Sono pochi i luoghi del mondo dove si possono ammirare dei veri e propri tesori. Il Museo Egizio di Torino è uno di questi. Da oltre un secolo nelle sue sale è esposto un ricchissimo corredo di oltre 460 oggetti. Si tratta del corredo funebre di due sposi, Kha e Merit. La loro storia si intreccia con il dibattito etico al centro dei lavori, nel 2019, per la realizzazione del nuovo spazio espositivo-conservativo dedicato alle mummie, oltre che con il processo di restauro dei corpi che, come nel caso del visir Imhotep (MasterX lo ha raccontato in esclusiva), ha portato a nuove importanti scoperte.
Vita di una coppia
Quasi sicuramente di umili origini, Kha lavorò tutta la vita in quella che oggi conosciamo come Valle dei Re. L’inospitale canyon, poco distante dall’antica capitale egizia Tebe (oggi Luxor) era il luogo scelto dai faraoni del Nuovo Regno per ospitare le loro tombe.
Tebe, oggi Luxor, fu capitale dell’Egitto dei faraoni. Allora si chiamava Uaset
Kha servì tre differenti sovrani: Amenhotep II, Thutmosi IV e Amenhotep III. Grazie alla sua abilità riuscì a scalare la gerarchia professionale e sociale, assumendo la direzione dei cantieri dei mausolei reali. Oggi lo definiremmo un architetto.
Visse nel villaggio operaio della necropoli, oggi noto come Deir-el-Medina. Fu qui che trascorse anni felici insieme a Merit, sua moglie. Ebbero due figli maschi, Amenemopet e Nakhteftaneb, e una femmina, chiamata Merit come la madre.
Kha visse circa 50 anni, sopravvivendo alla moglie, morta all’improvviso attorno al trentesimo anno d’età. Il marito le donò un ricco sarcofago, in origine pensato per sé, dimostrando in questo modo il grande amore e il rispetto che provava per lei. Entrambi vennero sepolti in una tomba modesta ed elegante, poco lontana dal villaggio dove avevano abitato. La porta venne sigillata dai sacerdoti. Era circa il 1400 a.C.
La tomba ritrovata
Nel 1906 l’egittologo Ernesto Schiaparelli, direttore del Museo Egizio di Torino, rinvenne l’accesso murato della tomba di Kha e Merit. Una volta aperto, il sepolcro si rivelò intatto. I ladri non l’avevano depredato, complice il fatto che la cappella votiva, a differenza del normale, era stata costruita a breve distanza e non davanti all’ingresso della tomba.
Gli oggetti che l’archeologo rinvenne e trasferì in Piemonte furono oltre 460. C’erano alimenti mummificati, abiti di lino che apparivano quasi nuovi, letti di legno, scatole di cosmetici, statuette votive e gioielli. Degni di nota erano una parrucca appartenuta a Merit, realizzata con capelli veri e ancora conservata alla perfezione, e un cubito (unità di misura dell’epoca, corrispondente a 52,2cm) d’oro, donato a Kha dal faraone Amenhotep II.
I sarcofagi, con le mummie dei coniugi all’interno, erano di fattura molto raffinata, con intarsi dorati e decorazioni a bassorilievo. Sopra quello dell’architetto era adagiato anche un papiro ripiegato lungo 14 metri. Era una copia del Libro dei Morti, uno dei testi più sacri della religione egizia, appartenuto a Kha.
Ai morti si porta sempre rispetto
Schiaparelli era ben consapevole che, trovandosi davanti a una tomba sigillata, mai violata dai ladri e appartenuta a persone ricche e altolocate, le mummie di Kha e Merit dovessero nascondere oggetti di valore inestimabile. Per poterli guardare sarebbe stato sufficiente sbendare i corpi.
Ma il direttore decise di non farlo. «Anche se oggi può sembrare ovvio, all’epoca non lo era – dice la curatrice ed egittologa Federica Facchetti – poiché si sapeva che si potevano trovare amuleti e gioielli preziosi». La scelta di Schiaparelli fu dettata dal rispetto verso quei corpi che, pur vecchi di 3300 anni, rimanevano anzitutto persone.
Lo stesso principio venne poi applicato a tutte le altre mummie arrivate a Torino, e fu lungimirante: «Sapeva che in futuro ci sarebbero potute essere tecniche che avrebbero permesso di guardare attraverso le bende», aggiunge Facchetti. E così sarà: nel 2002 Kha e Merit saranno sottoposti a una TAC, svelando i preziosissimi gioielli nascosti nel bendaggio e la presenza, all’interno dei corpi, degli organi che Schiaparelli aveva a lungo cercato, immaginandoli conservati in vasi canopi esterni.
Le tecnologie moderne ci aiutano a ricostruire le vite di persone morte da migliaia di anni. Unite al lavoro di ricerca degli esperti riservano spesso grandi sorprese. Ne sanno qualcosa le mummie conservate nella sala Alla ricerca della vita del Museo Egizio, anche loro ancora avvolte nelle bende come Kha e Merit.
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