Durante il “Liberation Day”, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha illustrato le tariffe reciproche che saranno applicate ai Paesi che importano negli Stati Uniti. Tra tariffe standard e personalizzate, la politica dei dazi colpisce proprio tutti, dai partner commerciali più grandi, come Cina e Unione Europea, alle isolette popolate solo da pinguini.
La tabella dei dazi reciproci
C’è stato bisogno di una tabella per spiegare il complicato regime dei “dazi reciproci” che scatteranno in questi giorni sulle merci importate dagli Stati Uniti. A spiegarla, dal palco allestito nel Giardino delle Rose alla Casa Bianca, ci ha pensato lo stesso Donald Trump, con la sua immancabile cravatta rossa e il sorriso soddisfatto per l’entrata in vigore dell’ennesimo ordine esecutivo.
La tabella si compone di tre colonne. Quella più a sinistra è una lunga lista di Paesi: dal Giappone alla Costa d’Avorio, dal Marocco al Nicaragua. Non si riconosce un ordine preciso, ma i primi due nella lista sono forse i mercati maggiori: Cina e Unione Europea. Potrebbe sembrare un attacco ai palazzi di Bruxelles, ma il Vecchio Continente è colpito anche dai dazi su Svizzera e Regno Unito. Per il resto, Trump non risparmia nessuno: i dazi colpiscono anche l’alleato Netanyahu e l’emulatore Milei.
Le altre due colonne elencano valori percentuali: la prima contiene le “tariffe applicate agli Stati Uniti (comprese manipolazione valutaria e barriere commerciali)”, la seconda, in giallo, le “tariffe reciproche scontate” imposte dagli Stati Uniti. Il messaggio, che si intuiva già dal nome, è ancora più chiaro: i dazi imposti dagli Stati Uniti non sono una misura arbitraria, ma la risposta alle politiche commerciali che il resto del mondo avrebbe già attuato contro di loro.

La lista dei “peggiori”
Una lettura più attenta permette di notare delle differenze tra i Paesi elencati. In generale, una tariffa del 10% è applicata su tutti i Paesi, ma per alcuni – non pochi, diverse decine – l’amministrazione americana ha disposto percentuali più elevate. I “peggiori” hanno meritato tariffe personalizzate, basate non solo sui dazi veri e propri ma anche sulle «barriere» che l’amministrazione Usa accusa i Paesi stranieri di imporre.
Cosa si intende con queste «barriere non monetarie»? Per esempio, le imposte sul valore aggiunto (la nostra Iva), ma anche le barriere “tecniche” ai prodotti americani non commercializzati in alcuni Paesi perché non ne rispettano gli standard qualitativi (come spesso accade per l’Unione Europea).
Nonostante la “lista dei cattivi”, Trump ha cercato di mostrare una parvenza di magnanimità. I dazi con cui l’America “risponde” sono circa la metà di quelli che “subisce” (sul calcolo dei quali ci sono molte perplessità). Per esempio, gli Stati Uniti replicano con il 34% al 67% della Cina; al 93% del Madagascar ribadiscono con tariffe del 47%, e così via. «Poiché siamo gentili – ha spiegato il presidente – non si tratterà di tariffe pienamente reciproche. E se volete che le tariffe siano pari a zero, allora producete i beni qui in America». Al termine del discorso del presidente, i funzionari hanno precisato che i dazi al 10% entreranno in vigore dalla mezzanotte del 5 aprile, i più alti invece dal 9 aprile.
Le isole Heard e McDonald
Nemmeno i pinguini possono evitare i dazi di Trump. Un gruppo di isole vulcaniche completamente disabitate, situate a circa due terzi di distanza tra il Madagascar e l’Antartide. Zone vulcaniche e coperte dai ghiacciai dove vivono solo i pinguini. Anche loro sono finite nel Liberation Day di Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti le ha colpite con una tariffa del 10% sulle merci. Anche se è da più di 10 anni che l’uomo non ci mette più piede.
Queste terre non sono autonome, ma fanno parte del territorio esterno dell’Australia. Amministrati dalla Divisione Antartica Australiana del Dipartimento dell’Ambiente e del Patrimonio, che si trova a Hobart e che gestisce anche il Territorio Antartico Australiano.

I dazi ai pinguini
Dietro a quelli che a prima vista potrebbero sembrare grossolani errori nella compilazione della lista di Paesi soggetti a dazi, c’è invece una ragione concreta. L’imposizione di tariffe doganali a prodotti provenienti da questi territori serve sostanzialmente per evitare triangolazioni commerciali con le rispettive madrepatrie, che permetterebbero altrimenti di aggirare l’applicazione dei dazi.
Nei cinque anni precedenti le importazioni da Heard Island e dalle isole McDonald variavano da 15.000 a 325.000 dollari all’anno. La Casa Bianca e il dipartimento degli affari esteri australiani non hanno risposto alle richieste di commenti del Guardian. Invece un funzionario statunitense ha detto che le isole Heard e Mc Donald sono state incluse perché sono territorio australiano.
Gli altri casi

Nell’elenco della Casa bianca ce ne erano altre tre: le isole Cocos (Keeling), Christmas Island e Norfolk Island. Norfolk Island, che ha una popolazione di 2188 persone e si trova a 1600 km a nord-est di Sydney, è stata colpita da una tariffa del 29%. 19 punti percentuali in più rispetto al resto d’Australia. Nel 2023 Norfolk Island ha esportato negli Stati Uniti beni per un valore di 655.000 dollari. Un’altra regione senza popolazione umana residente nella lista di Trump è l’isola vulcanica di Jan Mayen nell’Oceano Artico. È designata collettivamente con Svalbard, un arcipelago con orsi polari e una piccola popolazione umana.
Le importazioni
Se si guardano i dati sulle esportazioni di Heard Island e McDonald Islands si può intuire facilmente la ragione per cui Trump ha tassato così pesantemente questi territori. Il territorio ha una peschiera ma non edifici o abitazioni umane di alcun tipo. Nonostante ciò, dai dati sulle esportazioni della Banca Mondiale risulta che gli Stati Uniti hanno importato 1,4 milioni di dollari di prodotti dalle isole Heard e McDonald nel 2022, quasi tutti di “macchinari ed elettricità”. Un mistero. Saranno stati i pinguini.