Cancel Culture nelle Università USA: la rettrice della U-Penn si dimette

Si riaccende il dibattito sulla cancel culture dopo la condanna delle frasi sul genocidio pronunciate dalla rettrice della University of Pennsylvania.

Le polemiche sono iniziate il 7 ottobre, scatenate dall’avvio della guerra tra Hamas e Israele. L’antisemitismo dilagante nell’Università della Pennsylvania, Harvard e MIT ha portato a una delle audizioni parlamentari più viste della storia.

Mercoledì 6 dicembre si è tenuta un’audizione al Congresso che ha visto protagoniste Elizabeth Magill, rettrice della U-Penn, Claudine Gay di Harvard e Sally Kornbluth del MIT. Argomento della discussione, le dichiarazioni dalle tre riguardo gli episodi di antisemitismo nelle loro Università. Il problema è stato sollevato da un gruppo di 74 parlamentari – 72 repubblicani e 2 democratici – con una lettera ai board delle Università in cui venivano richieste le loro dimissioni. Oltre a queste, è stata richiesta anche una revisione delle politiche scolastiche a protezione e tutela degli studenti ebrei.

Le prime dimissioni sono state quelle di Elizabeth Magill, rettrice della U-Penn, incalzata dalla repubblicana di New York Elise Stefanik. La deputata aveva notato l’appoggio di molti studenti della University of Pennsylvania ad Hamas, unite a numerose aggressioni verbali e fisiche nei confronti degli studenti ebrei. Interdetta, aveva chiesto alla Magill se invocare al genocidio degli ebrei violasse o meno le regole di condotta della U-Penn. A sollevare il polverone, la risposta evasiva della rettrice: «Se le dichiarazioni si trasformano in condotta, può essere un abuso… dipende dal contesto».

Pare che anche le dichiarazioni rilasciate dalle due colleghe al Congresso non abbaino convinto e che le scuse nei giorni a seguire non siano bastate.

In corso un tentativo di mitigare gli animi per evitare che molti ricchi mecenati, israeliani e non, ritirino le loro donazioni; tra questi, i finanzieri miliardari Ross Stevens, Bill Ackman e Jon Huntsman che causerebbero perdite di centinaia di milioni di dollari.

L’appello al Primo Emendamento della Costituzione

Dopo giorni in cui l’opinione pubblica si era polarizzata contro le tre rettrici, ora qualcuno comincia a parlare di caccia alle streghe. In molti infatti le difendono appellandosi al Primo Emendamento a tutela della libertà di espressione. Difesa che però sembra zoppicante, dato che le università americane hanno limitato la libertà di espressione in altre circostanze. Queste, ad esempio, riguardavano i transgender. Per esempio, si può ricordare la conferenza della filosofa Devin Buckley, annullata per aver sfidato i dogmi transgender, e la biologa Carole Hooven allontanata dal suo incarico per aver sostenuto l’esistenza di differenze biologiche tra uomo e donna.

Ciò su cui sono quasi tutti d’accordo è, però, che le dimissioni delle tre rettrici non cambieranno le regole di condotta degli atenei. Come evidenziato dalla studiosa Heather Mac Donald del Manhattan Institute, le norme e la burocrazia stringente vengono infatti dai programmi “DEI” – Diversity, Equity Inclusion e, per questo, non sono a loro direttamente imputabili.

 

A cura di Elena Betti

Elena Betti

Classe 2001, Laureata in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione all'Università di Pisa

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