Giovedì 7 dicembre, come da tradizione, si è aperta la stagione lirica del Teatro Alla Scala di Milano. Proprio il giorno di Sant’Ambrogio, patrono della città. L’evento patinatissimo, animato da politici, uomini e donne dello spettacolo, della finanza e dell’alta società (milanese e non solo) contrasta come sempre con i gruppi di persone che si raccolgono nella piazza antistante per far sentire la loro voce in favore di questa o quell’altra causa.
Un’inizio sottotono
Il Don Carlo di Giuseppe Verdi, l’opera scelta per la Prima, inizia alle 18. Ma già dalle 15 i primi manifestanti iniziano a radunarsi davanti a Palazzo Marino, sede del comune. Quest’anno le transenne e i cordoni di polizia in tenuta antisommossa impediscono l’accesso a gran parte della piazza. Accessibile ai passanti solo un corridoio di una ventina di metri tra Galleria Vittorio Emanuele II e le Gallerie d’Italia.
I primi ad arrivare sono i sindacalisti della CUB (Confederazione Unitaria di Base). Che, maschere bianche sul viso e soldi finti nei cappelli, protestano contro il trattamento pensionistico dei dipendenti pubblici. In particolar modo di quelle categorie che durante la pandemia si sono rese protagoniste della vita quotidiana di tutti (medici, infermieri, operatori sanitari e insegnanti). Nonostante le molte bandiere e la musica metal ad alto volume, il gruppo conta una quindicina di persone al massimo. Per di più disperse per la piazza e non molto impegnate a coinvolgere i passanti.
I cani sciolti
Oltre al sindacato, sparsi per i 400 metri quadrati disponibili, ci sono altri capannelli di protesta. Un’attivista ucraina, silenziosa, contesta con i suoi cartelli la soprano russa Anna Netrebko, protagonista femminile del Don Carlo. «La Netrebko supporta e finanzia il regime putiniano, è un’amica di Putin inserita nelle lista delle sanzioni come propagandista di questo regime. Non è opportuno farla esibire nei Paesi europei».
Esattamente di fronte a lei, due striscioni presidiati da un picchetto di sei persone prendono di mira il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il sottosegretario Gianmarco Mazzi. Sotto accusa le loro politiche ambigue riguardo ai lavoratori del comparto spettacolo, nei confronti dei quali, secondo i manifestanti, non sono state rispettate diverse promesse. «Nonostante una serie di audizioni sindacali, il ministro non ci ha ascoltato e ha annichilito le nostre richieste», dice una manifestante.
Verso le 16.30 di questi manifestanti rimangono solo i cartelloni, ma ormai nascosti nella penombra della piazza. E soprattutto oscurati da un nuovo striscione, non presidiato, che pone sotto i riflettori l’ormai annoso problema del caro affitti.
«Palestina libera!»
La piazza si anima davvero verso le 16.15, quando da Galleria Vittorio Emanuele II arriva un nutrito gruppo di manifestanti pro-Palestina. Tante bandiere, cartelloni che recitano “Stop genocide”, tamburi e megafoni. Il tutto al grido di «Free, free Palestine!» o «Palestina casa mia, Israele via via!» Sono decine i ragazzi e le ragazze che accompagnano un piccolo nucleo di palestinesi nella piazza. Chiedono a gran voce alle istituzioni di interrompere gli investimenti in armi, le forniture belliche a Israele, i contatti economici con lo stato ebraico.
Ma è quando un signore originario della Striscia di Gaza prende in mano un megafono che la piazza esplode. «Questo è un genocidio contro il popolo palestinese, che ha il diritto di resistere contro l’occupante, di qualsiasi natura sia!» Proprio mentre parla una grande bandiera della Palestina si alza da terra, legata a due lampioni da spesse corde di iuta. In un trionfo di fumogeni rossi tutti i manifestanti gridano il loro supporto alla popolazione di Gaza e il loro disprezzo nei confronti di Israele.
Dal nulla, poi, appare un piccolo foglietto: mentre i palestinesi muoiono sotto le bombe, le autorità italiane stanno comode a teatro. I nomi sotto accusa sono quelli del presidente del Senato Ignazio La Russa, del sindaco di Milano Beppe Sala… e della senatrice a vita Liliana Segre. In questo caso, chi ha realizzato il cartello si è fatto decisamente prendere la mano.
Una giornata tranquilla
Nonostante il forte impatto emotivo della protesta palestinese, gli animi in piazza restano tranquilli. Nessuna frizione con le forze dell’ordine (anche se un piccolo gruppetto di manifestanti azzarda qualche coro contro la polizia), nessun momento di tensione. Carabinieri e poliziotti, con i caschi in testa e gli scudi di plexiglass appoggiati davanti ai piedi, sorridono e scherzano tra loro per tutto il tempo: non c’è nulla da temere.
Gli unici agenti tesi sono quelli impegnati ai varchi d’ingresso di pubblico e autorità, in Via Verdi e Via Manzoni. Un lavoro ripetitivo il loro: fermare le persone che vorrebbero passare e indirizzarle su altri itinerari. Sì, itinerari, perché la maggior parte di loro non vuole entrare nell’area transennata per curiosità: vogliono solo andare da qualche parte. E non sono pochi i passanti, anche dal vistoso accento milanese, che chiedono: «Scusi, perché è tutto chiuso? Che succede?» E nel sentirlo sale un po’ la tristezza: forse la giornata è stata ordinata e tranquilla anche perché la gente non sapeva della Prima.