Usa: la pandemia è un pretesto per fare marcia indietro sui diritti civili

L’America e le sue radici cristiane sono minacciate da nemici esterni, che invadono il Paese con la scusa di cercare lavoro, e da altri interni, che cercano di distruggere i valori della famiglia tradizionale.

Questa è l’immagine che il presidente Donald Trump dipinge attraverso i suoi discorsi, i suoi tweet e soprattutto con i provvedimenti approvati dalla propria amministrazione.

La retorica populista di cui si avvale, che non richiede una particolare coerenza personale, rende facile per un uomo che si è sposato tre volte e che fino a qualche anno fa si dichiarava pro-choice in materia di aborto, difendere posizioni care alla destra conservatrice e oltranzista.

Negli anni della presidenza, il suo apprezzamento tra gli esponenti dell’ala cristiana dei repubblicani è notevolmente cresciuto. Durante le primarie del 2016, il suo gradimento presso gli evangelici, che dopo l’era Bush giocano un ruolo importante nello schieramento conservatore, era solo del 24%. Oggi invece i sondaggi dicono che oltre l’80% dei maschi evangelici bianchi sostiene Trump, e che il 69% di loro preferisce il tycoon a qualsiasi altro repubblicano.

Come ha fatto The Donald ad accattivarsi le simpatie di questo gruppo? Con una serie di atti politici che da un lato salvaguardano i diritti della famiglia tradizionale e dall’altro limitano le tutele a garanzia dei diritti della comunità LGBTQ+ e delle donne. Particolarmente gradita ai religiosi conservatori è stata ad esempio la nomina per la Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh, contrario all’estensione del Civil Rights Act alle persone omosessuali e transgender e visto favorevolmente dalle congregazioni evangeliche per le sue posizioni contro l’aborto.

Il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è stato al centro del dibattito politico lo scorso anno: nel 2019 diversi Stati hanno approvato leggi che vietano l’aborto a partire dalla sesta settimana di gravidanza, ben prima del momento in cui molte donne si accorgono di essere incinte. In alcuni di essi, ad esempio nell’Alabama a maggioranza repubblicana, l’operazione può essere eseguita se la salute della donna è a rischio, ma non se quest’ultima è stata vittima di stupro o incesto.

In questo clima, Trump è riuscito a guadagnare consensi grazie a un populismo che amalgama nazionalismo, protezionismo e posizioni conservatrici di matrice cristiana. Il presidente e i governatori repubblicani non hanno abbandonato questa linea durante la pandemia e, se possibile, hanno assunto posizioni ancora più reazionarie.

Se in Europa il governo populista di Viktor Orban ha sfruttato l’emergenza coronavirus per assumere i pieni poteri, negli Stati Uniti l’amministrazione di Trump sembra aver fatto perno sulla drammatica situazione del sistema sanitario per ridurre una serie di tutele e diritti che non aveva mai digerito. Ad essere penalizzati sono i membri della comunità LGBTQ+ e le donne, che in molti Stati si sono viste precludere il diritto di interrompere una gravidanza indesiderata.

Nella difficile congiuntura sanitaria e sociale che gli Stati Uniti stanno attraversando, è più facile tentare di far passare inosservate leggi e provvedimenti, più o meno temporanei, che in realtà sono vere e proprie violazioni dei diritti civili.

Diritto all’aborto negato: le donne si spostano da uno Stato all’altro nonostante il lockdown

Negli Stati Uniti l’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del Coronavirus è diventato un pretesto per sospendere procedure mediche considerate non urgenti, tra cui l’interruzione di gravidanza. Alcuni esperti delle Nazioni Unite hanno denunciato quanto stava accadendo, specialmente in Stati come Alabama, Arkansas, Iowa, Lousiana, Ohio, Oklahoma, Tennesse e Texas, che hanno un passato politico tradizionalmente anti-abortista. Alla fine del mese di aprile, in Texas, la quinta Corte d’Appello del Circuito degli Stati Uniti ha confermato che l’accesso agli aborti indotti dalla pillola può essere limitato nel periodo in cui la sanità dello Stato combatte contro il virus. Le autorità hanno strumentalizzato e manipolato la pandemia per rendere più difficoltoso l’accesso a un’assistenza sanitaria legale per l’aborto, con il rischio che questo si ripercuota sulla libera scelta delle donne anche nel lungo periodo, generando implicazioni di diverso tipo.

