Quanto hanno in comune Beppe Grillo e Greta Thunberg? Niente, potremmo affermare con discreta certezza. Eppure il brizzolato comico genovese e la treccioluta attivista per l’ambiente non sono così distanti come si potrebbe immaginare. Perché un Vaffaday è già più simile a un Global Fridays e il dito puntato contro la “casta politica italiana” sembra indicare nello stesso verso di quello puntato contro l’establishment che danneggia l’ecosistema. Movimento Cinque Stelle e Fridays for Future sono ovviamente due organizzazioni molto diverse tra loro, a partire dagli obiettivi fino ad arrivare ai contenuti; il paragone è però intenzionalmente forzato per dimostrare un aspetto comune: la forma. La nuova ondata green sembra infatti ricalcare alcuni grandi classici del populismo contemporaneo. Questo tipo di propaganda è l’arma vincente del nuovo millennio, e anche i Fridays for Future se ne stanno servendo, concorrendo alla creazione di una sorta di “ecopopulismo”.
I Fridays for Future sono un movimento globale studentesco che lotta contro l’inquinamento dell’ambiente. Devono il loro nome – letteralmente “Venerdì per il futuro” – a Greta Thunberg, diciassettenne svedese che nel 2018 ha iniziato a saltare i venerdì scolastici per andare a protestare fuori dalla sede del Parlamento svedese. Nel giro di un anno la mobilitazione solitaria di una ragazzina si è trasformata in un evento mondiale culminato il 20 settembre 2019 con la Climate Action Week. La settimana del clima ha raccolto l’adesione di ben 7 milioni e 600 mila persone con cortei e manifestazioni in quasi tutte le città del mondo.
Ma in che modo una protesta solitaria si è trasformata in una mobilitazione globale? Suggerire che sia solamente merito di una ben collaudata narrazione populista sarebbe riduttivo nei confronti dell’organizzazione green. L’inquinamento è un problema reale e la scienza da anni cerca di metterci in guardia. Allo stesso tempo i Fridays for Future (volutamente o meno) hanno saputo sfruttare archetipi della nuova cultura populista. Quello di Greta Thunberg è un movimento che nasce dal basso, che affonda i propri principi in una tematica reale, presentata però in chiave quasi apocalittica. L’idea di un gruppo di ragazzini che vuole salvare il mondo non può che attrarre ammirazione e simpatia. Allo stesso tempo la consapevolezza che la terra sia da salvare è ben acclarata. La mobilitazione di massa di milioni di ragazzi e ragazze funziona a livello mediatico anche perché può contare su una forte componente visiva. Vedere infatti le strade di tutto il mondo colorate di cortei pacifici, composti da giovani che espongono cartelli artistici e ironici, è un piatto appetibile per le televisioni di tutto il globo.
L’entusiasmo delle piazze, della gioventù e dei leader sembra riuscire a sopperire a un programma un po’ vago e sicuramente di difficile attuazione, riassumibile in una sola richiesta: la riduzione drastica delle emissioni di Co2. Come ben riportato sul contatore presente nella home del sito fridaysforfutureitalia.it, alle ore 16.28 del 29 giugno 2020, abbiamo solo: 7 anni, 185 giorni, 20 ore, 30 minuti e 45 secondi per raggiungere l’obiettivo zero emissioni. Quando il timer raggiungerà lo zero, le conseguenze sfuggiranno al controllo dell’uomo. L’appello è quello di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia dello +1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale. Se da una parte abbiamo quindi una legittima richiesta, dall’altra sono poco chiare le iniziative e le proposte volte a cambiare la situazione.
Durante il Forum di Davos 2020 Greta ha chiesto di «fermare immediatamente tutti gli investimenti nell’estrazione e esplorazione di combustibili fossili, cancellare tutti i sudditi e disinvestire immediatamente e completamente dal settore». La risposta dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nelle parole del direttore Fatih Birol, è stata secca: «Non si possono bloccare gli investimenti, altrimenti si andrebbe incontro a una crisi energetica». Questo perché non si può semplicemente spegnere l’interruttore delle emissioni di Co2.
