Domenica 1 dicembre il cantante rap Toomaj Salehi, trentatré anni, dissidente della Repubblica Islamica dell’Iran, è stato liberato dalla prigione dal carcere di Isfahan in cui è stato rinchiuso per oltre 735 giorni.
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Il dissidente
Salehi era stato arrestato nell’ottobre del 2022 per aver preso parte alle contestazioni contro la Repubblica Islamica, scaturite in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza di origini curde morta in carcere dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo. In quell’occasione, il cantante aveva invitato gli iraniani a protestare contro il governo, pubblicando video che lo ritraevano insieme ai dimostranti per strada e trasformando la protesta in musica.
Un mese dopo il suo arresto era stato liberato in seguito al pagamento della cauzione. A inizio 2023 era tornato in carcere con una condanna a sei anni e tre mesi. Ad aprile di quest’anno Salehi aveva ricevuto la condanna a morte per “diffusione della corruzione sulla terra”. A giugno la Corte Suprema, il più alto grado di giudizio dell’Iran, aveva annullato la sentenza e predisposto un nuovo processo.
La voce del popolo
Salehi è una delle voci di contrasto alla Repubblica Islamica più note in Iran. I testi delle sue canzoni rap sono un’aperta critica nei confronti della politica della Guida Suprema Alì Khamenei. Per via delle sue posizioni apertamente antigovernative, aveva conosciuto il carcere nel 2021. Poi il dentro fuori dei tre anni seguenti. Ma Salehi non ha mai smesso di cantare il suo dissenso.
«Il crimine di qualcuno è stato ballare con i capelli al vento, il crimine di qualcuno è stato essere coraggioso e schietto. Arriverà il giorno in cui vi attaccherete a vicenda», recita una strofa della canzone “Faal” (“Destino”).
«Mentre il resto del mondo sostiene i propri cittadini, il nostro governo ha definito i manifestanti “insurrezionisti”. Si è fermato all’incarcerazione? No, ha commesso anche atrocità. Nell’era della scienza, le donne vengono picchiate per la loro bellezza, gettate sul retro di un furgone della polizia, portate in prigioni senza nome. Siamo morti che non possono morire», dal brano “Normal” (“Normale”).