Secondo un recente report pubblicato da Amnesty International, ogni anno sono circa un milione le donne che decidono di interrompere una gravidanza. Di queste, oltre ventimila perdono la vita per pratiche non sicure. L’American College of Obstetricians and Gynecoogistis ha spiegato che l’aborto è una componente essenziale dell’assistenza sanitaria globale: impedirlo o ritardarlo, specialmente durante un’emergenza sanitaria, può risultare pericoloso. In questi mesi sono state molte le donne che, in cerca di un medico che fosse disponibile ad aiutarle, hanno intrapreso lunghi viaggi nonostante i divieti imposti dal lockdown. Hanno superato i confini tra Stati e sono passate da un ospedale all’altro, aumentando così il rischio di contagio per se stesse e per gli altri.

Altrettante donne hanno deciso di “autogestire” l’interruzione di gravidanza, in quanto la possibilità di avere accesso a una visita e a una procedura sanitaria in ambulatorio è stata invalidata. Natalia Kanem, direttrice dell’agenzia per la salute riproduttiva delle Nazioni Unite, ha dichiarato al New York Times: «Il corollario di queste scelte è che gli aborti clandestini cresceranno. Altre 29 mila donne moriranno per la riduzione dei servizi e per le pratiche svolte in maniera illegale o non sicura».

Oltre che umano, il danno è anche economico. L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che il costo per sostenere le cure necessarie a trattare le complicanze più gravi delle interruzioni di gravidanza non sicure ammonterebbe a 553 milioni di dollari ogni anno. Nonostante ciò, John Barsa, amministratore delegato dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti, ha inviato alle Nazioni Unite una richiesta per eliminare il sostegno all’aborto dal Global Humanitarian Response, il piano di risposta umanitaria al Covid-19 dell’Onu. «Non si dovrebbe usare questa crisi come opportunità per promuovere l’accesso all’aborto come un servizio essenziale – sono le parole di Barsa – Sfortunatamente è proprio quello che fa il Piano di risposta umanitaria globale. Pone cinicamente la fornitura di servizi di salute sessuale e riproduttiva sullo stesso livello di insicurezza alimentare, assistenza sanitaria essenziale, malnutrizione, alloggio e strutture igienico-sanitarie».

Elizabeth Broderick, vicepresidente del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla discriminazione nei confronti delle donne, ha dichiarato di avere forti timori riguardo a tale posizione: «Rimuovere i riferimenti alla salute sessuale e riproduttiva dal Piano di risposta umanitaria globale avrà conseguenze devastanti per le donne di tutto il mondo. Questo minerà seriamente lo sforzo congiunto della comunità internazionale per rispondere alle esigenze di salute delle donne in questo momento di crisi».

Mentre il dibattito continua, numerose associazioni, ad esempio Planned Parenthood e Amnesty International, si stanno muovendo da ogni parte d’America per garantire il diritto alle donne di scegliere, senza dover rischiare complicanze cliniche o addirittura la vita. Sul fronte opposto ci sono i governatori degli Stati antiabortisti, secondo i quali queste pratiche rischiano di rendere ancora più fragili le risorse mediche in epoca di pandemia.

Cambia la definizione di “discriminazione in base al sesso”: i diritti dei transgender non sono più tutelati

«È davvero terribile che le tutele contro la discriminazione siano state distrutte, ma lo è ancora di più che ciò sia accaduto durante una pandemia»: così Rodrigo Heng-Lehtinen, direttore esecutivo del Centro Nazionale per l’Uguaglianza dei Transgender degli Stati Uniti, ha commentato al New York Times il provvedimento ufficializzato dal governo lo scorso 12 giugno. L’amministrazione guidata da Donald Trump ha di fatto abolito le tutele esplicite contro la discriminazione delle persone transessuali in ambito sanitario: «Questa normativa permette a un operatore sanitario di rifiutarsi di effettuare a qualcuno un tampone per il Covid-19 solo perché la persona in questione è transgender», conclude Heng-Lehtinen.