Ricorrere alle azioni di compesazione per limitare le emissioni di anidride carbonica
FEDERICA GASBARRO
Nel momento in cui le questioni vengono messe sotto un aspetto più pratico le risposte degli attivisti sembrano un po’ fumose. Federica Gasbarro, ex portavoce del movimento e rappresentante dell’Italia al Youth Climate Summit, il primo vertice Onu dei giovani che si è tenuto il 21 settembre 2019, ammette che non esistono al momento alternative ai combustibili fossili: «A oggi noi giovani speriamo nelle nuove tecnologie. Per esempio ci sono dei modi per calcolare quante emissioni di anidride carbonica produciamo e quindi anche quante tonnellate emette un volo. Una volta che fai questo calcolo, magari puoi ricorrere ad azioni di compensazione». La sua idea è quella di offrire contributi alle associazioni che piantano alberi. Ridurre un problema mondiale, che coinvolge una miriade di attori come stati e colossi energetici, ad azioni per lo più di matrice individuale non può essere la soluzione. Al pari dei genitori della Thunberg, che chiedono di mangiare vegano e boicottare gli spostamenti in aereo.
Il tratto più simile al populismo, derivante da questa generalizzazione sistematica, è la ricerca di un nemico comune: l’establishment. Nella narrazione del “noi contro loro” prendersela con chi manovra il mondo al servizio del profitto è una mossa ripetutamente usata dai populisti: che siano la cattiva Unione Europea o la casta dei politici. In questo tipo di racconto bisogna contrappore un paladino della giustizia al male che serpeggia sulla terra. Un leader carismatico capace di farsi valere contro i più grandi (in questo caso non solo in termini di potenza, ma anche generazionali): Greta Thunberg.
L’attivista svedese ha tutte le carte in regola per diventare un personaggio iconico: una giovane ragazza con le trecce che non ha paura a dire ciò che pensa. Proprio su uno stile comunicativo diretto e a volte iracondo si basa l’azione della Thunberg. Un modus operandi che paradossalmente trova delle somiglianze in quello del suo acerrimo nemico: Donald Trump. Il Presidente degli Stati Uniti rappresenta in toto l’establishment che gli ambientalisti vogliono combattere: il potente uomo della vecchia generazione che sfrutta l’ambiente per trarne profitto. Un astio confermato dall’occhiata torva di Greta al Presidente durante l’arrivo al vertice sul clima Onu 2019, lo stesso in cui la svedese ha pronunciato il suo più famoso discorso. Quel “come vi permettete”, scandito con rabbia e sull’orlo di un pianto, ha confermato la forza comunicativa della Thunberg e ha raccolto attorno a sé unanimi consensi.
L’attivista ha saputo sfoggiare la sua abilità espressiva in diverse conferenze e manifestazioni, ma non solo: da buona teenager Greta ha dimostrato di essere capace anche nel campo dei social network. Diversi i suoi scontri con Trump su Twitter, memorabile quello in cui dopo essere stata definita dal Presidente Usa una persona che «dovrebbe lavorare sul problema della gestione della rabbia e andare a vedere un buon film con un amico», ha cambiato la propria bio definendosi «Una teenager che lavora sul problema della gestione della sua rabbia. Attualmente sto uscendo per andare a vedere un vecchio buon film con un amico».
Greta Thunberg e i Fridays For Future conoscono bene l’importanza della macchina mediatica e di tutto quello che ne ruota attorno, perché sanno che per veicolare un contenuto è indispensabile il mezzo. La copertina del Time dedicata alla diciassettenne svedese ne è un esempio, al pari della presenza su giornali, tv, comizi e conferenze.
Paradossalmente i nuovi attivisti in difesa dell’ambiente stanno usando, allo scopo di affermarsi, le armi politiche di coloro che vogliono sconfiggere. Ci troviamo quindi di fronte a una lotta tra populisti ed ecopopulisti, combattuta però a suon di slogan e carente di idee concrete. A perderci potremmo essere tutti noi.
(4– continua)