Se il Regno Unito e l’Unione europea non si parlano più (terza parte)

La Brexit si profila come complicata nel suo complesso, ma ci sono questioni che sembrano essere più complesse di altre. È il caso del confine tra Repubblica d’Irlanda e Ulster, da cui sono passate tutte le trattative degli ultimi anni, dal referendum in cui ha vinto il Leave del 23 giugno 2016 (vedi la prima parte del nostro approfondimento). Un confine dal quale non si può prescindere.

La storia

L’Inghilterra è sempre stato un attore di primo piano per l’isola irlandese. Si può far partire la narrazione sin da quando, nel 1177, Enrico II nominò suo figlio John signore d’Irlanda, per evitare che l’isola si compattasse in un’unica nazione, da congerie di etnie quale era. C’è da dire che l’Irlanda di per sé non ha mai avuto una grande importanza geopolitica, a esclusione della sua posizione geografica.

Conquistarla significava impedire una possibile invasione della Gran Bretagna. Per questo gli inglesi hanno sempre cercato di sottomettere l’isola irlandese per scongiurare di esporsi a una doppia invasione, da est e sud-est.

I protestanti e i cattolici

Dopo che l’Irlanda aveva ottenuto l’indipendenza nel 1921, solo una regione è rimasta sotto la corona inglese, l’Ulster o Irlanda del Nord. L’Irlanda è da sempre divisa tra due nazionalismi, conflitti politici ed etnici, cioè quelli che hanno visto coinvolti gli unionisti – protestanti e favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito – e i repubblicani – cattolici e favorevoli invece all’unificazione dell’Irlanda con l’Irlanda del nord. Questi ultimi rappresentano la minoranza, sebbene siano una minoranza cospicua.

I cattolici irlandesi protestano per i loro diritti civili

Gli anni Sessanta hanno visto le proteste nascere dal crescente malcontento dei cattolici, che si sentivano discriminati all’interno del Paese. Il governo era controllato da più di 50 anni dagli unionisti protestanti, che ovviamente tendevano ad assecondare le esigenze opposte ai repubblicani cattolici. La campagna per i diritti civili si propagò e la repressione che venne attuata lasciò molto di cui discutere, tanto che la polizia fu accusata di compiere brutalità sui manifestanti.

Gli scontri e i morti

In un Paese spaccato da esigenze diametralmente opposte, i disordini divennero sempre più violenti, portati avanti dai rispettivi gruppi paramilitari. L’Ira (Irish Repubblican Army) era legata ai repubblicani del partito Sinn Féin, mentre l’Ulster Defence Association (UDA) che fa riferimento agli unionisti dell’UUP.

La situazione ha portato a 3600 morti in 30 anni, 2000 di questi civili. Il clima si fece così preoccupante che nel 1972 il governo britannico sospese l’autogoverno dell’Irlanda del Nord, assumendone il controllo politico. Venne inviato l’esercito nelle zone più critiche, nel tentativo di placare i fuochi di guerriglia.

Bloody Sunday

Proprio quell’anno, però, nella cittadina di Derry, un reggimento dell’esercito sparò sulla folla uccidendo 14 persone. Il Bloody Sunday, così viene chiamato il giorno della strage, amplificò la gravità in cui l’Irlanda stava riversando e portò addirittura alla costruzione di barricate lunghe chilometri, allo scopo di separare i quartieri protestanti da quelli cattolici.

Uno dei muri costruiti per dividere quartieri protestanti da quelli cattolici
La lenta marcia verso il Venerdì Santo

La pretesa che il Regno Unito ha avuto sull’intera isola irlandese non avuto un ruolo marginale nelle ragioni degli scontri. Nel marzo 1981 l’allora premier irlandese, Charles Haughey disse: «Quando si giungerà a una soddisfacente soluzione politica, dovremo certamente riconsiderare quale sia l’accordo più idoneo alla difesa dell’isola nel suo insieme».

Ma ci vollero 10 anni prima che la situazione si distendesse un poco e il ministro per l’Irlanda del Nord, Peter Brooke dichiarasse che Londra non aveva «alcun interesse egoistico di natura strategica o economica» in quell’aerea di competenza. Certo non bastava, ma spianò la strada alla dichiarazione di Downing Street del 1993 e agli accordi quadro del 1995.

