“Caldo record”, “Temperature infernali” e ancora “Sarà la stagione più calda degli ultimi anni”. Sono le parole che ciclicamente sentiamo rimbalzare sui giornali, in tv e sui social. Ormai ci siamo quasi abituati.
Quest’anno il ciclone africano che si è abbattuto sulla nostra penisola e sull’Europa fa registrare temperature molto alte per le medie stagionale con punte, per questo fine settimana, di oltre 40 gradi in alcune città italiane.
Il 2019 sarà, secondo gli esperti, il quinto anno più caldo mai registrato sul Pianeta da quando c’è disponibilità di dati, a partire cioè dal 1880. Già nel 2018, infatti, le temperature globali avevano superato di 0.83 gradi la media registrata tra il 1951 e il 1980, e così era passato alla storia come anno “bollente” appena dietro il 2016, 2017 e 2015. Considerati nel loro insieme, gli ultimi 5 anni più caldi in assoluto dell’era moderna. A certificarlo sono i dati della Nasa e di Noaa, l’ente americano per le ricerche sull’atmosfera e gli oceani.
Picchi di 39-40 gradi sono attesi in Lombardia specie tra le città di Milano, Pavia, Cremona, Lodi, Bergamo, Como, Varese e Mantova. «Per la prima volta nella storia meteorologica italiana – spiega il meteorologo Andrea Vuolo – potranno raggiungersi in giugno valori di 40 gradi, e anche superarli, in particolare tra Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna».
Ma da dove nasce questo bisogno di classificare le ondate, in questo caso, di caldo? Prima del 1880 era impensabile questa cosa perché non c’era possibilità di catalogare il flusso dei dati registrati di anno in anno, eppure oggi si sente l’esigenza di farlo.
Lo psicologo Donato Saulle ci spiega che il desiderio di classificazione nasce da un bisogno legato alla sicurezza e al poter inquadrare una determinata cosa, rilegandola a un settore specifico: si ha la necessità di creare uno vero e proprio schema mentale dove tutto è siglato con un’etichetta.
E a proposito di etichette, si contano i primi danni provocati da questa straordinaria ondata di caldo dove, nelle campagne, bruciano frutta e verdura. È quanto emerge dal monitoraggio della Coldiretti che sottolinea come le alte temperature di questo pazzo giugno abbiano provocato perdite dal 10% al 30% del raccolto in alcune aziende, specialmente della pianura padana, dove si registrano i picchi di calore più elevati.
Dalle angurie che mostrano segni di scottature sulla buccia, ai peperoni ustionati con evidenti macchie marroni.
Con temperature così elevate – spiega Coldiretti – sono a rischio stress idrico e colpi di calore frutta e verdura a causa dei forti raggi solari che danneggiano e bruciano gli ortaggi.
Tuttavia, al momento non c’è allarme siccità poiché le riserve di acqua sono garantite grazie alle abbondanti precipitazioni del mese di maggio, difficoltà che invece si registrano in Basilicata e in Sardegna.