Le sue proteste hanno trovato eco nei sostenitori dei diritti della comunità LGBTQ+ e nei membri dell’Associazione Nazionale dei medici. La misura è stata criticata anche da diversi esponenti dem: «è un attacco alla salute e al benessere di molti», ha dichiarato la speaker della Camera Nancy Pelosi.

Il provvedimento ha suscitato inoltre particolare scalpore perché è stato formalizzato proprio a giugno, il mese dedicato al Pride, nel giorno del quarto anniversario del massacro avvenuto in un nightclub di Orlando.

Ma in cosa consiste esattamente la nuova normativa? Secondo il New York Times, la misura non è un caso isolato, ma rientra in una precisa strategia messa in atto in diversi ambiti, dall’educazione al lavoro, da parte del governo Trump nel corso degli anni. L’obiettivo di questo operato è comprimere la definizione legale di “discriminazione in base al sesso”, in modo tale che non includa tutele per le persone transgender.

Di orientamento opposto era invece la linea dell’ex presidente democratico, rappresentata dall’Affordable Care Act. La legge emanata nel 2010, conosciuta anche come Obamacare, stabiliva ampi margini per i diritti civili in campo sanitario: era proibita qualsiasi tipo di discriminazione in base alla razza, alla nazionalità, al sesso, all’età e alla disabilità «in qualsiasi programma o prestazione sanitaria che fosse coperta dall’assistenza finanziaria statale». L’aspetto da non dimenticare era il significato da attribuire a queste parole: con “discriminazione in base al sesso” si intendeva “in base all’identità di genere”.

È proprio quest’ultimo aspetto a essere stato modificato dal provvedimento sostenuto dalla maggioranza repubblicana: il dipartimento per la Salute degli Stati Uniti ha dichiarato che manterrà le protezioni contro la discriminazione sessuale ma sulla base del «mero significato della parola “sesso” come maschio o femmina, determinati dalla biologia».

È evidente che questa definizione potenzialmente permette a dottori, ospedali e compagnie assicurative – che giocano un ruolo fondamentale nella sanità statunitense – di discriminare un paziente solo perché è transessuale, senza pagarne le conseguenze. Gli effetti si applicherebbero agli interventi di riassegnazione di genere, che alcuni operatori sanitari potrebbero rifiutarsi di eseguire, ma anche a qualsiasi prestazione medica.

Roger Severino, il direttore dell’Ufficio per i diritti civili al dipartimento della Salute, ha commentato che con questo provvedimento «si è fatta finalmente chiarezza e la legge è stata modificata in modo da rispecchiare la realtà». Ha poi affermato che gli operatori sanitari e le compagnie assicurative sono ancora liberi di adottare i propri criteri per definire l’identità sessuale.

L’Obamacare, prevedeva che un ospedale non potesse opporsi all’esecuzione di procedure di transizione di genere se la struttura fosse stata in grado di fornire quel tipo di trattamento.

L’anno scorso invece, Severino e il suo Ufficio, avevano stabilito tutele aggiuntive per gli operatori sanitari che, per motivi morali o religiosi, si rifiutavano di eseguire alcune tipologie di interventi, tra cui le isterectomie e altre procedure per il cambio di sesso.

Ad applaudire le recenti mosse dell’amministrazione Trump in questo senso, ci sono tutti quei conservatori che avevano accusato Obama essere andato oltre la propria autorità legale nell’interpretare in maniera troppo ampia il concetto di genere sessuale.

Nel frattempo però, la Human Right Campaign, un’organizzazione che difende i diritti della comunità LGBTQ+, ha dichiarato di voler citare in giudizio l’amministrazione Trump: «non permetteremo che questo attacco al nostro diritto basilare di non essere discriminati nel ricevere cure mediche passi inosservato. Li porteremo in tribunale e continueremo a chiedere a tutti i nostri rappresentanti di opporsi a questo evidente tentativo di minare le tutele fondamentali».

(5 – continua)

Eleonora Fraschini

Giornalista pubblicista e praticante, appassionata di fotografia, politica e ambiente. Nata sulle sponde del lago ma milanese nel cuore.

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