Il vero atto di  pacificazione però lo si ottenne con il Good Friday Agreement (Accordo del Venerdì Santo) del 1998. In questo patto si ridisegnarono i rapporti tra le istanze repubblicane e unioniste; il governo dell’Irlanda accettò per la prima volta in modo formale che l’Irlanda del Nord facesse parte del Regno Unito e il governo britannico, dal canto suo, rigettò le pretese di sovranità su tutta l’isola. Si credeva che pace fosse fatta.

Non c’è pace per il Nord Irlanda

Ultimamente a Belfast si è assistito a un preoccupante ritorno della violenza tra i nazionalisti cattolici e i protestanti filobritannici. Nel 2012 era stata interrotta la centenaria tradizione di far sventolare la bandiera britannica sul municipio cittadino. Può sembrare poca cosa, eppure se gli attriti tra le due parti sono vecchi e non davvero risolti, ogni piccolezza può pesare come un macigno. Figuriamoci se ci si mette di mezzo una cosa così grossa come il dibattito della Brexit sulla questione nord irlandese

Un cartellone del gruppo di protesta Border communities against Brexit

Le economie del nord e del sud, oramai, sono molto interconnesse e un ritorno dei confini potrebbe essere dannoso, sottolinea Damian McGenity del gruppo di protesta Border communities against Brexit (comunità di frontiera contro la Brexit). I repubblicani che sognano ancora di ricongiungersi alla grande Irlanda di certo non accetterebbero di buon grado una situazione simile.

La questione del confine nord-irlandese, con un più o meno rigido hard border, sta facendo tornare la paura dei vecchi scontri.
Con l’accordo del Venerdì Santo del 1998 si era arrivati allo smantellamento dei due gruppi paramilitari (UDA e IRA), un importante traguardo.

New Ira
La giornalista Lyra McKee è stata uccisa dalla New Ira nel 2019

L’aprile 2019 ha visto però morire la giornalista Lyra Mc Kee per mano dei militanti della Nuova Ira durante gli scontri a Londonderry. Il gruppo paramilitare infatti è risorto dalle sue ceneri nel 2012 e fa preoccupare. Inoltre a gennaio del 2019 il Guardian ha rivelato che Londra ha addestrato mille poliziotti con l’obiettivo di dispiegarli in Irlanda del Nord nel caso in cui il Regno Unito lasci l’Ue senza un accordo. Al momento si può quindi solo aspettare.

Backstop

Uno dei punti più controversi degli accordi raggiunti tra l’Unione europea e l’allora primo ministro Theresa May è il backstop. La questione ha sollevato non poche polemiche: il backstop è stato uno dei motivi principali per cui gli accordi raggiunti dalla May sono stati bocciati dal Parlamento britannico.

Per backstop si intende di un meccanismo pensato per evitare il ritorno di un confine fisico tra l’Irlanda, che è un Paese membro dell’Ue, e Irlanda del Nord, che è una regione del Regno Unito. La questione del backstop è stata lungamente al centro del dibattito politico britannico ed europeo, perché la frontiera tra Irlanda del Nord e Repubblica di Dublino è, di fatto la demarcazione terrestre fra l’Unione europea ed il Regno Unito. Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, quindi, quella frontiera dovrebbe essere presidiata e controllata. Ma proprio la permeabilità di quel confine è uno dei pilastri degli accordi di pace che nel 1998 posero fine al conflitto nord-irlandese.

Il backstop di Theresa May…

Nell’accordo siglato da Theresa May con l’Unione europea la questione irlandese era risolta con la permanenza del Regno Unito all’interno di un’unione doganale con il resto dell’Unione europea, fino a quando non fosse stato trovato un accordo per evitare il ritorno di una frontiera fisica tra le due Irlande al termine della fase transitoria dopo la Brexit. Quindi, verosimilmente, il Regno Unito avrebbe fatto parte di quest’unione doganale per un tempo indefinito.

