Nell’era della cancel culture e della cultura woke nessun contenuto può dirsi al sicuro. Soprattutto se si tratta di un prodotto Disney, destinato a grandi e piccini. Da Aladin a Lily e il vagabondo, film e cartoni animati sono stati oggetto di attacchi da parte dei ben pensanti. Da tutto coloro che sono alla ricerca di elementi discriminatori nei confronti di minoranze o etnie. Come, per esempio, il termine “Ottentotti“, presente in Mary Poppins. Un classico per famiglie datato 1964.
Gran Bretagna vs Mary Poppins
Martedì 27 febbraio la Commissione inglese per la classificazione dei film ha cambiato la valutazione di Mary Poppins: non è più adatto per tutti. Ora i bambini devono essere accompagnati dai genitori. Il motivo? Nella pellicola viene pronunciata due volte la parola “Ottentotti”, rivolta a dei ragazzini con la faccia nera di fuliggine.
Secondo quanto sostiene la Commissione di vigilanza inglese, “Ottentotti” è un termine offensivo, razzista, discriminatorio e «stressante». E così la più celebre tata della cultura pop non è più adatta ad assistere i bambini.
Chi sono gli Ottentotti
Il termine contestato dalla Commissione inglese è ai più sconosciuto. Si tratta di un’espressione coniata dai coloni olandesi per indicare le popolazioni Khoikhoi dell’Africa meridionale. Ed era stato poi esteso a tutti gli africani. Ma secondo il prestigioso Dizionario di Oxford, oggi è «generalmente considerato arcaico e offensivo».
Poco importa che in Mary Poppins il termine utilizzato dal personaggio dell’Ammiraglio, figura dai connotati ridicoli e dai modi obsoleti. Per il tribunale britannico del politicamente corretto è severamente vietato: i bambini devono essere “protetti”.
Ad hoc
Non solo Mary Poppins. Tra i tanti esempi di derive negative della cultura woke, anche l’amatissima Sirenetta. Per il remake del celebre classico per bambini, era stata scelta come protagonista un’attrice di origini afroamericane. Una decisione sui generis, dato che la fiaba è incentrata su una principessa danese. Ed è stata raccontata per la prima volta nel 1837.
La scelta è stata celebrata dalla stampa progressista come «un’ottima notizia per i bambini» per il proprio valore multietnico e inclusivo, aveva in realtà suscitato più di qualche perplessità proprio per il suo carattere artificioso.
La posizione di Disney
Anche per Disney il politicamente corretto è diventato un problema. Bob Iger, CEO della multinazionale statunitense, ha recentemente espresso la sua posizione sulla deriva woke degli ultimi tempi. «Dobbiamo concentrarci sull’intrattenimento, non sui messaggi».
Iger ha poi spiegato che le storie intrise di «messaggi positivi per il mondo» possono essere fantastiche, ma non dovrebbero essere imposte al pubblico. Cosa che, ormai da qualche anno, in effetti sta avvenendo.