La Corte Costituzionale di Budapest ha abrogato la cosiddetta “Legge schiavitù” voluta dal premier Viktor Orban. La norma permetteva alle aziende di alzare il tetto degli straordinari a 400 ore l’anno e di ritardare fino a 3 anni la retribuzione ai dipendenti delle ore di lavoro extracontrattuali.
Il contenuto della legge
La sua approvazione nel 2018 da parte del parlamento ungherese aveva provocato ripetuti scontri di piazza in diverse città del Paese. La Corte ha accolto il ricorso presentato dai sindacati stabilendo che nessun lavoratore potrà essere licenziato se rifiuta di lavorare al di fuori degli orari previsti dal contratto e che eventuali straordinari devono essere pagati entro 365 giorni. Dal 2018 a oggi l’innalzamento del tetto degli straordinari a 400 ore si è tradotto per i lavoratori ungheresi in settimane lavorative di sei giorni o, in alternativa, in settimane da 5 giorni a 10 ore di lavoro al giorno. In entrambi i casi senza alcuna garanzia di percepire alcun compenso esterno alla busta paga.
Una sconfitta per il governo Orban
Una legge frutto di un compromesso tra Orban e le grandi imprese che, a fronte di una crescita economica piuttosto sostenuta, da tempo lamentavano la scarsa disponibilità di manodopera. Una norma dai connotati schiavistici, come sostenuto in questi anni da associazioni di categoria e sindacati: alla formale volontarietà del lavoro straordinario corrispondeva un’effettiva impossibilità di sottrarsene, pena la minaccia di licenziamento.
La sentenza della Corte Costituzionale impone allo Stato magiaro di abrogare la legge entro il prossimo mese di luglio. Una dimostrazione forte del fatto che il ruolo indipendente della magistratura può esercitare un influsso determinante nella formazione di una coalizione di partiti democratici in grado di sfidare l’illiberale Orban alle prossime elezioni politiche del 2022. Tra questi i verdi di Pàrbeszéd (Dialogo per l’Ungheria) guidati dalla 45enne Timea Szabo, che definisce la decisione della Corte “una sconfitta per il Governo Orban”.