Per l’Irlanda del Nord erano previste regole speciali che l’avrebbero resa più integrata nel mercato unico europeo rispetto al resto del Regno Unito. In questo modo si sarebbe evitata la necessità di controlli sui beni in transito dall’Ulster verso il resto dell’Irlanda: il confine tra Ue e Regno Unito era di fatto stato spostato dalla linea che corre tra le due Irlande al tratto di mare che separa l’Irlanda e la Gran Bretagna.

Inizialmente, durante i negoziati, l’Unione europea aveva proposto che l’Irlanda del Nord rimanesse anche dopo la Brexit sia nell’unione doganale che nel mercato unico europeo. Così facendo si sarebbe evitato il rischio di creare un confine rigido tra le due Irlande. La proposta, però, fu rigettata dall’allora inquilina del numero 10 di Downing Street che sostenne che nessun leader britannico avrebbe accettato che una parte del Regno Unito fosse trattata costituzionalmente ed economicamente in maniera diversa dal resto del Paese.

L’ex primo ministro britannico Theresa May

Le due parti quindi giunsero alla soluzione del backstop, che prevedeva appunto che l’unione doganale, al cui interno inizialmente doveva essere compresa solo l’Irlanda del Nord, fosse estesa a tutto il Regno Unito. All’Irlanda del Nord sarebbe stato comunque garantito uno status diverso, perché sarebbe rimasta di fatto nel mercato unico europeo per quanto riguarda lo scambio delle merci.

Diverse furono le critiche mosse nei confronti di questo meccanismo. Prima di tutto l’unione doganale prevista dal backstop sarebbe potuta terminare solo con il consenso reciproco di Regno Unito e Unione europea. I sostenitori di una hard Brexit sostenevano che questa condizione rischiava di legare in maniera indefinita il Paese all’Ue.

Inoltre, era inconcepibile per moltissime forze politiche britanniche il fatto che l’Irlanda del Nord ricevesse un trattamento diverso dal resto del Paese. Gli scozzesi del SNP, ad esempio, minacciarono un nuovo referendum sull’indipendenza, se non gli fosse stato garantito lo stesso trattamento riservato ai nordirlandesi.

…quello di Boris Johnson

L’accordo siglato dal primo ministro britannico, Boris Johnson, e le istituzioni europee prevede una sostanziale differenza rispetto a quanto previsto dall’accordo raggiunto dall’esecutivo May, e mai ratificato dal Parlamento: l’uscita del Regno Unito nella sua interezza dall’unione doganale. Questo consentirà alla Gran Bretagna di poter concludere liberamente accordi commerciali con Paesi terzi. (vedi la seconda parte del nostro approfondimento)

L’attuale primo ministro britannico Boris Johnson

Per un periodo di almeno cinque anni ci sarà una frontiera “legale” tra l’Irlanda del Nord e il resto dell’Irlanda, ma, nel concreto, la frontiera sarà nel Mare d’Irlanda, tra Gran Bretagna e Irlanda. Se, infatti, i beni in entrata verso l’Irlanda, e quindi nel territorio dell’Ue saranno considerati “a rischio”, verranno tassati, altrimenti no. Questi beni dovranno quindi essere controllati al loro ingresso in Irlanda del Nord. Bisognerà attendere future intese per comprendere quali beni saranno ritenuti “a rischio”. L’Irlanda del Nord rimarrà allineata agli standard sui beni previsti dall’Unione europea.

Al termine dei quattro anni dalla fine del periodo transitorio, il Parlamento dell’Ulster potrà decidere se rinnovare questi accordi o meno. Se lo farà a maggioranza semplice ci sarà un rinnovo per altri quattro anni. Se poi saranno raggiunte specifiche maggioranze il rinnovo sarà di otto anni. Nel caso in cui non dovesse esserci un rinnovo, si rischia, invece, il ritorno del confine fisico tra le due Irlande.

Federica Ulivieri

Nasce sulla costa Toscana e si laurea magistrale in Storia Contemporanea a Pisa. Vola nelle lande desolate dello Yorkshire, dove inizia a occuparsi di traduzione. Un inverno troppo rigido la fa tornare in Italia, un po' pentita di averla lasciata. Le piace scrivere di esteri, con una predilezione per l'Africa. Ha recitato a teatro per 15 anni e ha una grande passione per i fumetti, le piace leggerli, scriverne e disegnarli: è infatti anche una vignettista di attualità.

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