Venezuela per l’annessione della Guyana Esequiba

Proseguono a ritmo sostenuto le attività di costruzione ed espansione della base militare venezuelana sull’Anacoco, un’isola situata alla confluenza tra il fiume Cuyuni e il fiume Venamo, al confine tra il Venezuela e la Guyana. Un report prodotto dal think tank Center for Strategic International Studies (CSIS) ha mostrato come dall’inizio di febbraio Caracas abbia incrementato la realizzazione di infrastrutture e attrezzature belliche a pochi chilometri dalla regione guyanese dell’Esequiba, una zona ricca di idrocarburi e di altre materie prime su cui il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha messo gli occhi già da qualche anno.

La Guyana Esequiba è una regione della Guyana rivendicata dal vicino Venezuela
Come si è arrivati fin qui

L’Esequiba è una regione con un’estensione territoriale di circa 160 mila chilometri quadrati, facente parte della Guyana. Nel corso dei secoli questa zona è stata rivendicata dalla vicina Venezuela.

Le origini del contenzioso risalgono all’inizio del XIX secolo. Quando il Venezuela, ottenuta l’indipendenza dalla Spagna nel 1811, si estendeva territorialmente dall’attuale Ecuador al fiume Essequibo. Il 1830 segna un punto di non ritorno: a causa di controversie interne, il Venezuela si frammentò e l’Esequiba divenne zona di frontiera della neonata repubblica. Su quest’area, cinque anni più tardi, mise le mani il Regno britannico nonostante, a livello legislativo, si trovasse sotto la sovranità del Paese sudamericano. La corona, nei decenni precedenti, aveva già colonizzato diversi spazi nella regione e li aveva uniti nel più vasto conglomerato della Guyana britannica.

L’annessione de facto dell’Esequiba, ultimata nel 1844, fece le fortune degli inglesi. Il territorio pullulava di petrolio, gas, alluminio, oro e diamanti. I coloni sfruttarono le ricchezze del sottosuolo, sordi ai reclami dei venezuelani. Solo nel 1899 la questione ricevette l’attenzione della comunità internazionale. Nella fattispecie, le potenze mondiali – Francia su tutte – assegnarono la regione contesa al Regno Unito. Che continuò a esercitare il proprio dominio per oltre sessantatré anni, fino a quando la Corte Internazionale di Giustizia di Caracas interruppe il controllo territoriale della corona.

La vicenda conobbe un’evoluzione decisiva in seguito alla proclamazione d’indipendenza dello Stato del Guyana, il 26 maggio 1966. Gli abitanti dell’Esequiba, fin da subito contrari al nuovo assoggettamento, insorsero contro il governo. L’esercito locale represse nel sangue la rivolta senza grandi difficoltà, dal momento che il Venezuela scelse di non inviare le proprie truppe.

Alle soglie del nuovo millennio, il presidente venezuelano Hugo Chàvez riportò l’attenzione pubblica sulla questione dell’Esequiba. Ma non tradusse mai in atti le proprie rivendicazioni.

La svolta di Maduro

La tensione nella regione è tornata a deflagrare lo scorso anno. In seguito alla decisione di Georgetown di concedere unilateralmente all’azienda americana Exxon la gestione esclusiva dei giacimenti nella sua area di competenza, nell’autunno del 2023 il presidente chavista Nicolas Maduro ha indetto un referendum per rivendicare la sovranità sulla Guyana Esequiba. In quell’occasione, come documentato dal Consiglio Elettorale Nazionale (CNE), oltre il 95 per cento dei dieci milioni di cittadini che si sono recati alle urne si è espresso a favore dell’annessione del territorio all’interno dei confini statali.

Il presidente Nicolas Maduro gioisce per i risultati del referendum sull’annessione dell’Esequiba

Benché non ci sia stato il riconoscimento né dell’Onu, né dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani) né della Caricom (Comunità dei Caraibi), all’indomani della pubblicazione risultati del plebiscito il governo di Caracas ha dichiarato che l’Esequiba fosse “il ventiquattresimo Stato federale del Venezuela”. Nominata formalmente la città venezuelana di San Martin de Turumban come capoluogo dell’Esequiba, l’amministrazione dell’avamposto è stata affidata al generale Domingo Hernandez Larez.

Oltre alle ragioni storico-identitarie, alla base della diatriba intorno all’Esequiba ci sono anche motivazioni di carattere geopolitico. Negli scorsi mesi, il ministro degli Esteri di Caracas, Yvan Gil, ha dichiarato: «Non siamo noi gli aggressori, ma i signori americani del petrolio conniventi con il governo di Georgetown». Gli aveva dunque fatto eco Maduro, dicendo «Non ci fermeremo, il popolo è con noi».

