da un principe polacco intorno al 1800, l’opera riemerse durante la Seconda Guerra mondiale, ma non lasciò mai la Polonia, dove fa ancora parte della collezione del Museo Czartoryski, a Cracovia.
…ai maestri del Seicento
Ma senza addentrarsi in questioni così dibattute, sono tanti i casi meno noti che possono essere ricordati. Nel 1797, durante le spoliazioni della Repubblica di Venezia, l’armata napoleonica trafugò l’enorme tela delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, dipinta nel 1653. Nel 1815, in occasione del Congresso di Vienna, il diplomatico francese Dominique Vivant-Denon, pur di non restituirla, offrì in cambio Il convito dal fariseo con la Maddalena ai piedi di Gesù di Charles Le Brun. Lo scambio, ritenuto a tutt’oggi legittimo dalla Francia, ha impedito ogni ulteriore tentativo di restituzione, anche in anni recenti.
Altri due capolavori del Seicento aspettano ancora di tornare in Italia. Il primo è un quadro di Caravaggio: la Cena in Emmaus. Nel 1801 il marchese Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, vendette il dipinto ad un antiquario di Parigi; in seguito, la tela entrò a far parte della raccolta di lord Georges Venon che lo donò alla National Gallery di Londra nel 1839, dove si trova ancora oggi. Il secondo è il ritratto di Cristina di Danimarca, olio su tavola attribuito a Tiziano. Durante la Seconda Guerra mondiale, un mercante d’arte tedesco fece portare il quadro in Germania, dove fu poi trafugato dal collezionista d’arte croato Ante Topic Mimara. Il trasferimento nella ex-Jugoslavia ha fatto sì che ad oggi la tavola appartenga ancora alla collezione del Museo di Belgrado.