Spice Girls, le magliette della band prodotte da operaie sfruttate

Secondo un’indagine del Guardian, le t-shirt delle Spice Girls vendute per raccogliere fondi per la campagna di “giustizia di genere” della Comic Relief, grande azienda di beneficenza inglese, sono state prodotte in una fabbrica in Bangladesh dove le donne guadagnano l’equivalente di 35 pence all’ora (circa 40 centesimi).

Le t-shirt di beneficenza, con il messaggio “#IWannaBeASpiceGirl”, sono state prodotte da operai, per lo più donne, che hanno dichiarato di essere costretti a lavorare fino a 16 ore al giorno. Il denaro raccolto dalle vendite delle magliette, dal prezzo di 19,40 sterline l’una, era destinato al fondo di Comic Relief per “promuovere l’uguaglianza per le donne”. L’organizzazione benefica dovrebbe ricevere 11,60 sterline per ciascuna delle t-shirt vendute, ma l’azienda ad oggi dichiara di non aver ricevuto ancora il denaro.

Annunciando la partnership, le Spice Girls avevano detto di aver sposato la causa perché «l’uguaglianza e il movimento del potere delle persone sono sempre stati temi al centro della loro band». Ma uno dei macchinisti della fabbrica, che ha prodotto le magliette – indossate e sponsorizzate sui social media dalla conduttrice televisiva Holly Willoughby, dai cantanti Sam Smith e Jessie J e dalla campionessa olimpionica Jessica Ennis-Hill – ha dichiarato: «Non siamo abbastanza pagati e lavoriamo in condizioni disumane». Le t-shirt, che hanno anche le parole “giustizia di genere” scritte sul retro, sono state realizzate da lavoratori che guadagnano molto meno di un salario di sussistenza.

I lavoratori dell’abbigliamento hanno protestato contro la bassa retribuzione dell’industria in Bangladesh. Fotografia di Noor Alam, The Guardian

La fabbrica è in parte proprietà di un ministro del governo di coalizione del Bangladesh, che ha preso il 96% dei voti il ​​mese scorso in un’elezione descritta come “farsesca” dalla critica. Un portavoce delle Spice Girls ha dichiarato di essere «profondamente scioccato e inorridito» e ha promesso di finanziare personalmente un’indagine sulle condizioni di lavoro della fabbrica. Comic Relief ha detto invece che l’organizzazione benefica è «scioccata e preoccupata». Entrambi hanno poi affermato di aver controllato le credenziali del “reperimento etico” di Represent, il rivenditore online commissionato dalle Spice Girls per realizzare le magliette, ma che in seguito lo stesso ha cambiato il produttore a loro insaputa. E Represent ha fatto mea culpa, affermando di avere «piena responsabilità» e di rimborsare i clienti su richiesta.

La compagnia dietro la fabbrica che ha realizzato le magliette è la Interstoff Apparel, che ha smentito in toto le accuse e ha dichiarato la denuncia del Guardian “non vera”. Tuttavia, è stato scoperto un catalogo di prove sulle condizioni in cui lavorano i dipendenti: alcuni macchinisti sono pagati 82 sterline al mese, secondo una busta paga recente – il che significa che guadagnano l’equivalente di 35 pence all’ora per una settimana di 54 ore. Una somma molto inferiore rispetto alle stime dei salari di sussistenza. Inoltre, i dipendenti sono costretti a lavorare fuori orario per raggiungere obiettivi “impossibili”, quindi a volte fanno turni di lavoro di 16 ore che terminano a mezzanotte. E gli operai che non raggiungono gli scopi prefissati vengono verbalmente maltrattati dal management. Alcuni sono stati obbligati a lavorare nonostante la cattiva salute. Altri sono stati costretti ad andarsene a causa dei continui maltrattamenti.

Le rivelazioni, in seguito alla denuncia del Guardian, mettono in luce i rischi che soggiacciono alle catene di approvvigionamento complesse e aumentano le preoccupazioni di vecchia data sulle condizioni dei produttori di capi venduti con considerevoli ricarichi da parte dei dettaglianti britannici.

Sofia Francioni

Laureata in Lettere Moderne e cresciuta dentro la redazione della cronaca della Nazione di Firenze, vorrebbe diventare una cronista "sconosciuta e felice"

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