Lo spettro del conflitto

Nonostante i toni bellicosi della leadership di Caracas, nei giorni successivi al referendum Venezuela e Guyana hanno cercato di risolvere in conflitto in chiave diplomatica. Ma se a dicembre sembrava che le parti avessero raggiunto un accordo e le velleità di conquista venezuelane fossero rientrate, appena due mesi dopo Maduro ha ordinato il trasferimento di notevoli quantità di personale militare e attrezzature in siti vicino al confine con il Paese dirimpettaio.

Un voltagabbana che gran parte della comunità internazionale aveva previsto. Il 28 luglio il Venezuela andrà alle urne per votare il nuovo presidente. Secondo i sondaggi, Maduro è in svantaggio nel testa a testa con il capogruppo del partito d’opposizione, Edmundo Gonzalez Urrutia, il sostituto di Maria Machado, la leader di “Vente Venezuela” esclusa dal novero dei candidati.

È possibile, dunque, che, montando velleità di conquista sull’Esequiba, il presidente venezuelano si auguri due cose: da una parte che questa vicenda possa distrarre i venezuelani dai fallimenti del suo regime – nel 2023 l’inflazione si è attestata attorno al 193%, mentre le famiglie con un reddito inferiore alla soglia della povertà hanno rappresentato l’52% della popolazione; e dall’altra che con questa rivendicazione territoriale possa recuperare il gradimento di buona parte della popolazione premendo sul tasto del patriottismo identitario, caro a molti nazionalisti venezuelani. Come evidenziato dal report di CSIS, Maduro confida nel voto di chavisti e membri dell’esercito per annullare il margine virtuale che ora lo separa da Urrutia.

Propaganda di regime

Diffondendo slogan elettorale del tipo “l’Esequiba è nostra” e creando nuovi comandi militari per supervisionare la difesa della zona, il governo di Caracas ha contribuito ad alzare la temperatura nella regione, dando alla comunità internazionale l’impressione che sia costantemente sul piede di guerra.

L’esercito del Venezuela di stanza sul confine con la Guyana Esequiba

Secondo alcuni osservatori, la propaganda del governo di Maduro è del tutto simile a quella messa in atto da Vladimir Putin qualche mese prima dell’invasione dell’Ucraina. Evocando un conflitto imminente in un periodo di relativa pace, semina nella popolazione un senso di “patriottismo militarizzato”, facendo leva su un concetto: la totale sottomissione del governo della Guyana alla Exxon e, più in generale, agli Stati Uniti. In questo senso, è facile intuire che ogni contromossa di Georgetown verrà interpretata dalla propaganda di Maduro come una dimostrazione del fiancheggiamento a Washington.

Lavori in corso

Ricorrendo a immagini satellitari, il CSIS ha scoperto che l’esercito venezuelano ha continuato i lavori nella base militare sull’isola di Anacoco. In particolare, sono stati notati progressi nella realizzazione di un ponte sul fiume Cuyuni per collegare l’isola alla terraferma. Cantieri aperti anche nel vicino aeroporto e nella stazione della guardia costiera di Guiria. Una ferrovia, inesistente a febbraio, congiungerà l’aeroporto alla base militare e alle città della zona.

Non solo. Immagini satellitari mostrano che in un’area contigua all’aeroporto sono state collocate 75 tende da campo, destinate ad accogliere un battaglione di diverse centinaia di soldati. I preparativi bellici riguardano anche la potenza aerea. Il think tank, accedendo ai canali Telegram di generali e soldati venezuelani, è riuscito a riconoscere alcuni aerei d’attacco leggeri, K-8W e Su-30, aventi missioni di pattugliamento sopra la costa atlantica. I video caricati sul social hanno rivelato anche la presenza di lanciamissili antiaerei Buk-M2EK.

Missili Zolfaghar, prodotti in Iran e presenti in Venezuela, al confine con la Guyana Esequiba

Infine, alcuni post sui social media di aprile hanno mostrato cinque (o sei) navi lanciamissili Zolfaghar, un missile balistico con una gittata di almeno 90 chilometri che viene prodotto in Iran. Come riportato dal CSIS, si tratta di un investimento che indica una significativa concentrazione della potenza di fuoco per il Venezuela. L’arrivo dei Zolfaghar, infatti, potrebbe segnare l’avvio di una preoccupante escalation militare nella regione.

 

 

 

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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