L’Iran attacca Israele, cosa è successo

Il cielo sopra Gerusalemme illuminato da una pioggia di missili. La Cupola della Roccia si staglia su uno sfondo da Guerra Santa, con le scie luminose dei missili lanciati dall’Iran e della contraerea israeliana che riprendono il colore dorato dell’edificio. In sottofondo, a sostituire il canto dei muezzin, ci sono le sirene.

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile, Teheran ha lanciato un attacco massiccio utilizzando droni e missili contro Israele. La Guida Suprema Ali Khamenei aveva giurato vendetta per l’uccisione del generale dei Pasdaran Mohammed Reza Zahedi, ucciso nel raid che ha distrutto il Consolato iraniano a Damasco il 1° aprile.  Ed è prontamente arrivata. Non solo tramite i suoi alleati regionali sparsi nella mezza luna sciita dal Libano allo Yemen, ma direttamente dal suo territorio. Un attacco che certamente segna una svolta negli equilibri mediorientali, perché è il primo frontale di Teheran e perché è il più grande utilizzo di droni nella storia. Ma che, per ora, è risultato più scenografico che fattuale.

Una svolta storica

La lunga notte israeliana segna un momento di svolta in Medioriente. È la fine della guerra ombra dell’Iran. Teheran, infatti, ormai da anni tesse nell’ombra le fila di uno scontro con Israele. Il regime degli Ayatollah, oltre a essere il principale finanziatore del Diluvio Al-Aqsa lanciato da Hamas il 7 ottobre, addestra e finanzia i gruppi armati in Libano (Hezbollah), in Yemen (Houthi), Siria e Iraq.

L’attacco di ieri è stato però qualcosa di profondamente diverso. Non si tratta di minacciare Israele tramite alleati. Non è minimamente paragonabile alle navi intercettate dagli Houthi nel Mar Rosso e neanche alle piogge di razzi di Hezbollah. È un attacco frontale. Per il quale l’Iran invoca addirittura l’art. 51 della Carta della Nazioni Unite. Ovvero, il provvedimento che disciplina la legittima difesa.

In Israele sono state ore di terrore. Lo spettro di un’escalation da Terza guerra mondiale aleggiava in tutte le principali città ebraiche. Da Haifa a Tel Aviv, passando per Gerusalemme e Ber Sheva, i cittadini dello Stato Ebraico si sono rifugiati nei migliaia di bunker sparsi per tutto il territorio. I gruppi Telegram erano inondati di messaggi, più o meno veri, contribuendo al panico. Nel frattempo, il gabinetto di guerra a guida Benjamin Netanyahu, Benny Gantz e Yoav Gallant era in contatto diretto con gli Stati Uniti, pronto a al peggio.

In mezzo al caos, l’attacco degli Ayatollah ha suscitato la risposta di un’inedita coalizione di alleati. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giordania e Arabia Saudita hanno contribuito alla difesa dello Stato ebraico. Un’asse in chiave anti-iraniana che potrebbe costituire una nuova base per il futuro della regione.

Le dinamiche dell’attacco

Sciami di droni

Ancora non c’è una stima precisa di quante (e quali) armi siano state lanciate dall’Iran. Il regime degli Ayatollah parla di circa 500 ordigni, mentre Tel Aviv e gli alleati si fermano a 200. Un numero comunque importante. Soprattutto considerando di che sistemi stiamo parlando. Il 7 ottobre 2023, Hamas accompagnò la sua offensiva con 3mila razzi Qassam. Un volume di fuoco apparentemente non paragonabile, se si tiene conto solo delle cifre assolute.

Alcuni Shahed-136, il modello di droni lanciati dall’Iran contro Israele.

La grande differenza sta nella potenza distruttiva degli ordigni iraniani. Quelli in dotazione ai miliziani palestinesi viaggiano per pochi chilometri e trasportano una testata improvvisata da massimo 10 chili di esplosivo. Teheran, invece, ha scagliato contro Israele centinaia di droni kamikaze di tipo Shahed-136 (saliti alla ribalta in Ucraina, dove i russi li utilizzano estensivamente), capaci di percorrere oltre 2500 chilometri a bassissima quota (e quindi di sfuggire ai radar) e scatenare la potenza di 50 chili di tritolo.

“Bombe” a reazione

Ma i “136” non erano soli. Dalle immagini circolate sui social e sui canali Telegram è possibile riconoscere anche i tipici suoni e luci di motori a getto, e non solo di quelli a elica di quest’arma. Probabilmente si sono alzati in volo anche gli Shahed-238 (versione jet dei “136”, entrata in servizio nel novembre 2023) e gli Arash-2 (introdotti in linea nel 2022 e studiati appositamente per «colpire città israeliane come Tel Aviv o Haifa». Ma i media dello Stato Ebraico parlano anche di missili da crociera. Smentito, al momento, l’impiego di più pesanti missili balistici da parte dell’Iran (discorso diverso va fatto per le milizie sciite nell’area attorno a Israele, che impiegano vettori a corto raggio di questo tipo).

L’impiego di droni per un attacco di questa portata ha molti pro e contro. Tra i vantaggi vi sono il volo a bassa quota e lo scarso costo unitario (uno Shahed-136 è venduto a circa 20mila dollari, un missile cruise supera abbondantemente i 100mila). Il tallone d’Achille e però la velocità, che si aggira attorno ai 180 km/h per i “136”, salendo a circa 450 per i velivoli a reazione. Significa che per coprire la distanza tra Iran e Israele servono circa tre ore e mezza. Dando il tempo al nemico di prepararsi.

Massima allerta

L’allarme in territorio israeliano era partito attorno alle 20:45 (ora italiana), con la conferma di numerosi lanci di droni dal suolo iraniano. Mentre la popolazione veniva invitata a prepararsi agli attacchi e lo spazio aereo veniva chiuso, le IDF (Israel Defense Forces) si preparavano. Gran parte dei caccia F-15, F-16 e F-35 erano già in volo, carichi di missili aria-aria e pronti a intercettare le minacce. A terra le batterie Iron Dome e David’s Sling erano pronte a lanciare.

Abbatimenti di droni iraniani nel cielo sopra Gerusalemme. Il responsabile, in questo caso, è il sistema di difesa “Iron Dome”.

Nelle tre ore di attesa, il meccanismo di protezione si è ampliato. I primi ad aggiungersi alla ricerca dei bersagli sono stati gli americani, con i jet da combattimento di stanza in tutto il Medio Oriente e gli F-18 decollati dalla portaerei USS Eisenhower nel Mar Rosso.

Quando le minacce hanno raggiunto la Siria e il confine tra Iraq e Giordania è scoppiato il finimondo. In aria gli aerei israeliani e americani hanno iniziato a inseguire e abbattere i droni nemici, mentre da terra i governi di Amman e Riad (Arabia Saudita) hanno lanciato le prime salve di missili antiaerei, schierandosi al fianco di Israele. Intanto anche la Francia aveva fatto decollare i suoi Rafale, e i britannici erano intervenuti con gli Eurofighter di stanza ad Akrotiri (Cipro).

Uno dei caccia Eurofighter Typhoon dell'aviazione britannica, durante il decollo dalla base cipriota di Akrotiri.
Uno dei caccia Eurofighter Typhoon dell’aviazione britannica, durante il decollo dalla base cipriota di Akrotiri.
Gli effetti e la possibile risposta di Tel Aviv

Nonostante l’importanza storica dell’attacco, le mosse di Teheran hanno più il sapore della messinscena rispetto alla vera volontà di entrare in un conflitto diretto con Israele. La superiorità militare dello Stato Ebraico non è messa in discussione dagli Ayatollah e lo dimostrano l’ottima difesa messa in atto da Netanyahu e le dichiarazioni del regime iraniano, che ha dichiarato «chiusa la questione senza altri errori».

Il 99% dei missili e dei droni è stato, infatti, prontamente intercettato dalla contraerea israeliana, anche grazie agli alleati. Si sono registrate poche esplosioni e, per ora, nove feriti di cui un solo grave. Si tratta di una bambina di 7 anni colpita da alcune schegge dopo l’intercettazione di un drone iraniano in un insediamento beduino vicino ad Arad, nel deserto del Negev. Alla luce della mattina successiva sono decine i rottami di missili e droni caduti in tutto il Paese. Tutti sembrano aver vinto: l’Iran ha dimostrato di poter colpire, Israele di sapersi difendere.

L’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite Saed Iravani.

Ad avvalorare la tesi di una mossa scenografica intervengono anche le dichiarazioni di Saed Iravani, ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite. Il diplomatico ha inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza ONU e al segretario generale Antonio Guterres, sostenendo che «la questione può considerarsi chiusa così. Ma se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura».

Resta da capire cosa ora vorrà fare Israele. Ieri notte, il gabinetto di guerra aveva già disposto una risposta nei confronti di Teheran. Ora, Netanyahu e compagni si riuniranno nuovamente oggi pomeriggio, ma pesano le parole di Joe Biden. Il presidente USA, conscio che un attacco diretto di Tel Aviv a Teheran sarebbe catastrofico, ha dichiarato che Washington non supporterà un attacco israeliano contro l’Iran. E, in un colloquio telefonico con Netanyahu, avrebbe aggiunto: «Oggi hai ottenuto una vittoria, accontentati».

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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